WB Games e Niantic hanno diffuso i primi dettagli di gameplay per Harry Potter: Wizards Unite, il nuovo gioco mobile in realtà aumentata (AR) che mette la magia nelle mani di tutti gli aspiranti maghi e streghe del mondo. Co-prodotto e co-sviluppato da WB Games San Francisco e Niantic, Inc., Harry Potter: Wizards Unite è parte di Portkey Games, la label completamente dedicate alla creazione di nuove esperienze mobile e videogiochi basati sul Wizarding World, che mette il giocatore al centro dell’avventura, ovviamente ispirandosi alle storie originali di J.K. Rowling.
In Harry Potter: Wizards Unite, l’avventura del giocatore inizia con l’essere reclutato come nuovo membro di una Task Force Segreta, con l’intento di indagare sulla Calamità, nuova minaccia per il mondo magico. Artefatti, creature, personaggi e perfino memorie del passato, detti Foundables, compaiono casualmente nel mondo dei babbani, e le streghe e i maghi di tutto il mondo dovranno andare a caccia di questi elementi e per restituirli ai loro luoghi d’origine, il tutto cercando di nascondere la magia agli ignari babbani.
I giocatori potranno poi ricaricare l’energia degli incantesimi in particolari punti della mappa, dove troveranno anche ingredienti magici per speciali pozioni, Passaporte per raggiungere iconiche location del wizarding world e tanto altro ancora.
Le abilità in combattimento di streghe e maghi verranno poi testate in alcune location del mondo reale chiamate Fortezze, punti chiave che daranno vita a Sfide Magiche. Queste battaglie multiplayer in tempo reale contro pericolosi nemici richiederanno ai giocatori di unire le loro forze per sconfiggere minacce sempre più potenti e sbloccare rare ricompense.
Harry Potter: Wizards Unite arriverà per dispositive iOS e Android durante il 2019. Le pre-registrationi sono ora disponibili su Google Play.
Dopo 4 anni, dal primo lancio negli Stati Uniti, Sony giudica la nostra infrastruttura di rete matura per sostenere tecnicamente Playstation Now, il servizio in abbonamento di Streaming e Download di giochi per PlayStation e PC.
Raffaele Zeppieri, Marketing Director Sony Interactive Entertainment Italia, ha annunciato ieri, in una conferenza stampa tenutasi a Milano, che dal 12 marzo 2019 l’Italia è entrata nel novero delle nazioni europee ad offrire il servizio di abbonamento Playstation Now. Nell’ottica strategica Sony di “Mettere al Centro il Videogiocatore”, questo era il tassello mancante all’offerta italiana che quindi, dopo un positivo periodo di “Closed Beta-Testing” tenutosi dal 6 al 26 febbraio 2019, da oggi si unisce alle restanti nazioni Europee in cui è disponibile.
PlayStation Now è un servizio in abbonamento che consente agli utenti di giocare a più di 600 giochi tra PlayStation 4, PlayStation 3 e PlayStation 2 su PlayStation 4 e, tramite un’applicazione dedicata, anche su PC. Nello specifico i giochi PS2 e PS4 potranno essere giocati sia in Streaming che scaricati offline, mentre i giochi PS3 potranno solo essere giocati in Streaming. L’elenco dei giochi disponibili comprende le più importanti esclusive PlayStation come Bloodborne, The Last of Us e God of War III Remastered a cui si aggiungono grandi successi come Mortal Kombat X, For Honor, WWE 2K18 e, per finire, altri famosi titoli di tutti i generi. Senza contare che, all’attuale lista, verranno aggiunti nuovi giochi ogni mese.
Sony ha previsto un periodo di prova gratuito di 7 giorni per testare il servizio per poi scegliere tra un abbonamento mensile al costo di 14,99€, oppure 99,99€ per l’abbonamento annuale.
Per poter utilizzare PlayStation Now è richiesta una velocità di connessione Internet di almeno 5 Mbps che permetterà di giocare ai titoli PlayStation sui vari apparecchi marchiati PlayStation e su altre piattaforme non necessariamente dedicate al gaming, come TV Sony, Tablet e Smartphone.
I videogiochi per PS4 se scaricati sul disco fisso della console permetteranno al giocatore di usufruire della loro qualità nativa e cioè avranno supporto completo per l’audio surround 5.1 e fino a 4K nella loro risoluzione originale, se giocati su PS4 Pro. I salvataggi dei giochi scaricati potranno essere fatti in locale, mentre per i giochi in Streaming i progressi verranno salvati in cloud.
Per giocare in streaming ai titoli di PlayStation Now sul PC si deve scaricare l’app dedicata sul desktop e una volta installata, si può effettuare l’accesso ad un abbonamento esistente o attivare una prova gratuita. Quindi basterà collegare un controller wireless DUALSHOCK 4 o un altro controller compatibile a una porta USB.
A questo punto, non ci resta che attivare subito il periodo di prova gratuito di 7 giorni per provare il nuovo servizio PlayStation Now
Similmente al software come servizio (SaaS – Software-as-a-Service), introdotto tempo fa delle grandi aziende dell’Information Technology, anche i videogiochi hanno adottato il loro modello di gioco come servizio (GaaS – Game-as-a-Service) fondato sulla fornitura di un lungo flusso di nuovi aggiornamenti e contenuti per garantire ai Publishers entrate ricorrenti e continue nel tempo. La prima forma di GaaS è, di fatto, stata l’introduzione dei giochi online multigiocatore (MMO) come World of Warcraft, tramite un approccio legato all’abbonamento del gioco.
Poi, nel tempo, altre forme sono state inventate per monetizzare i prodotti come servizio e così arriviamo ai “giochi viventi” (Lifestyle Games) che, oltre ad estendere la vita del gioco acquistando grossi aggiornamenti, forniscono anche contenuti giornalieri a rotazione, in grado di premiare il giocatore con la valuta del gioco per acquistare nuove attrezzature/componenti, altrimenti acquistabili con soldi reali. Un ottimo esempio di questi giochi è Destiny che, da un lato ha trascurato la campagna giocatore singolo, ma dall’altro ha ottenuto il suo successo facendo leva sull’elemento sociale, come giocare o competere con gli amici, tutti uniti nell’acquisto di moduli GaaS per continuare a giocare tra loro.
Questi giochi sono comunque un azzardo, ne è la prova lo stesso Destiny, il cui successo ha richiesto almeno un anno di tempo e tre espansioni a pagamento, quindi con un grandissimo impegno finanziario per lo sviluppo. Ora Electronics Arts entra nell’arena affidando a Bioware lo sviluppo del “looter shooter” Anthem che, per superare i suoi concorrenti, viene annunciato con un flusso di nuovi contenti con tempistiche più ravvicinate e costanti, in modo tale da mantenere i giocatori avvinti e sempre in attesa di nuove sfide.
La nascita degli Strali
Anthem è ambientato su un pianeta che mescola scenari lussureggianti con reliquie di tecnologia avanzata che devono la esistenza ad una fonte di energia onnipresente conosciuta come “L’inno della Creazione”. Queste reliquie sono instabili e spontaneamente possono originare cataclismi, mutare la fauna selvatica, cambiare il clima locale, creare portali e generare creature mostruose. L’umanità ha una conoscenza limitata delle origini di queste reliquie, di come funzionano e dell’estensione delle loro abilità, ma crede che siano state create da una razza divina chiamata i Creatori, che ha abbandonato il pianeta migliaia di anni fa per ragioni sconosciute.
Secoli prima dell’inizio del gioco, in una regione chiamata Bastion, l’umanità è stata ridotta in schiavitù da una razza di creature che ha sfruttato “L’inno della Creazione” per generare cataclismi contro gli umani che, per difendersi, si rifugiarono in gigantesche fortezze. Un’umana di nome Helena Tarsis e i suoi compatrioti usarono la tecnologia dei Creatori per inventare gli Strali, potenti esoscheletri che avrebbero permesso loro di contrattaccare. Il sacrificio di Tarsis liberò nuovamente la razza umana che continuò a vivere all’interno di città fortificate protette dalle Sentinelle, i piloti degli Strali che fungono da sicurezza primaria e forze di polizia all’interno delle mura della città. Fuori dalle città c’è un mondo pieno di creature pericolose, una razza ostile di insetti chiamati Metamorfici e soprattutto cataclismi causati dalle reliquie instabili dei Creatori. Le città si affidano ai Freelancer, una fazione di mercenari altruistici che pilotano gli Strali per affrontare queste minacce. Purtroppo, oltre a queste minacce, ci sono le truppe armate del Dominio che da tempo vogliono impossessarsi delle reliquie dei Creatori.
Le truppe del Dominio, dieci anni prima della campagna principale del gioco, nel tentativo di impossessarsi del Cenotafio, una reliquia che credevano avrebbe garantito loro il controllo dell’inno, scatenano per sbaglio un potente Cataclisma contro Liberalia, base operativa principale dei Freelancer. A difesa della città intervengono gli Specialisti, i piloti degli Strali e altri guerrieri che però falliscono, Liberaria viene distrutto e il Cataclisma non viene fermato ma rimane perennemente in espansione nella zona. Ciò che rimane è Fort Tarsis dove i sopravvissuti trovano rifugio e cercano di riorganizzarsi con alcuni Specialisti per tentare di arginare il Dominio. Ed è proprio da qui che inizia la nostra avventura come Specialista.
Un Gameplay ricco
Anthem è uno sparatutto in terza persona con elementi di gioco di ruolo d’azione immerso in un “mondo contiguo aperto” e giocabile solamente online, dove noi potremo condividere le nostre gesta con al massimo altri tre giocatori. Ogni giocatore prende il ruolo di un Freelancer che indossa un esoscheletro completamente personalizzabile chiamato Strale. Di base, gli Strali possono essere personalizzati per essere dotati di due armi e abilità speciali difensive ed offensive. In più ci sarà un “Abilità Definitiva” attivabile solo se sarà raggiunta l’energia necessaria.
All’inizio del gioco potremo scegliere tra quattro diversi Strali che si differenziano per le loro caratteristiche di combattimento, i punti di vulnerabilità ed il loro percorso evolutivo. Avremo il Guardiano che ha un profilo bilanciato tra attacco e difesa; Colosso che è uno Strale più grande e più pesantemente corazzato; l’Intercettore che è focalizzato su combattimenti ravvicinati e può muoversi rapidamente ed infine Tempesta che usa una potente tecnologia per scatenare attacchi levitando senza sforzo nell’aria. Via via che si sale di livello avremo disponibili ad altri Strali più potenti che potremo cambiare quando vorremo. Ovviamente è la crescita del proprio Strale che farà la differenza in Anthem. Ad esso potremo associare un equipaggiamento fatto da armi ed accessori che si differenziano per la loro rarità ed il risultato della loro combinazione. Come visto in altri giochi, ogni componente aumenterà il livello dello Strale che ne determinerà la potenza ed il livello. In questo gioco non può certo mancare la personalizzazione estetica dello Strale che come sempre ci darà la possibilità di distinguerci da chiunque altro.
Il punto di incontro del gioco è Fort Tarsis, la roccaforte centrale di Anthem. Costruito dall’omonimo generale Helena Tarsis, funge da insediamento fortificato contro le minacce del mondo esterno ed è anche il punto in cui il giocatore va a ricevere nuove missioni e incarichi freelance. Fort Tarsis è un crogiolo di umanità varia dove si incontrano tutte le diverse fazioni del gioco con cui interagiremo per la progressione della storia. Troveremo gli Specialisti come noi in grado di pilotare Strali speciali; le Sentinelle che sono guardie private con armatura identica; i Codificatori formati da umani con capacità telepatiche per comunicare con gli altri e gli Arcanisti formati da scienziati e studiosi in continuo movimento per Bastion con l’obiettivo di risolvere i misteri che si vi si trovano. La nostra interazione in prima persona con queste fazioni equivarrà ad accettare o rifiutare missioni e contratti. Ma queste non saranno le uniche missioni secondarie disponibili perché Anthem, oltre alla storia principale e alle missioni delle fazioni prevede anche le Roccaforti con sfide molto impegnative e una modalità a gioco libero che ci consente di partecipare a missioni di vario genere.
Per finire, essendo Anthem un “looter shooter”, dispone di un sistema che si basa sulla raccolta di armi ed accessori ogni volta che si uccide un nemico o che si completa una missione. Più si sale di livello o più forte è il nemico abbattuto, più importanti ricompense otterremo. In ogni caso, vale sempre la regola di raccogliere tutto ciò che troveremo in giro per poterlo poi utilizzare per creare nuove armi e accessori.
Un gioco a due volti
Per dare un giudizio un minimo obiettivo, bisogna spendere molto ore con Anthem tentando di sviscerare la maggior parte di caratteristiche di questo gioco. Il primo impatto con l’universo del gioco creato da Bioware è fantastico, si rimane colpiti da quanto è bello il mondo di Bastion e da quanto sono pieni di dettagli gli Strali e tutto ciò che vive in questo mondo. Il comparto grafico è riuscito a disegnare un’esplosione in verticale degli scenari, appositamente creati per esser navigati con gli Strali. Un paesaggio alieno pieno di panorami fantastici e rovine meravigliose.
Detto questo, dopo poche ore di gioco, la prima positiva impressione lascia spazio alla realtà del gameplay che trova forse il suo punto più dolente nella gestione dei Menu e di quanto questi ostacolino il prosieguo della narrazione. Spesso ci si trova in un percorso ad ostacoli di Menu che rallentano il gioco e che sono numericamente troppi e poco pratici nella loro gestione. A questo si aggiungono schermate di caricamento lunghe e purtroppo numerose, soprattutto durante la progressione delle missioni. Dopo un inizio coinvolgente, la storia diventa un po’ fiacca e le missioni prevedibili e ripetitive. A questo si devono aggiungere molti bug fastidiosi ed uno in particolare che porta al crash del gioco. Ma siamo sicuri che a questi problemi Bioware provvederà presto.
Anthem è visivamente molto bello ed ha un gameplay originale, divertente e con grandissime potenzialità Ma Anthem è anche contraddittorio e deludente. La storia è debole e ripetitiva. La sua bellezza viene ostacolata da bug e difetti nelle meccaniche del gameplay che trasformano il divertimento in lavoro. Un gioco carino ma poco profondo e che, al momento, non invita a proseguire, lasciandoci in attesa dei prossimi DLC per stimolarci a tornare su Bastion.
Days Gone, apparso inaspettatamente allo scorso E3, si è materializzato la scorsa settimana a Milano quando ha fatto tappa il “Days Gone World Tour Preview Event”, organizzato da Sony Interactive Entertainment Italia con la presenza di John Garvin, Creative Director e Writer di Bend Studio.
Days Gone è un gioco survival-horror adventure in terza persona, ambientato in un mondo aperto decimato da una pandemia e ormai per la maggior parte popolato dai Freakers, una variante di zombie cannibali che si muovono in orde e che sembrano in grado di evolvere. Il giocatore impersona Deacon St. John, un ex-fuorilegge motociclista trasformato in vagabondo che cerca una ragione di vita in una terra ormai piena di morte.
Le demo a nostra disposizione dura circa tre ore ed è composta dalla prima ora che corrisponde esattamente all’inizio del gioco e che ci permetterà di familiarizzare con i comandi ed il gameplay; mentre le restanti due ore sono ambientate in un momento avanzato di Days Gone, quando ormai il nostro personaggio è cresciuto in termini di esperienza, armi e funzionalità.
Ci troviamo negli Stati Uniti settentrionali ed il gioco si apre con una luna sequenza video drammatica, durante la quale Deacon mette in salvo su un elicottero la sua compagna Sarah ma, invece di unirsi a lei verso la salvezza, si sacrifica rimanendo in aiuto del suo amico ferito Boozer, con la speranza di ritrovarla in futuro. Con un salto temporale di due anni ci troviamo ad iniziare il gioco seguendo un tutorial live che ci permetterà di approcciare i comandi base e la guida della moto. Da subito si nota un fortissimo comparto narrativo che vede in Deacon e nel suo viaggio on-the-road il perno di una storia profonda ed avvincente, basata su un personaggio non lineare, non limpido e che nasconde a sé ed agli altri i tormenti di una vita che deve esser stata molto difficile.
Deacon si muoverà all’interno di questo mondo evolvendo la sua abilità attiva di combattimento e quella passiva di sopravvivenza tramite scelte di movimenti stealth più prudenti per raggiungere gli obiettivi. Lo scenario intorno non è dei più pacifici, sin dall’inizio i Freakers non saranno facili da abbattere e quindi la natura sandbox del gioco ci permetterà di scegliere approcci alternativi per superare gli ostacoli. Le armi non saranno mai molte e, anche affrontando il gioco in modalità normale, le più diffuse, come bastoni e mazze, si consumeranno facilmente dopo un paio di scontri corpo a corpo. Un’altra componente importante di Days Gone è la nostra amata motocicletta.
Sarà nostro dovere prendercene cura per averla sempre funzionate e rifornita di benzina, ma soprattutto, con tutti gli accessori che la trasformeranno nella nostra riserva di oggetti utili. Il gameplay mescola le classiche componenti che abbiamo visto in altri giochi del genere survival-horror. Si devono raccogliere molti oggetti per sfruttarli grazie al crafting. Avremo missioni primarie e secondarie superate le quali Deacon evolverà in minore o maggiore misura e grazie alla moto ci muoveremo in tutta la mappa. E a proposito proprio della motocicletta devo segnalare una meccanica di movimento un po’ difficoltosa ed imprecisa che, vista l’importanza del suo uso nel gioco, speriamo riesca a subire miglioramenti prima dell’uscita.
Ma sono due le cose che più mi hanno impressionato della prova. La prima è la violenza presente in Days Gone che, ultimamente, raramente ho incrociato. Aspettatevi una crudezza sopra le righe che metterà alla prova la vostra voglia di guardare lo schermo. La seconda è una storia che si avvale di un impressionante numero di sequenze video che frequentemente interrompono la fluidità ed il ritmo del gioco, per lasciare spazio a movimenti pilotati, scene di raccordo tra un momento e l’altro della storia o a parti narrative importanti della vita affettiva di Deacon.
Per il resto, tecnicamente Days Gone sembra già ad un buono stadio, l’open-world si presenta con molti dettagli e visivamente godibilissimo, anche se si percepisce la necessità di una pulizia finale prima che diventi Gold.
Days Gone non ha l’ambizione di essere un prodotto rivoluzionario ma è sostenuto da una sceneggiatura solida ed articolata che lo rendono un prodotto da tener d’occhio. Le fasi di azione alternano frenesia di combattimenti a movimenti in cui trattenere il fiato per non morire. Attendiamo il prodotto finito per il verdetto finale.
Dopo meno di un anno dalla pubblicazione di Far Cry 5, Far Cry: New Dawn è già stato rilasciato come titolo multipiattaforma da Ubisoft Montreal. Il motivo è presto detto: trattandosi di uno spin-off della saga, ma anche e soprattutto di un seguito del quinto Far Cry, buona parte degli asset di gioco erano già completi e gli sviluppatori si sono potuti concentrare sulla realizzazione degli elementi originali.
Dopo un disastro nucleare, prevedibilmente il mondo come lo si conosceva è cambiato. Si tratta in primis di un acuto espediente per ripresentare la mappa del quinto capitolo della saga, con alcune opportune modifiche; è anche presente una simpatica missione secondaria di raccolta di vecchie fotografie, proprio per mostrare un di varie aree di gioco rispetto alla loro versione precedente.
Dal punto di vista estetico, Far Cry: New Dawn propone una palette di colori inusuale per un titolo post apocalittico, con colori ipersaturi sia nelle tinte fredde che in quelle calde, con evidente predominanza del colore rosa tanto in natura quanto nelle costruzioni artificiali. Il colpo d’occhio è notevole e nonostante la grafica su console non sia sempre al top (e alcune animazioni risultino poco convincenti) l’effetto d’insieme è appagante e a tratti artistico, con scorci che meriterebbero a pieni voti una cornice.
L’originalità visiva di Far Cry: New Dawn non si riflette appieno nel comparto narrativo: ambientato circa 17 anni dopo la conclusione di Far Cry 5, Far Cry: New Dawn mette il giocatore nei panni del “Capitano della Sicurezza”, vittima di un assalto al proprio treno durante il trasferimento della sua squadra in sussidio della popolazione di Hope County. Rispetto al loro predecessore Joseph Seed, le gemelle Mickey e Lou sono antagonisti poco presenti e di poco spessore: buona parte dei loro dialoghi si riduce a stizzite minacce via radio e nonostante il design accattivante e il grande potenziale che sarebbe derivato dalla loro parentela, il risultato finale difficilmente lascerà il segno nel cuore e nella mente dei giocatori.
Purtroppo o per fortuna, già dal trailer di annuncio del titolo è stato evidente come l’intero progetto New Dawn fosse stato pensato per faservice e per dunque offrire (di nuovo) a Joseph Seed la parte del leone: al contrario delle Gemelle, la presenza di Seed è una costante già dalla prima metà della campagna, anche quando non fisicamente presente. Di fatto, la conclusione della storia di Far Cry: New Dawn è una più che soddisfacente chiusura del personaggio e delle conseguenze di ogni sua azione, il tutto accompagnato da un ottimo doppiaggio italiano e una regia gradevole, per quanto limitata dall’uso della prima persona e da un protagonista muto.
Ciò che più intrigava e preoccupava di Far Cry: New Dawn era l’integrazione di meccaniche GDR all’interno di uno sparatutto action in prima persona. La buona notizia è che il sistema funziona bene e i livelli di nemici, animali e accampamenti sono ben distribuiti sulla mappa in maniera da non annoiare o frustrare. La forza del protagonista dipende dall’equipaggiamento e dai Punti Tratto: il primo è craftabile presso ogni banco da lavoro, a patto di possedere i materiali necessari e una base operativa (Prosperity) di livello adeguato, mentre i secondi richiedono un minimo di esplorazione e superamento di alcune piccole sfide.
È possibile acquistare armi, veicoli, materiali e Punti Tratto tramite microtransazioni e accelerare ulteriormente il processo ma, a meno di non voler correre disperatamente verso il finale del gioco saltando quasi ogni attività opzionale, Far Cry: New Dawn risulta godibilissimo senza spendere un centesimo oltre il prezzo di listino del gioco base.
Per quanto riguarda le attività secondarie, ecco arrivare anche la cattiva notizia: Far Cry: New Dawn offre una campagna principale relativamente breve, con circa una ventina di missioni e alcune scelte “morali” che però poco o nulla influiscono sul corso principale degli eventi. Punto di forza del titolo sono invece le attività opzionali: che si tratti di una spedizione con estrazione via elicottero, la caccia di selvaggina mutante e non, esplorazione di strutture abbandonate con enigmi ambientali e premi preziosi o i sempre amati Avamposti nemici, ogni missione secondaria concede al giocatore premi ghiotti. Il feeling dei comandi è ottimo per quanto riguarda il combattimento a distanza, meno preciso nel caso degli attacchi corpo a corpo, ma il risultato finale regala sempre e comunque soddisfazione.
L’IA alleata e avversaria non è delle migliori e questo porta facilmente a situazioni poco credibili e al limite del comico, specialmente nel caso di scontri all’aperto, come gli assalti alle camionette di trasferimento dei prigionieri o le cisterne di etanolo. Quest’ultimo è il materiale più prezioso di Far Cry: New Dawn, oltre che l’unico a non poter essere acquistato con denaro reale.
L’etanolo è fondamentale per il potenziamento di Prosperity e dunque, indirettamente, del protagonista: un livello di armeria più alto permetterà di creare armi di livello superiore, un livello d’infermeria superiore aumenterà la salute massima, un garage più grande offrirà un parco veicoli più ampio e così via. Nessuno obbliga il giocatore a “farmare” etanolo per potenziare al massimo le infrastrutture di Prosperity, ma è inutile dire che maggiori saranno le scelte a disposizione, maggiore sarà il divertimento e il potere distruttivo.
Avanzando nella main quest si incontreranno nemici via via più potenti, con una regolare progressione, ma la struttura open world permette di inoltrarsi in aree avanzate per testare la propria abilità, andando a cacciare creature pericolose o attaccando Guerrieri della Strada armati e corazzati; tuttavia, è qui che Far Cry: New Dawn mostra maggiormente il fianco alle critiche. A differenza dei predecessori, la presenza di tier di potere (i livelli, appunto) rende drammaticamente difficile abbattere persone e creature di livello particolarmente alto e questo a prescindere dall’abilità e dall’esperienza del giocatore.
Ubisoft avrebbe potuto lucrare molto di più su questo aspetto parametrico, spingendo con malizia i giocatori verso l’acquisto di armi potenti, ma per fortuna non è questo il caso. Senza dubbio moltissimi appassionati del franchise storceranno il naso davanti alla piega GDR presa da Far Cry (cosa accaduta anche al franchise Assassin’s Creed) ma per il momento queste meccaniche non sono abbastanza invadenti da stravolgere il sistema di esplorazione, saccheggio e potenziamento tipico dei Far Cry.
Piccola nota dolente per quanto riguarda le boss fight, dove l’IA scadente la fa da padrona e riduce buona parte degli scontri a una rianimazione ciclica del proprio compagno (che può essere un NPC selezionabile tra un roster di otto o un altro giocatore in carne e ossa) e una corsa in tondo nel tentativo di schivare i colpi del nemico, mentre gli si scarica addosso tutto il materiale offensivo a disposizione: un peccato, visto che questo rovina tantissimo l’atmosfera di eventi che, se gestiti meglio, avrebbero potuto regalare grandi emozioni calate in un contesto fantapocalittico estremamente curato.
Far Cry: New Dawn è un validissimo spin-off / sequel di Far Cry 5; prova a reinventare l’esperienza di gioco, riuscendoci in buona parte e offrendo una storia gradevole, un setting affascinante, esplorazione appagante e un’economia di gioco insospettabilmente solida per un titolo che prevede una così ampia scelta di microtransazioni, cosmetiche e non.
Guarda il nuovo Story Trailer di APlague Tale: Innocence, il nuovissimo titolo dei ragazzi di Asobo Studio, che con il loro expertise nel settore dello sviluppo dei videogiochi stanno creando un’emozionante storia di avventura e legame fraterno, ambientato in uno dei momenti più bui della storia dell’uomo.
Con il nuovo Story Trailer potete dare uno sguardo alla struggente storia della giovane Amicia e suo fratello Hugo, in fuga dalla Peste Nera, da orde di ratti, dall’Inquisizione e tutto ciò che ne consegue. Nella giornata odierna viene anche aperta la possibilità di preordinare il gioco sulla vostra piattaforma preferita.
La storia inizia nel Regno di Francia, dove la popolazione sta incominciando a sentire le conseguenze della Guerra dei Cento Anni e della comparsa della Peste Nera. La famiglia De Rune trascorre ancora la propria vita in pace e sicurezza, all’interno del loro castello, circondati dai loro terreni, ma la pace non può durare in eterno…
Amicia e Hugo intraprenderanno un incredibile viaggio che li porterà in posti fantastici: alcuni indescrivibilmente terrificanti, altri ossessivamente meravigliosi, mentre molti saranno un misto delle due cose. Le varie persone che i fratelli incontreranno sul loro cammino daranno forma alla loro storia. Amicia e Hugo dovranno collaborare e proteggersi a vicenda, dato che è improbabile che uno riesca a sopravvivere senza l’altro. Con il rafforzamento del loro legame però, anche il mondo diventerà più crudele, rendendo il loro rapporto più vitale che mai.
APlague Tale: Innocenceè ora preordinabile su PS4, Xbox One e PC e sarà disponibile dal 14 maggio.
In ritardo rispetto a quanto annunciato, ecco il terzo episodio della serie Crackdown che, dal 2007, è una delle esclusive Microsoft che non si ricordano per un particolare e costante successo. A onor del vero bisogna dire che la serie non è nata sotto una buona stella, dal momento che il primo episodio era rimasto oscurato dalla presenza ingombrante dell’imminente rilascio della Beta Multiplayer di Halo 3. Nonostante ciò Crackdown è stato sia un successo dal punto di vista della critica che commerciale, riuscendo ad intercettare una corposa nicchia di giocatori entusiasti soprattutto del gameplay non lineare in cui svettava la possibilità di causare massicce e spettacolari distruzioni a scapito però di una storia vera totalmente assente. Mentre il primo episodio era andato abbastanza bene, il secondo era troppo simile al primo, risultando così un po’ troppo piatto e ripetitivo. Siamo ai giorni nostri e per la terza volta Microsoft Studios cambio il team di sviluppo affidando a Sumo Digital la realizzazione di Crackdown 3, sotto la direzione David Jones, creatore originale della serie.
Il giocatore assume di nuovo il ruolo di un agente geneticamente modificato e con super poteri appartenente all’Agenzia governativa. Dieci anni dopo gli eventi di Crackdown 2, un attacco terroristico da una fonte sconosciuta colpisce le città di tutto il mondo con un terribile blackout seguito da inondazioni. I superstiti trovano rifugio in una nuova città chiamata New Providence, controllata dalla misteriosa organizzazione Terra Nova diretta da Elizabeth Niemand, loro capo supremo. L’Agenzia viene rimessa in azione dopo la scoperta che l’attacco al mondo è stato lanciato proprio dalla città di New Providence e quindi obiettivo dei super-agenti sarà quello di smantellare Terra Nova.
Crackdown 3 mantiene il gameplay di base di Crackdown e Crackdown 2, caratterizzato da una mappa che presenta una rete di centri nevralgici che controllano New Providence e che il giocatore deve distruggere uccidendo il boss e demolendo la struttura per destabilizzare le infrastrutture che sorreggono la città. Noi potremo impersonare un Agente a scelta tra alcune tipologie con caratteristiche estetiche diverse, ma che non presentano nessuna differenza in termini di giocabilità, se non una piccola diversità nella progressione evolutiva del personaggio. Una scelta che non sarà definitiva perché, durante il gioco, troveremo delle stazioni che ci permetteranno di cambiare personaggio a cui saranno associati i livelli di abilità sbloccati analoghi a quelli del personaggio che lasceremo. Infatti, anche in questo terzo episodio, la crescita del nostro Agente si basa sul sistema “Skills for Kills” che permette ad ogni nostra azione compiuta di guadagnare punti che aumentano le cinque abilità a nostra disposizione: Forza, Armi, Esplosivi, Guida e Agilità. Quindi, usare armi diverse, utilizzare la nostra forza fisica, guidare differenti veicoli e raccogliere bonus sparsi nel gioco, tutto sarà utile per ottenere le sfere che aumentano le nostre abilità fondamentali per ogni livello del personaggio.
Crackdown 3 è un gioco d’azione open-world in cui non c’è una storia principale o una linearità di obiettivi da distruggere anche se tutto è connesso, per cui possiamo liberamente scegliere l’ordine con cui procedere nel gioco. Una ulteriore dimostrazione di questo è l’evoluzione dell’Agilità che esula molto da combattimenti e distruzioni dal momento che la si ottiene grazie a scalate di torri radio che si alternano a percorsi platform. Insomma il gioco ha un percorso libero che non segue una sceneggiatura ma che si autoalimenta grazie ad un mondo con estetica fantascientifica, di buone dimensioni e variegato grazie a grattacieli imponenti, crateri tossici e baraccopoli suburbane. Le missioni sono tutte abbastanza ripetitive e ruotano attorno ai combattimenti per la distruzione delle strutture nevralgiche di New Providence. Storie principali e contenuti opzionali possono essere risolti in circa 15 ore al massimo.
Lo stile grafico di Crackdown 3 non brilla particolarmente, giocando ancora sull’uso di un efficace cel-shading ma che non basta per rendere il gioco graficamente moderno e pieno di dettagli. Le uniche soddisfazioni visive vengono dai combattimenti e dalle esplosioni in cui un abile uso dei colori ed animazioni le rende assolutamente spettacolari.
Ma se fin qui abbiamo parlato della campagna single-player di Crackdown 3, altra cosa è l’attesa modalità multigiocatore Zona Demolizione, in grado di sfruttare l’elaborazione fisica nella piattaforma di Cloud Computing Azure di Microsoft per gestire combattimenti in cui quasi tutto l’intero ambiente può essere realisticamente fatto a pezzi. E l’introduzione di questa tecnologia sembra proprio esser stato il fattore che ha ritardato lo sviluppo ed il rilascio del gioco. Il comparto multigiocatore prevede due modalità. La prima è Caccia all’Agente, un Team Deathmatch in cui la conferma dell’uccisione avviene tramite raccolta del distintivo dell’avversario. La seconda è Conquista, una classica modalità in cui si controllano delle zone della mappa che cambiano posizione dopo un tot di tempo. A disposizione abbiamo tre mappe molto belle ed ampie che permettono a due squadre di 5 giocatori di distruggere totalmente gli ambienti grazie al supporto del Cloud Computing. Questa esperienza, nonostante qualche problema di connessione, è stata molto divertente ma onestamente non sono così sicuro che, nel 2019, sia strettamente necessario il sostegno della tecnologia in Cloud per ottenere questi risultati. Un velo di delusione c’è.
Per finire, Crackdown 3 purtroppo è uno dei titoli che Microsoft decide di non doppiare in italiano e la cosa ovviamente non ci rende felici, soprattutto perché in questo gioco di parlato ce n’è tanto e spesso si sovrappone a scene di combattimento molto rumorose.
Un videogioco non figlio dei nostri tempi. Nel 2007, questo gioco d’azione open-world ha creato una strada che molti hanno seguito e di cui Crackdown 3 non è la giusta evoluzione. Rimane un gioco divertente, spettacolare e da consumare, ma questo non basta nel 2019 per giustificare questo tipo di eroe e questo tipo di gameplay. E non credo nemmeno che l’uso del Cloud Computing sia valso i ritardi avuti.
Ubisoft ha svelato i contenuti della Special Operation 4 per Tom Clancy’s Ghost ReconWildlands, il nuovo e importante aggiornamento gratuito per il secondo anno di contenuti post-lancio del gioco.
La Special Operation 4 sarà disponibile da domani, 27 febbraio, per PlayStation 4, Windows PC e la famiglia di dispositivi Xbox One, tra cui Xbox One X. L’aggiornamento includerà la nuova modalità PvE Guerrilla, la nuova classe PvP Guastatore e molte altre funzionalità richieste dalla community.
La modalità Guerrilla amplia l’esperienza PvE del gioco con una sfida davvero unica, in grado di mettere alla prova la resistenza, le abilità e le tattiche dei giocatori. Da soli o con un team di massimo quattro Ghost, i giocatori dovranno difendere alcune posizioni chiave da ondate di membri del Cartello e della Unidad sempre più letali. Per ogni ondata completata, avranno la possibilità di acquistare e potenziare armi, abilità e accessori, grazie alle risorse ottenute dai nemici eliminati. Ogni scelta sarà determinante e la strategia sarà essenziale per superare questa sfida davvero impegnativa.
Oltre alla modalità Guerrilla, la Special Operation 4 introduce una vasta gamma di nuovi contenuti focalizzati sul PvP di Ghost War, tra cui:
Una nuova classe PvP: il Guastatore è una nuova opzione per la classe Supporto in grado di impiegare un drone specializzato che può lanciare mine “a concussione”. Queste mine riducono la resistenza dei giocatori, eliminandoli o rallentandone la corsa.
Due nuove mappe PvP.
Due nuovi eventi PvP:
Arms Race: i giocatori entrano in azione armati solo di pistola e sono costretti a esplorare la mappa alla ricerca di armi migliori.
Danger Zone: i giocatori vengono periodicamente bombardati con esplosioni ultrasoniche, che li costringono a muoversi in continuazione.
In linea con i precedenti aggiornamenti del secondo anno, Tom Clancy’s Ghost Recon Wildlands riceverà anche molte funzionalità e miglioramenti richiesti dalla community, tra cui impostazioni dell’ora per la modalità Campagna in giocatore singolo, una nuova notifica di emorragia in Ghost War, un’opzione per l’aggiunta della bussola nell’HUD nel PvE, oltre all’introduzione di sfide giornaliere della campagna con maggiori ricompense. Infine, l’Operazione Speciale 4 aggiungerà la nuova visuale Mappa di calore, grazie alla quale i giocatori potranno visualizzare i luoghi più visitati nelle Wildlands e scoprirne alcuni che potrebbero non aver mai visto prima.
Il Ghost Recon Wildlands Year 2 Pass offre sette giorni di accesso anticipato alla nuova classe di Ghost War, oltre all’esclusivo Active Duty Pack a partire da domani. Tutti gli altri giocatori potranno accedere alla nuova classe PvP dal 6 marzo. Per maggiori informazioni, visita ghostrecon.com.
Sviluppato dallo studio Ubisoft di Parigi*, Tom Clancy’s Ghost Recon Wildlands è uno sparatutto militare interamente giocabile da uno a quattro utenti in modalità cooperativa. I giocatori potranno scegliere liberamente come portare a termine le missioni in uno scenario dinamico che reagirà sempre alle loro azioni. Potranno agire in maniera furtiva di notte, entrare in azione all’alba o collaborare per eseguire un colpo sincronizzato, in grado di eliminare più nemici in un’unica sortita. Ma ogni scelta avrà delle conseguenze, perciò dovranno improvvisare o adattare le proprie strategie per completare con successo ogni missione. Tom Clancy’s Ghost Recon Wildlands Ghost War consente ai giocatori di provare l’esperienza in cooperativa definitiva attraverso alcune modalità 4v4. Con una serie di classi, mappe e modalità in costante espansione, Ghost War si focalizza su lavoro di squadra, strategia e intensi scontri tattici.
Il franchise Metro deve la sua fama alla penna di Dmitry Glukhovsky che ha scritto il romanzo Metro 2033, ma soprattutto al successo dei giochi di A4 Games che hanno stimolato lo scrittore ad ampliare narrativamente la storia dei sopravvissuti nella metropolitana di Mosca. Metro Exodus è il terzo e, forse, ultimo capitolo della serie ed è ambientato esattamente a ridosso del finale del precedente Metro Last Light.
Ritroviamo Artyom, il protagonista della saga, che, sempre più convinto che esista vita al di fuori della metropolitana di Mosca, trova finalmente la conferma della sua idea fissa e grazie ad un treno soprannominato Aurora, attraverserà la Russia alla ricerca dei sopravvissuti insieme alla moglie Anna e al colonnello Miller, capo degli Spartani e padre di Anna, già personaggi centrali dei precedenti episodi. Il lungo viaggio, e quindi il nostro gioco, durerà un anno e, guarda caso, sarà composto da 12 capitoli che porteranno Artyom in numerose località, ognuna rappresentata da una diversa stagione ambientale.
Lo scostamento narrativo di Metro Exodus rispetto alle storie dei precedenti capitoli è il coinvolgimento di Anna nell’evoluzione della storia e dei comportamenti di Artyom. Il suo punto di vista sarà per Artyom lo stimolo per lanciarsi in ogni missione e, al suo ritorno, per discutere sul futuro che li attende. Non più un uomo solitario che si batte per finire la missione subito pronto per un’altra ma un viaggio a più voci umanizzato dalla presenza della moglie e da altri compagni che arricchiscono il comparto narrativo.
Una sceneggiatura portante
A4 Games utilizza una ricca sceneggiatura non solo per dare più respiro alla storia, ma soprattutto per alternare l’obiettivo primario con missioni secondarie che contribuiscono a sostenere l’idea che Metro Exodus possa in qualche modo esser considerato unFPS Open-World.
In realtà non ci sono dubbi, siamo lontani dalle mappe aperte di alcuni giochi e A4 Games ne è furbescamente consapevole, avendo disegnato alcune aree solamente molto grandi ma linearmente attraversabili grazie a molteplici missioni che ce le fanno sembrare totalmente aperte. Certo, queste aree e le relative ambientazioni, ci portano lontano dalle atmosfere claustrofobiche dei tunnel della metropolitana a cui ci hanno abituati i due precedenti capitoli e sicuramente a molti giocatori questo mancherà. Ma, questo nuovo mondo esterno ed i relativi abitanti sono splendidi e riccamente dettagliati. Grazie a texture, modelli ed animazioni di alta qualità il mondo distrutto dal disastro nucleare ci viene presentano in un modo sorprendente. E l’impegno maniacale nei dettagli si riflette in ogni aspetto del gioco.
Come da tradizione Metro
Chi ha giocato ai due precedenti episodi sarà contento di sapere che il gameplay non è stato cambiato ma sicuramente migliorato nelle sue componenti base. Anche Metro Exodus vive l’alternanza di scontri a fuoco frenetici con sequenze stealth che ci vedono avanzare tra i nemici pulendoci la maschera, cambiarne il filtro, usare l’accendino e lanciare coltelli per non esser scoperti. Ma in questo episodio il nostro equipaggiamento è salito di livello, in termini sia di contenuti che di qualità della personalizzazione.
Le armi sono complessi esempi di ingegneria fai-da-te che assomigliano a vere e proprie armi da fuoco. Ogni miglioramento è fatto per riflettersi in maniera autentica sulle prestazioni dell’arma e sul risultato che si ottiene. La possibilità di utilizzare lo zaino per poter migliorare al volo un’arma è estremamente gratificante. Così come l’uso di banchi da lavoro per più complessi lavori di crafting. Insomma, che sia una, pistola, un fucile da caccia o il potente Tikhar ad alimentazione pneumatica, la quantità di personalizzazione è a dir poco impressionante. Alla varietà di armi fa da contraltare la scarsità di munizioni che alza il livello di tensione del gioco, costringendoci ad alternare le strategie di attacco per raggiungere gli obiettivi.
Purtroppo però, nel solco della tradizione, anche Metro Exodus vede nell’IA dei nemici il vero “punctum dolens”. Sembra incredibile, è dal primo episodio che questa critica è stata la più sottolineata e, anche in questo capitolo nulla o poco, molto poco, è stato fatto per migliorare questo problema. Da una parte, in spazi più piccoli e ristretti, la maggior parte dei combattimenti riescono a offrire abbastanza tensione e relativa difficoltà. Dall’altra, negli spazi più aperti, solo quando i nemici hanno una linea di vista su di noi cominciano ad ingaggiarci ma, se rimaniamo nascosti per qualche secondo, sembra proprio che si dimentichino della nostra presenza dandoci la possibilità di avvicinarci sino a un metro senza che si muovano o ci sparino.
Ambientazioni spettacolari
Come accennato in precedenza, il livello di dettaglio con cui 4A Games ha disegnato i livelli di Metro Exodus è così elevato e superbo che, spesso, portano il giocatore a camminare invece che correre per poter apprezzare i dettagli più sottili e per esplorare ogni ambiente alla ricerca di oggetti e obiettivi nascosti. Merito di questo va sicuramente anche all’uso sapiente degli effetti speciali che animano gli ambienti rendendoli incredibilmente realistici.
Metro Exodus è un gioco non privo di difetti ma che sa come farsi amare. Intanto è uno degli ormai rari FPS Single-Player con una storia lunga e profonda. Il tutto immerso in ambienti splendidi e con uno dei migliori sistema di crafting delle armi che si sia mai visto. Per contro, resta aperto il problema dell’IA dei nemici e qualche bug che ne abbassano il giudizio finale. Ciononostante, la combinazione unica di una storia robusta ed un gameplay coinvolgente, rendono Metro Exodus una esperienza survival-horror assolutamente da provare per gli amanti degli sparatutto.
La serie videoludica Monster Hunter ha riscosso enorme successo in ogni angolo del mondo e creando un sottogenere videoludico praticamente unico: com’è normale che sia, però, l’accoglienza più grandiosa è sempre stata quella della madrepatria, ovvero il Giappone, con tanto di eventi dedicati e incredibili installazioni a tema.
Non bisogna dunque stupirsi se è sempre dal Giappone che arrivano titoli “estremamente ispirati” a Monster Hunter, come del resto accaduto per l’occidentale Diablo e la sua legione di diablo-like, o diablo-clone, che dir si voglia.
God Eater 3 fa esattamente parte di quella categoria di giochi: un brand nato su e per piattaforme portatili (PSP e in seguito anche smartphone) che è riuscito a trovare una propria autonomia e ritagliarsi una buona fetta di appassionati. Il terzo capitolo principale della saga (esistono anche alcuni spin-off, remastered e riedizioni) sbarca invece su PlayStation 4 e ambiente Windows, senza quindi passare per l’ormai anziana piattaforma portatile di casa Sony.
La scelta è senza dubbio interessante ed ha aperto nuove possibilità di sviluppo e miglioramento; purtroppo, però, buona parte delle occasioni sono andate sprecate.
God Eater 3 è un titolo che concede maggior spazio alla narrativa rispetto alla lontana famiglia di giochi Monster Hunter, alleggerendo la componente parametrica e grinding per avvicinarla a quella di un “classico” Action JRPG. Si tratta di una scelta comprensibile e che anzi, potrebbe attrarre tutta quella fetta di pubblico intimorita dal terrificante volume di time-consuming normalmente richiesto dai giochi Capcom, specialmente per l’endgame.
Nonostante entrambe le produzioni provengano da suolo nipponico, non è sbagliato affermare che God Eater 3 è “più giapponese” di Monster Hunter. Questo purtroppo non si rivela essere un complimento in senso assoluto, dato che tanto per narrativa, quanto per design di personaggi e creature nemiche – gli Aragami – il risultato finale è sì gradevole, ma anche estremamente banale, poco ispirato.
A una trama leggera e senza troppe pretese come quelle dei Monster Hunter (che riescono comunque a giustificare la presenza, l’habitat e il comportamento di ogni “mostro” ingame) God Eater 3 ha sostituito un setting post-apocalittico con basi di partenza interessanti, che crescono e si sviluppano su clichè e stereotipi talmente scolastici da far storcere il naso spesso e volentieri anche a chi non disdegna questo genere di produzioni. Per fortuna è possibile saltare a piè pari tutti i filmati di gioco, per cui la stucchevolezza di certe scene può essere aggirata senza che il gameplay ne risulti in qualche modo limitato.
Ad aggravare la situazione è l’identità del protagonista, avatar personalizzabile dal giocatore in una buona quantità di particolari, ma che per questa ragione risulta privo di qualunque carisma e linea di dialogo, relegando gli scambi di battute ai personaggi secondari e limitandosi a muovere la testa in maniera poco credibile; la qualità mediocre delle animazioni dei modelli e un labiale a volte inspiegabilmente assente non aiutano l’immedesimazione, nonostante l’ottimo lavoro svolto in sede di doppiaggio inglese e giapponese.
God Eater 3 raccoglie a piene mani l’eredità portatile dei suoi predecessori: la grafica e le già citate animazioni non rendono giustizia all’ottava generazione videoludica. Le ambientazioni sono poche, vuote e piuttosto anonime, malamente “rallegrate” dalla presenza di alcuni Aragami dal design piacevole, ma a loro volta vittima di troppi reskin nel corso dell’avventura.
Reale punto di forza di God Eater 3 si rivela il gameplay, che come già detto è più leggero e dinamico rispetto a quello di un classico Monster Hunter: non è necessario scoprire informazioni sugli avversari, le creature ostili non presentano pattern comportamentali complessi e da apprendere, la durata media di una missione difficilmente supera il quarto d’ora e l’intelligenza artificiale dei compagni di squadra permette di apprezzare il gioco nella sua interezza anche senza amici con cui giocare.
Le armi, trick-weapon chiamate God Arc, sono numerose e con moveset molto diversi tra loro; sarà possibile equipaggiare contemporaneamente una lama per il corpo a corpo, un’arma da fuoco per gli attacchi a distanza e uno scudo per scattare in avanti e deflettere i colpi. Ogni arma è personalizzabile con le abilità passive ottenute al termine delle missioni in forma di drop e avrà il suo personale albero di potenziamenti per essere trasformata in uno strumento offensivo più potente.
L’uso degli oggetti risulta fondamentale man mano che si avanza nel gioco: God Eater 3 offre una curva di difficoltà ben pensata, con giusto il classico picco di fine campagna, unica sezione in cui sarà effettivamente necessario ripercorrere missioni già svolte per ottenere denaro e risorse per rinforzarsi e ottimizzare la propria build di equipaggiamento e abilità.
Oltre alle missioni standard (divise in obbligatorie e opzionali, leggermente più difficili) è possibile partecipare a Missioni d’Assalto, veri e propri raid a otto giocatori che richiederanno ai partecipanti di abbattere un potente Aragami Cinereo con solamente cinque minuti a disposizione; inutile dire che i premi di questa modalità saranno estremamente ghiotti e giustificheranno l’impegno profuso.
Non si può negare che, rispetto ai titoli precendenti, qualche passo avanti God Eater 3 l’abbia fatto: la meccanica della Divorazione, chiave del successo durante gli scontri con i “boss” di ogni missione, è adesso molto più immediata e attivabile anche durante i movimenti a mezz’aria; anche la possibilità di scattare in avanti impugnando lo scudo consente movimenti molto più rapidi all’interno delle mappe e durante gli inseguimenti delle creature ferite e in fuga.
Sono stati anche inseriti i già menzionati Aragami Cinerei, entità più potenti delle loro controparti “classiche”, in grado di attivare a loro volta la Burst Mode tramite Divorazione, fino ad ora prerogativa dei protagonisti, ovvero i God Eater da cui la saga prende il nome; nel caso in cui la Divorazione vada a segno, l’Aragami Cinereo entrerà in uno stato di berserk, con nuove mosse e un potere offensivo maggiore.
Tutto questo sarà senza dubbio benvenuto agli occhi dei fan della saga e garantisce decine d’ore di divertimento, accompagnate da una narrazione senza troppe pretese: purtroppo, God Eater 3 rimane un gioco strutturalmente vecchio, legato a un binding tasti e strutturazione di mappe e missioni tipiche dei giochi portatili / mobile… e l’imminente rilascio di Iceborne, prima espansione di Monster Hunter World, abbassa ulteriormente le chance che questo titolo ha di accaparrarsi parte degli aficionados del titolo di casa Capcom, infinitamente più complesso e profondo, oltre che esteticamente più curato.
Rimane un prodotto valido e potenziale alternativa “casual” (ma non troppo) alla caccia di mostri in compagnia di gatti antropomorfi, ma tra il prezzo pieno e la finestra di lancio infelice, si può solo sperare che God Eater 3 sia il trampolino di lancio per la rinascita del brand su piattaforme di gioco casalinghe.