Per affrontare la stagione autunnale più carichi che mai e pronti a sfruttare al massimo i videogiochi più cool del momento, Trust, azienda leader nel settore degli accessori digitali, ha arricchito il proprio portfolio di proposte gaming con due nuove tastiere e un mouse di fascia media. La tastiera meccanica Mazz, la semi-meccanica Odyss e il mouse Ybar, infatti, saranno ottimi alleati di chi cerca ottime prestazioni tecniche a un prezzo competitivo.
Tastiera meccanica GXT 863 MAZZ
Conveniente, versatile ed audace: per affrontare lunghe sessioni di gioco in compagnia degli strumenti giusti, Trust presenta la tastiera meccanica GXT 863 Mazz, la regina dei giochi. Dotata di interruttori meccanici Outemu RED rapidi, reattivi e capaci di resistere a 50 milioni di battute, questa tastiera è pronta a sopportare anche sfide giornaliere più intense. Con una forza minima di attuazione di 50G (60G max) e un punto di attuazione di soli 2mm (4mm di spostamento totale), la tastiera registra il comando ancor prima che ci si accorga di premere i tasti.
Con la tastiera Mazz la parola d’ordine è “personalizzazione”: grazie allo sfondo retroilluminato e alle 14 diverse modalità di illuminazione e luminosità regolabili, Mazz è pronta ad accontentare i gusti di ogni giocatore. Impostando la combinazione di luci preferita, sfidare gli avversari sarà ancora più semplice e avvincente, grazie anche al supporto dei tasti multimediali integrati e ai rapidi interruttori meccanici.
Infine, Mazz incorpora la tecnologiaN-key rollover, soluzione anti-ghosting che registra la pressione di ogni tasto ed evita che nessun comando rimanga inascoltato. Inoltre, attivando la modalità gaming, Mazz disattiva il tasto Windows, così da non interrompere per sbaglio la sessione di gioco: non resterà che concentrarsi e sbaragliare i propri avversari di gioco.
Tastiera semi-meccanica GXT 881 ODYSS
Per chi si affaccia per la prima volta al mondo del gaming e vuole cominciare a dotarsi di strumenti specifici e tecnicamente più performanti, Trust propone la tastiera semi-meccanica GXT 881 Odyss.
Odyss incorpora tutti i vantaggi delle tastiere meccaniche e a membrana, arginando i relativi svantaggi. Grazie alle sue tecnologie combinate, Odyss è in grado di offrire ai giocatori tutto il necessario per dare il meglio di sé in campo: dalla tecnologia anti-ghosting, alle luci LED, alle irresistibili sensazioni meccaniche.
I commutatori semi-meccanici della tastiera Trust Odyss offrono ai giocatori un feel solido super responsive. Con i suoi tasti sensibili, la GXT 811 è perfetta per coloro che vogliono un riscontro immediato durante le sessioni di gioco. Inoltre, grazie alla tecnologia impiegata, Odyss è in grado di garantire l’efficacia della soluzione anti-ghosting fino a 19 tasti premuti.
Infine, Odyss è dotata di 10 tasti di accesso diretto e 12 tasti multifunzione per offrire il controllo completo degli strumenti multimediali. Anche con Odyss durante il gioco è possibile disattivare la funzione del tasto Windows, evitando che la schermata iniziale ricompaia inavvertitamente: il controllo è nelle proprie mani in qualsiasi momento!
Mouse gaming GXT 922W YBAR
Il mouse GXT 922W Ybar è il perfetto compagno da gaming, pronto a lasciarsi guidare da ogni aspirante pro-player in tutte le sessioni. Il sensore ottico integrato offre una risoluzione regolabile da 200 a 7200 DPI, mentre l’illuminazione LED RGB integrale rende ancora più suggestiva qualsiasi partita. Grazie alla presenza dei cuscinetti lisci a basso attrito, Ybar sarà più scorrevole che mai su qualsiasi superficie; inoltre, il cavo a treccia da 2,1m offre grande libertà di movimento durante il gioco.
Ybar è dotato di 6 pulsanti sensibili, tra cui 2 azionabili con il pollice, per una presa ancora più salda e una reattività maggiore durante il gioco. Inoltre, i lati costruiti a trama consentono un’impugnatura ottimale, per un gioco fluido e veloce.
Infine, il software avanzato dedicato a Ybar consente di programmare il mouse appositamente per varie operazioni. Si possono regolare i sei pulsanti, i profili, le macro e persino gli effetti di luce (dall’onda arcobaleno agli RGB ad effetto cangiante), per un’esperienza di gaming completamente personalizzata da abbinare alla propria postazione di gioco.
Grazie alla nuova generazione di console, questa versione potenziata del gioco presenta molti miglioramenti tra cui 60 FPS, ottimizzazioni audio, grafica migliorata fino alla risoluzione 4K UHD e tempi di caricamento più rapidi.
Call of Duty: Mobile Stagione 9: Nightmare segna il ritorno di una delle modalità più amate, Undead Siege. L’appuntamento è per le 02:00 di giovedì 21 ottobre. In Undead Siege i giocatori tornano in una mappa Battle Royale piena di easter egg a tema Halloween, nuove storie tutte da scoprire e orde di zombie a cui sopravvivere.
Nella Stagione 9 sarà disponibile una nuova estrazione che presenterà Billy, il burattino reso celebre dal franchise SAW della Lionsgate e della Twisted Pictures, insieme ad altri oggetti, sempre a tema SAW. Se volete “giocare una partita”, una nuova estrazione sarà disponibile per i giocatori nella Stagione 9 con Billy the Puppet dal franchise iconico SAW di Lionsgate e Twisted Pictures, insieme ad altri oggetti orripilanti a tema SAW.
Inoltre, i giocatori avranno l’opportunità di guadagnare 50 nuovi livelli ricompense del Battle Pass. La Stagione 9 arriverà con una serie di nuovi contenuti gratuiti e premium, tra cui nuovi personaggi come Nikto – Scarecrow e Artery – Nosferatu, una nuova arma – Swordfish, un nuovo Scorestreak, Progetti Armi, Titoli, Ciondoli, COD Point, e molto altro ancora. Di seguito alcuni highlights di Call of Duty: Mobile Stagione 9: Nightmare in arrivo su Android e iOS:
Il ritorno della modalità Undead Siege – svolgendosi sulla mappa Isolated BR, Undead Siege contiene aggiornamenti alla modalità di gioco, così come nuovi e ancora più infidi nemici zombie.
Modifiche alla modalità di gioco:
un numero maggiore di zombie apparirà in modalità casuale;
gli zombie si riprodurranno dinamicamente sia in modalità casuale che in modalità difficile;
nuove missioni diurne da sperimentare.
Altro
una collezione di zombie e di easter egg, che i giocatori potranno cercare.
Halloween è arrivato a Undead Siege
Mappe della stagione 9 – Halloween Standoff ritorna con tutta la sua spettrale ambientazione e Hovec Sawmill, da Modern Warfare, fa il suo debutto in Call of Duty: Mobile
Nuova modalità Multiplayer – Drop Zone – In questa nuova modalità, introdotta per la prima volta in Call of Duty: Modern Warfare 3, le squadre combattono per il dominio su una drop zone designata che durante la partita continuerà a cambiare. Drop Zone sarà disponibile al lancio nella Stagione 9.
Nuovo evento a tema – Dolcetto o scherzetto – I giocatori vanno porta a porta a fare dolcetto o scherzetto con i loro amici e i PNG. In caso di “scherzetto”, un giocatore deve completare un compito per ricevere caramelle (XP dell’evento). In caso contrario, i players ricevono subito le caramelle. Gli XP dell’evento possono essere riscattati per ricompense specifiche.
I giocatori possono anche aspettarsi nuove sfide stagionali, estrazioni fortunate, pacchi e altro ancora. Il tutto sarà disponibile nello store una volta iniziata la stagione.
Il mito risorge in grande stile con Diablo II: Resurrected, secondo capitolo del franchise Diablo, il titolo della nostra recensione per console Xbox Series X. Correva l’anno 2000 quando Blizzard lanciava sul mercato l’esperienza ARPG definitiva, che ancora oggi accoglie intere comunità di giocatori. Fu uno dei primi a credere nell’importanza del gioco online, con l’introduzione di Battle.net. Si passò dalle stanze delle sale giochi al mondo intero in un battito di ciglio. Quello che successe, poi, è divenuto leggenda. Ancora oggi ci sono giocatori che bazzicano sui server della versione storica, ancorati ai fasti del passato.
Il colosso americano, in vista del lancio di Diablo 4 previsto per il prossimo anno, tenta un’operazione di refresh anticipato. L’incarico delicato viene affidato a Vicarius Visions, esperta in operazioni di remastered “pesanti”. L’abbiamo vista all’opera con Tony Hawk’s Pro Skater 1 + 2, svolgendo un grandissimo lavoro su tutti i fronti. Certo, parliamo di Diablo II, il padre del concetto di ARPG moderno. Il peso sulle loro spalle è piuttosto gravoso, ed è un attimo che ti ritrovi il mondo addosso.
L’intervento di restyle ha interessato, per motivi piuttosto ovvi, tutto il comparto artistico. Fermo restando la possibilità di giocare con una versione “originale” del gioco, il resto viene inondato dalla potenza delle console di nuova generazione. I filmati in CGI sono stati migliorati per reggere il passo dei tempi. Stessa sorte è toccata alla risoluzione grafica e all’illuminazione globale, in grado di farci apprezzare i 4+1 capitoli presenti in Diablo II: Resurrected.
È un titolo che vuole accattivarsi la simpatia dei giocatori più giovani, visto che quelli più vecchi lo amano a prescindere. Attenzione, però, al fattore “momento”. 21 anni sono tanti e in questi due decenni il concetto di ARPG, le cui radici sono partite proprio da Diablo II, è cambiato moltissimo nel tempo. Il dovuto rispetto per “Vostra Maestà” c’è sempre, ma l’occhio critico va oltre il “dovuto”. Per tutto il resto vi lasciamo alla recensione di Diablo II: Resurrected, titolo, vi ricordiamo, giocato nella sua versione per console Xbox Series X.
Prime impressioni: il ricordo degli anni che furono
Farsi trasportare dall’effetto nostalgia è piuttosto naturale per chi è dall’altra parte dello schermo. Chi vi scrive ha fatto un bel tuffo nei ricordi. A quando, senza ancora una connessione ADSL, si incontrava in sale gioco improvvisate con un computer e un cavo di rete sotto il braccio. E il tutto sempre in un clima di amicizia e divertimento. Tra risate e prese in giro – e qualche fisiologica imprecazione – il fattore immersione ci portava nella dimensione di Sanctuary, fino alle profondità dell’inferno.
Il nuovo millennio nasceva sulle ceneri di quello che tutti conosciamo come il padre dei GDR. Parliamo ovviamente di Dungeon’s and Dragon, gioco da tavolo che ha visto nascere e crescere intere generazioni di giocatori. I videogiochi, con il tempo, hanno preso il posto di dadi e carte, creando delle situazioni visivamente immersive. La saga di Diablo è un illustre testimone di questo passaggio, anche se all’epoca si giocava solo con mouse e tastiera su PC.
La grande novità di Diablo II: Resurrected vive nell’apertura verso il mondo delle console. La scelta di riportare in auge il secondo capitolo del gioco – e non il primo e il terzo – è figlia del suo successo ineguagliabile. Il gameplay era perfettamente bilanciato con una progressione legata alla difficoltà ma senza creare delle situazioni frustranti date dal “troppo”. La crescita del personaggio, fortemente legata alla sua classe, seguiva un andamento costante. La difficoltà normale fungeva quasi come un grande tutorial, in vista di sfide ben più impegnative.
Impossibile resistere al fascino nostalgico della Legacy. La regressione grafica fa dimenticare tutti i miglioramenti che la next-gen ha riservato per questa remastered, con un viaggio di sola andata nel mondo dei ricordi. Resistere alla sua presenza è impossibile, come lo è pure restare impassibili di fronte a un rinnovato mondo di gioco. Diablo II: Resurrected mostra un nuovo volto, questo è indubbio, ma l’anima resta immutata.
Contesto di gioco: una leggenda senza tempo
Non è facile parlare di Diablo II: Resurrected a cuor leggero. Anzi, è impossibile. Non si può chiedere di cancellare il ricordo di quello che è stato il momento zero degli ARPG, quello che ha eliminato il concetto di “turno” negli isometrici di ruolo e che ha fatto capire che la filosofia di Dungeon’s and Dragon poteva vivere anche fuori da dadi e carte. Il tutto senza dimenticare quella vena nostalgica che ci accompagna. Sempre e comunque.
Ovviamente, c’è sempre un “ma”. La storia del secondo capitolo di Diablo vive di riflesso. Il “grosso”, a livello narrativo e di lore è stato fatto nel primo capitolo, creando la figura mistica del “Viandante Oscuro”. Egli altri non è che l’eroe del primo capitolo che utilizza il suo corpo come contenitore del male supremo. Il tentativo si dimostra vano, visto che la sua benevola aura finisce con l’essere corrotta per mano di Diablo stesso. Ed è così che inizia Diablo II: Resurrected, con l’obiettivo di riportare negli inferi il male che il Viandante Oscuro non è riuscito a contenere.
Nonostante siano passati oltre 20 anni, ancora oggi l’universo di Diablo dimostra sempre il suo fascino. È la classica storia senza tempo, in grado di funzionare anche come ambientazione per una serata a D&D. Nel mentre c’è stata la trilogia del Signore degli Anelli e tutto il mondo si è appassionato ai lavori J.R.R. Tolkien. Ma Diablo c’è sempre stato, anche se il mondo parlava di altro.
La community storica del gioco ha continuato a frequentare i server Battle.net collegati alla storica trilogia. Questo la dice lunga sulla solidità di un gioco uscito oltre 20 anni fa, dal punto di vista di gameplay e sistema di gioco. Ritrovarsi tra le mani una remastered di un qualcosa che ancora oggi funziona in “originale” comporta molti rischi.
Gameplay: ARPG, dove tutto è cominciato
Gli ARPG sono divenuti la tendenza del momento. Passata la parentesi dei soulslike, il mondo dei giochi di ruolo si sta orientando verso una dimensione più action e meno complessa. Anche un mostro sacro come Final Fantasy VII si è dovuto piegare a quello che chiede l’utenza. E in tutto questo Diablo cosa c’entra? Beh, in un certo senso Blizzard riusci a percepire già nel 2000 che qualcosa stava cambiando. Eravamo abituati a mouse e tastiera, con punta e clicca che servivano a spostare il personaggio lungo la mappa di gioco e a ingaggiare. Il metronomo del gameplay scandiva ritmi non troppo frenetici, anche se vi era un grado di libertà inedito per il genere.
Lavorando su quel livello di “libertà”, gli RPG hanno visto nascere uno spinoff, in grado di attirare tutta quella massa di giocatori che vivevano di hack’n’slash e picchiaduro. Il compromesso si è trovato nella capacità di far convivere narrativa e divertimento, evitando ripetitività e meccaniche trite e (ri)trite. Diablo, in tutto questo, ha fatto scuola. Questa remastered risente del tempo, questo è da mettere in conto, ma il bilanciamento tra i vari elementi ancora oggi è perfetto.
Vicarius Visions ha fatto una scelta – a nostro avviso – pilotata dall’alto. Le operazioni di restyle, guarda caso, non hanno minimante intaccato il gameplay originale, che viene riproposto con tutti i vizi e virtù dell’edizione storica. Una mappa che si svela dopo il nostro passaggio, una crescita del personaggio che fa un duetto perfetto con il livello giocato, un looting che premia “gli impavidi”, è un bilanciamento del personaggio che ancora oggi è dannatamente perfetto.
Ma il tempo è tiranno e non lascia scampo. Le animazioni del personaggio dimostrano dei limiti che oggi si presentano ancora più evidenti del 2000. Siamo abituati bene, questo è vero, ma Blizzard e Vicarius Visions hanno commesso uno scivolone non da poco. La legnosità e la lentezza dei movimenti del personaggio rovina quell’atmosfera di novità, anche per chi la saga la conosce a menadito. Guarda caso è la prima cosa che salta all’occhio, allietata dal grande lavoro artistico messo in campo dagli sviluppatori.
Dimensione artistica: il Diablo si presenta in forma
Ed eccoci arrivati al piatto forte di Diablo II: Resurrected. Sul fronte artistico, quelli di Vicarius Visions non si sono risparmiati in alcun modo. Dalla grafica e agli effetti sonori, il livello generale del progetto è di assoluto rilievo. Trattandosi di un’operazione di restyle (e non un remake, ndr), i margini di intervento erano obbligati. Avendo già messo da parte il gameplay, restava solo questo, motivo per cui i dev hanno dato fuoco alle polveri.
Fermo restando la possibilità di attivare la versione Legacy, con un ritorno alla versione originale del gioco, la risoluzione grafica segue la solita scelta tra qualità e performance. Con la prima il framerate è bloccato a 30fps con i 4K che sembrano restare stabili per tutta la durata dell’esperienza di gioco. Se volete i 60fps la risoluzione scende sotto i 4K, attestandosi intorno al 1440p. Non essendoci sequenze in ray tracing ci sembra un po’ poco, anche se il gameplay ne risente in positivo.
Il comparto audio gode della presenza di un audio surround a 7.1 canali. Resta in sospeso la questione Audio 3D, ma avendolo giocato su Xbox Series X con le Corsair 75XB – che sfruttano il Dolby Atmos – possiamo dire “Io c’ero”. Le lande desolate di Sanctuary restituiscono i veri suoni della disperazione, ricordando la perfetta imperfezione di quella soundblaster Creative che all’epoca sembrava il “meglio del meglio”. Un nuovo esempio di come la tecnologia divora i ricordi più belli.
Prima di lasciarci un ultimo grazie va a Vicarius Visions per aver ritoccato i filmati originali del gioco. Rivedere il Viandante Oscuro in quella taverna e il terrore negli occhi dello sfortunato Marius, ci ha fatto capire il perché dobbiamo dare una speranza a Diablo II: Resurrected. Il segno degli anni si vede, è inutile nasconderlo. L’operazione nostalgia, però, è riuscita piuttosto bene. Un perfetto trampolino per l’arrivo di Diablo IV.
In conclusione
E siamo arrivati al momento dei saluti, con questa nostra recensione di Diablo II: Resurrected per Xbox Series X dai toni molto nostalgici. Un po’ per colpa dello scrivente, che con l’ARPG di Blizzard ci è cresciuto, un po’ per via dei ricordi connessi al gioco. In 20 anni sono cambiate moltissime cose, con i gameplay che hanno visto un accelerazione sempre più importante. È importante, però, ricordare gli antenati e dove tutto quello che abbiamo ora è cominiciato.
Non è una caso che della trilogia storica dei Diablo, il colosso americano abbia deciso di puntare sul secondo capitolo. Ancora oggi la community storica del gioco si diverte con il capitolo originale, anche se sono passati oltre due decenni. Questa la dice lunga su molte cose. L’incarico delicato viene affidato a Vicarius Visions, esperta in remastered “rischiose”. Il gameplay originale viene lasciato intatto, operando un restyle grafico e sonoro di tutto rispetto.
La scelta, però, non paga benissimo. Se da un lato il nostro lato creativo viene ampiamente soddisfatto, dall’altro i segni del tempo si notano in maniera troppo evidente. La legnosità del personaggio spicca sopra ogni cosa, con una lentezza dei combattimenti che non migliora nemmeno con i 60fps. La presenza di un comparto artistico rimesso a nuovo allieta il tutto, con il fattore nostalgia che prova ad offuscare le nostre doti di giudizio. Gli anni, però, si vedono.
In questa modalità di gioco free-to-play, i giocatori possono reclutare e collezionare personaggi leggendari da tutta Azeroth. Possono mescolare e abbinare oltre 50 Mercenari e molti altri sono in arrivo da una serie di personaggi amati dai fan come Sylvannas Windrunner e Ragnaros, il Signore del Fuoco. Questo è solo un assaggio, ecco tutto ciò da sapere sul gioco: dove giocare e come ottenere il massimo daHearthstone Mercenari, disponibile su PC Windows e Mac; Tablet Windows, iOS e Android; Telefoni iOS e Android.
Il Villaggio dei Mercenari
Il Villaggio è il fulcro di tutto ciò che riguarda la modalità Mercenari. Nel Villaggio i giocatori potranno gestire la loro collezione, ottenere ricompensem, visitare direttamente il negozio, partire alla volta di una taglia e molto altro ancora!
Il Villaggio è anche un sistema di gioco e progressione, in quanto è possibile costruire e innalzare edifici nel proprio Villaggio per sbloccare più contenuti e renderli più efficaci.
I giocatori potranno esplorare i diversi luoghi intorno al Villaggio, come il Workshop, dove possono costruire e migliorare le postazioni all’interno del Villaggio, la Taverna, dove i mercenari possono riposare e rilassarsi quando non sono fuori a caccia di taglie o Il Falò, dove i Mercenari possono sedersi, rilassarsi e raccontare di come sono riusciti a riscuotere le diverse Taglie che sono riusciti a riscuotere.
Riscuoti le taglie
Ci si può davvero chiamare Mercenari se non si riscuotono delle Taglie? I giocatori possono scegliere quale taglia riscuotere dal Bounty Board, da cui possono scegliere la “missione” o il “livello” che vogliono affrontare.
“Seeking Bounties” è una parte importante dell’esperienza PVE di Mercenari ed è fondamentale per far salire di livello i tuoi Mercenari, anche se hai intenzione di concentrarti sul gioco PVP. Ci sono miriadi di Taglie da riscuotere e ognuna include incontri generati proceduralmente che portano al Bounty Boss, per non annoiarsi mai. Più giochi, più potrai sbloccare livelli di difficoltà, per sfide ancora più grandi. Ma prima di affrontare qualsiasi Taglia, i giocatori devono creare il loro esercito.
Raduna un esercito di Mercenari
Prima di tutto, i giocatori devono costruire il loro esercito e, per ottenere i primi otto Mercenari, dovranno completare le missioni introduttive. Ciò sarà sufficiente per mettere insieme una squadra e iniziare a riscuotere Taglie.
Per far crescere la collezione Mercenari, l’unica cosa che conta è non smettere di giocare! Divertente, no? Una volta completato il Prologo dei Mercenari e conquistata la prima taglia, i giocatori riceveranno Sarge, un adorabile e timido aiutante proveniente dalla taverna di Hearthstone.
Vale la pena tenere a mente che i Mercenari crescono di potenza man mano che salgono di livello (fino al livello 30), e tutti i Mercenari sono dotati di abilità potenziali che consentono ai giocatori di creare innumerevoli combinazioni di squadre.
Emozionante combattimento tattico in PVE e PVP
Una volta radunati i Mercenari, il combattimento può iniziare! Mercenari presenta un sistema di combattimento che premia l’astuzia e l’anticipo. Prima di ogni combattimento, i giocatori selezioneranno i Mercenari dalla loro squadra per partecipare alla battaglia.
Per ogni turno, sceglieranno le azioni della loro squadra contemporaneamente ai loro avversari e guarderanno i risultati del combattimento. I giocatori possono optare per il PVE riscuotendo taglie o iniziare a competere in PVP per completare gli obiettivi, guadagnare ricompense e aspirare ad ottenere un posto nella classifica PVP!
Trova l’equilibro e metti insieme la tua squadra dei sogni.
Mentre scegli i Mercenari per il tuo gruppo, noterai diversi colori, ognuno dei quali rappresenta diversi ruoli. Ci sono tre ruoli, ognuno dei quali ha diversi tipi di mosse, diversi punti di forza e di debolezza:
I combattenti, mentre sono in attacco, infliggono danni doppi agli Incantatori;
Gli Incantatori infliggono danni doppi ai Protettori;
I Protettori infliggono danni doppi ai Combattenti.
I diversi tipi di mosse sono qualcosa che il giocatore dovrebbe considerare quando costruisce il proprio esercito. Parte del divertimento è trovare la combinazione perfetta dei Mercenari per creare la propria squadra dei sogni!
Free to play
Ricorda che Mercenari è completamente gratuito! Ogni Carta e Ritratto può essere sbloccata attraverso il gioco regolare. Ottieni otto Mercenari gratuiti per completare le missioni introduttive, sufficienti a formare una squadra abbastanza potente da completare tutte le Mercenaries Bounties! Guadagnerai anche Mercenari, Pacchetti e Monete mentre giochi attraverso la modalità per sbloccare molti altri personaggi per la tua lista. Ad esempio, ogni Mercenario che possiedi ti darà una serie di incarichi Falò nel corso del tempo. Le ricompense per il completamento di ogni incarico del Falò includono 3 pacchetti e oltre 1500 monete divise tra i tuoi mercenari e i mercenari casuali che non possiedi ancora! Ci saranno 51 Mercenari al momento del lancio, per un totale di 153 Pacchetti e oltre 76.500 Monete solo per completare tutte le attività del Falò.
Per i giocatori che vogliono far acquisire esperienza ai loro mercenari, il Negozio si aggiornerà dinamicamente nel tempo per offrire oggetti in base a come giochi e cosa ti piace comprare.
Hearthstone Mercenari è ora disponibile in tutto il mondo.
Mentre il tour del Nordic Game Discovery Contest Season V si avvicina al traguardo, in Portogallo è stato scelto un nuovo finalista per le NGDC Grand Finals a NG21 Autumn questo novembre. La qualificazione online di NGDC durante il GameDev Camp di Lisbona ha visto la partecipazione di tre concorrenti selezionati: il mistero dell’omicidio Art house Who Killed Mr. White di Notagamestudio, il puzzle 3D a scorrimento laterale Tamed: The Unseen Show di PopCoin Studios e Project Haven dello sviluppatore Code Three Fifty One. Tutti e tre gli studi sono provengono dal Portogallo. Anche se i primi due si sono battuti bene, è stato Code Three Fifty One con Project Haven a conquistare la vittoria e a guadagnarsi un posto nelle NGDC Season V Grand Finals del prossimo autunno.
In Project Haven, i giocatori guidano gli Steel Dragons, un gruppo di mercenari che combattono per la sopravvivenza (e il profitto) nelle strade di Haven City, l’ultima metropoli della Terra. Un governo corrotto comanda dall’alto, mentre le bande criminali vagano nei vicoli dei quartieri più poveri della città. È un luogo duro e violento dove un mercenario di strada può fare un sacco di soldi, o morire nel tentativo di farli. Recluta una squadra di mercenari, accetta contratti dai ricchi e combatti. Project Haven presenta un dettagliato combattimento tattico in squadra a turni. Ogni colpo è mirato con precisione e modellato balisticamente. Ogni proiettile è in grado di fare danni terribili a un corpo attraverso un avanzato sistema di lesioni localizzate. Posiziona la tua squadra attraverso un sistema di movimento senza griglia e rannicchiati usando un sistema di copertura flessibile basato sulla posizione. Project Haven presenta alcuni dei combattimenti tattici più coinvolgenti nei giochi di oggi, con un’interfaccia utente mouse-driven elegante e accessibile.
Ispirato da classici della strategia come la serie Jagged Alliance, Project Haven è emerso rapidamente dal turbinio di idee e possibilità. “Essendo un piccolo team che sta sviluppando un gioco abbastanza grande, è fantastico vedere i nostri sforzi riconosciuti e affiancati da alcuni dei migliori giochi in arrivo nell’industria indie“, dice lo sviluppatore di giochi indie Code Three Fifty One riguardo alla qualificazione per il gran finale del Nordic Game Discovery Contest.
Project Haven uscirà nel 2022 e la versione completa sarà caratterizzata da un’imponente campagna di 45 missioni guidate dalla storia, un sacco di mercenari con voci uniche da comandare, e un colossale e letale arsenale di armi da padroneggiare e personalizzare con mirini, impugnature e munizioni alternative.
Una storia che racconta un dramma, ricordato da Chernobylite, il titolo della nostra recensione per console PS5. Solitamente si riserva al medium videoludico una funzione di intrattenimento e divertimento, e in via residuale quella riflessiva. Ci pensa uno studio polacco a ricordare che esiste anche questa eccezione. The Farm 51, infatti, prova a raccontare una sua versione dei fatti, all’ombra delle vicende note all’opinione pubblica.
Alcuni di noi hanno vissuto la tragedia di Chernobyl in televisione, altri non erano nemmeno nati e l’hanno conosciuta tramite i libri storia. Resta il fatto che nessuno sa quello che sia successo nella cd. “Zona di alienazione”. Sono stati scritti libri e girati film e documentari sull’argomento e il mondo dei videogiochi ha visto nascere anche una serie in grado di oscurare ogni tentativo di invasione del medium. Parliamo di S.T.A.L.K.E.R., titolo che il prossimo anno ci regalerà un nuovo capitolo “infuso” di next-gen.
Il paragone pesante – e oseremo dire quasi scontato – è difficilmente sostenibile. La software house di Gliwice non si è mossa al buio, decidendo di puntare la sua attenzione altrove. Il trucco è stato attingere dai generi survival horror, RPG, FPS e FPP e creare un interessante minestra, dove non eccede un genere sull’altro. Il rischio – non proprio evitato – è quello di creare un “né carne né pesce”, con delle confusioni lato gameplay molto pericolose. Il non sapere cosa e come fare, quando si parla di videogiochi, non è cosa buona.
La storia e il contesto di gioco trascinano il giocatore in tutta la prima fase dell’avventura, ma con il tempo dimostra la sua inconsistenza. I colpi di scena diventano via via sempre più scontati e il finale (almeno uno di essi, ndr) appare chiaro con la squadra ancora in fase di formazione. Prima di scegliere se siete pronti per fare il “colpo”, date un’occhiata alla nostra recensione di Chernobylite, titolo, vi ricordiamo, giocato nella sua versione per console PS5.
Prime impressioni: l’ombra di S.T.A.L.K.E.R.
Non è facile parlare del disastro di Chernobyl e non pensare a S.T.A.L.K.E.R.. È fisiologicamente impossibile. Un gioco che è sulla piazza dal 2007 non lo si scalza con molta facilità. Ovviamente il beneficio del dubbio viene dato a tutti, e Chernobylite merita un approfondimento vero e sincero. La scelta, però, di percorrere una strada che, a primo impatto, è molto simile a quella intrapresa da GSC Game World(genitori della serie S.T.A.L.K.E.R.), non aiuta molto.
I momenti iniziali di Chernobylite ricordano molto un FPP, con una narrativa molto introspettiva. Passando dal treno alla foresta, si capisce come non vi è una vera e propria presa di posizione sul genere, visto che si scivola in maniera brusca verso gli FPS. Ed ecco che quando il tutto sembrava aver preso una forma, entra a gamba tesa tutta la parte RPG e gestionale. Le nostre poche certezze vengono, quindi, nuovamente spazzate via. E il tutto con nostra somma gioia, vista la capacità del gameplay di rinnovarsi.
E poi tutto il resto vive nel ricordo di quella prima fase. La storia si trascina verso il finale, con in mezzo una struttura a missioni che svelano parti di essa e dei protagonisti di questa avventura. Salvo qualche momento di pathos, l’attenzione segue una curva sinusoidale con picchi negativi frequenti e profondi. Non sappiamo se la nostra negatività è figlia delle passate esperienze con generi e argomenti simili e già trattati da altri. La cosa che importa è che è la struttura del gameplay a non convincere fino in fondo.
La sequela di missioni ci porta a esplorare le profondità della zona di alienazione, visitando in più occasioni gli stessi luoghi con le stesse cose raccogliere, nello stesso identico posto tutte le sante volte. La scanner del contatore geiger diventa quasi inutile, visto che lo spawn sulla mappa di gioco non cambia mai. Eppure, nonostante questo, la voglia di scoprire che fine ha fatto Tatyana e chi si cela dietro il Black Stalker, invoglia a procedere sempre di più. E il “colpo” diventa sempre più vicino.
Contesto di gioco: la terra di nessuno
La storia del disastro di Chernobyl ha tenuto l’Europa e il mondo intero con il fiato sospeso. Con il partito comunista che viveva ancora i fasti del regime sovietico, le informazioni che arrivavano non erano molto chiare. L’entità della tragedia assunse, di giorno in giorno, dimensioni sempre più preoccupanti, al punto che la tensione varcò anche i confini italiani. In piena guerra fredda tutto sembrava frutto di qualche cospirazione governativa, ma in pochi sapevano cosa stava succedendo nelle strade di Pripyat.
Chernobylite vuole colmare questo gap informativo, raccontando la sua versione dei fatti a distanza di oltre 30 anni dal disastro. Lo fa con il racconto di quelli che ancora vivono in questa città fantasma, nascondendo la loro presenza agli occhi vigili dei soldati del NAR. L’interesse di questi gira attorno alla presenza della Chernobylite, una preziosa fonte di energia in grado di piegare la materia e le dimensioni. Igor conosce bene quali siano le sue potenzialità, ma anche i pericolosi risvolti.
Allontanato dal governo, lo scienziato, in compagnia del soldato mercenario Olivier, dovrà trovare il modo per entrare nella zona di alienazione e dare un senso alle pseudo-allucinazioni di cui è vittima. Il senso dietro tutto questo si cela nella narrativa, anche se alcuni indizi sull’accaduto lasciano trasparire, con largo anticipo, un finale che diventa con il tempo piuttosto scontato.
Le varie missioni ci traghettano nelle vicendi di gioco. La struttura del gameplay funziona in chiave narrativa, con i personaggi in grado di raccontare una storia nella storia. I dialoghi, oltre a migliorare l’umore del gruppo, parlano di un qualcosa che nessuno ha mai detto. Inventato, certo, ma con delle basi storiche reali. Un ripasso, però, non fa male a nessuno. Il ricordo di quei giorni non deve svanire per sempre.
Gameplay: e quindi che genere è?
Il gameplay costruito da The Farm 51 prevede un melting pot di generi. Lo si può definire un survival horror in senso molto ampio, con una componente RPG che funge da hub e alternando momenti FPP ad altri FPS. Una sintesi che merita di essere approfondita, anche perché l’esperimento posto in essere ha dei risvolti interessanti. Considerate sempre che la campagna di crowdfunding riuscì a raddoppiare i 100.000 euro necessari per la conclusione del progetto. Meritati sicuramente.
Spaziando in più generi il rischio è quello di tralasciarne qualcuno per strada, finendo per favorire uno stile di gioco piuttosto che un altro. Ed è quello che succede, almeno per una buona metà del gioco. Igor è un uomo di scienza e la sua prima arma è il revolver che gli consegna Olivier all’indomani della missione alle porte di Chernobyl. È normale, quindi, che un approccio stealth è da preferire ad uno d’azione pura. La build – se così la si può chiamare – migliora nel corso delle missioni e man mano che la squadra prende vita.
L’aspetto interessante è quello della dimensione gestionale. Il cuore di Chernobylite è la base delle operazioni, un hub in cui migliorare le abilità, parlare con i vari membri del team e selezionare le missioni. Fare gruppo è un aspetto fondamentale. Gli aiutanti di Igor, infatti, si daranno da fare sul campo, svolgendo loro gli incarichi al posto suo. Se lo fanno “annoiati” e/o fuori forma rischiano di compromettere la missione oltre che finire per lasciarci le penne.
La base prende vita e migliora a seconda di quello che portiamo a casa dopo le missioni. Il crafting è figlio dell’elemento survival, e ci aiuta in ogni aspetto che conta. Dalle armi all’equipaggiamento, sino ad arrivare all’attrezzatura della base. La qualità definisce la nostra potenza da dispiegare in campo, in vista della missione più importante. Quella che viene definita il “Colpo”. Lì non ci sono seconde opportunità. O si vive o si muore.
Dimensione artistica: una gita nella storia
Il fatto che amiamo i videogiochi, al punto da difenderli – sempre e a prescindere – a spada tratta, non ci esime dall’essere obiettivi circa le loro reali finalità. Chi più o chi meno, quando si ha che fare con titoli con una solida base narrativa, una morale c’è sempre. Chernobylite non è da meno, e punta ad attualizzare una vicenda che non si è mai chiusa del tutto.
The Farm 51 ci porta nelle strade di Pripyat. La città rientra nel novero dei centri abitati “chiusi”, con unità abitative destinate a contenere i lavoratori del comprensorio nucleare di Chernobyl. Questa è stata la prima ad essere colpita dalle radiazioni, essendo a circa 30 km dal luogo dell’incidente. Il fallout ha costretto intere famiglie a fuggire, portandosi dietro tutte le conseguenze. Fisiche e mentali.
La strada intrapresa dagli sviluppatori è stata quella di rappresentare il tutto con estrema fedeltà. Ancora ci è rimasto impresso il Luna Park fantasma, con quella ruota panoramica divorata dalla ruggine e dal tempo. Girovagare per le strade della zona di alienazione, con il ricordo di quello che è stato, è stato un ottimo catalizzatore per il fattore immersione. Nonostantante non si trattasse di open-world, il salto mentale è stato lo stesso. Ci si accorgeva della consistenza della mappa solo quando si toccavano i suoi confini. Sotto questo aspetto, dobbiamo rivolgere alla software house polacca i nostri più sentiti complimenti.
Si tratta di una produzione indie, o quanto meno iniziata come tale prima di ricevere il porting su console con il publisher All in! Games SA. In tal senso, le pretese a livello di design grafico e character design non possono essere alte. Vi è infatti un divario importante tra la caratterizzazione dei personaggi e quelle delle ambientazioni. Le creature abberranti, quelle che ogni tanto fanno la loro comparsa, ne sono una dimostrazione lapalissiana. Ma il talento va oltre queste cose, e qui c’è ne è abbastanza. L’esperienza farà il resto.
In conclusione
The Farm 51 dimostra che gli esperimenti videoludici, per quanto altamente rischiosi, hanno sempre un loro perchè. D’altronde solo chi osa viene ricordato ai posteri. Loro ci provano, creando un gameplay con pregi e difetti. La mescolanza di generi è da tarare leggermente meglio. Meglio FPP che FPS, tenendo per buono tutto quello che gira intorno al “survival”. Siamo ancora lontani dal condizionamento psicologico che un Resident Evil può ingenerare in noi, ma come primo uscita nel genere non è andata malissimo.
L’appuntamento con la storia è servito per ricordare un qualcosa che lo scrivente conosceva solo per racconti, documentari e libri di storia. I videogiochi hanno fatto il resto. Chernobylite è l’ultimo illustre ambasciatore di un qualcosa che ancora oggi è avvolto nel mistero. Ipotesi di fatti storicamente rilevanti vengono calate nella narrativa dietro al gioco, con una sottile vena polemica che funge da messaggio subliminale.
Graficamente è accattivante. Visto e considerato che si tratta sempre di una produzione che profuma di indie il risultato ottenuto – in termini stilistici – va ben oltre la sufficienza. Ci mancava solo la photo-mode per fare la differenza.
La Festa delle Anime Perdute, una tradizione annuale che invita i guardiani a festeggiare la luce nell’oscurità, torna in Destiny 2. Condividi spiriti spaventosi, deliziosi dolcetti e le storie di chi è perduto ma non dimenticato. Questo evento da brividi è gratuito per tutti i giocatori e durerà da oggi al 2 novembre.
Settori infestati
Tre nuove storie sotto forma di settori infestati attendono gli impavidi (o gli scriteriati). Creature senza testa infestano i bui recessi della Luna, un guardiano è inseguito su Nessus e la spaventosa unione tra un exo e una mente vex crea qualcosa di nuovo e terrificante.
Ricompense per gli impavidi
Sblocca il nuovo fucile a impulsi leggendario Verde Giurassico per incutere timore nei tuoi nemici, viaggia su un astore esotico per esibire il tuo coraggio e ottieni le tante ricompense disponibili durante la Festa delle Anime Perdute. Eva offrirà anche l’emblema Tonfo nella notte ai guardiani che si aggireranno nei settori infestati.
#TEAMDINO
La community ha detto la sua quest’anno con #TeamDino, aggiudicandosi l’ultima parola su una delle decisioni più difficili di Bungie. Sono ora disponibili nell’emporio Everversum set di decori a tema dinosauri.
Logitech G in partnership con Riot Games, creatori di League of Legends, presentano oggi il League of Legends PC gaming gear ufficiale, una serie di prodotti collezionabili in edizione limitata.
Offrendo lo stesso altissimo livello di performance che ormai i fan si aspettano dai prodotti Logitech G, questa collaborazione è ideata con il ‘look and feel’ Hextech tipico di League of Legends, e include le Cuffie da Gaming Logitech G PRO X, il Mouse da Gaming Logitech G PRO Wireless, la Tastiera da Gaming Logitech G Meccanica, e il MousePad Logitech G 840 XL.
“Quando ami un gioco come League of Legends, ti ci immergi come se fosse il tuo vero mondo”, ha dichiarato Peter Kingsley, CMO di Logitech G. “Abbiamo costruito questa collezione in collaborazione con il team di League of Legends, basandoci sull’idea di unire i nostri prodotti e le nostre tecnologie di livello professionale con gli iconici design Hextech di League of Legends. Le cuffie, la tastiera, il mouse e il mousepad sono rivestiti con gli speciali colori di League, creando una collezione unica progettata per ispirare i gamer di tutto il mondo“.
In League of Legends, Hextech è la tecnologia impregnata di magia che alimenta le regioni di Piltover e Zaun. Alla sua base, Hextech combina la geometria pulita e stratificata dell’architettura ispirata all’art deco con una forza magica guida, una combinazione di moderno e fantastico. Come linguaggio di design ufficiale del brand di League, Hextech non solo è all’origine del potere, ma funziona anche da vera e propria guida per i giocatori.
“Siamo entusiasti di continuare la nostra partnership con Logitech G”, ha detto Ashley Maidy Head of Consumer Products, Riot Games. “Sono stati dei partner fantastici quando si è trattato di migliorare l’esperienza del giocatore e portare League of Legends alla vita. La nuova collezione pro-level eleva l’esperienza di qualsiasi gamer, traducendo la nostra tecnologia Hextech di League of Legends in eleganti prodotti incentrati sulle prestazioni”.
Le Cuffie da Gaming Logitech G PRO X League of Legends Edition sono state create per ispirare i fan di League e progettate per elevare le prestazioni dei gamer di livello competitivo. Basate sulla collaudata tecnologia PRO X sviluppata con e per i professionisti Esports, queste cuffie dispongono di un design premium per il massimo del comfort e per una durata senza pari, tecnologia Blue VO!CE per comunicazioni eccezionali e suono surround 7.1 per la massima immersione.
La Tastiera da Gaming Logitech G Meccanica League of Legends Edition è dotata di un design compatto e senza tastierino numerico, che libera spazio sul tavolo per chi utilizza mouse con bassa sensibilità. Dotata di Switch tattili GX Brown, offre un feedback percettibile senza essere troppo rumoroso. Questa tastiera è dotata di memoria programmabile LIGHTSYNC RGB, permettendo ai gamer di personalizzare e memorizzare il proprio pattern luminoso preferito.
Logitech G ha anche aggiunto il Mouse da Gaming Logitech G PRO Wireless League of Legends Edition. Questo mouse è dotato di LIGHTSPEED Wireless, design ultraleggero, sensore HERO 25K per un puntamento super-preciso e una durata di 50 milioni di click. Con 4-8 pulsanti personalizzabili, compresi quattro pulsanti laterali rimovibili, il Mouse PRO Wireless offre controllo e precisione di livello professionale.
Il MousePad Logitech G 840 XL porta il Summoner’s rift sulla tua scrivania. Il suo generoso formato extra-large di 900 mm x 400 mm offre un’altezza costante e stabile di 3 mm per eliminare le interferenze del mouse, offrendo allo stesso tempo il massimo delle opzioni di configurazione del gioco.
Come parte di una collezione che è molto più che un semplice setup da gaming, questi sono strumenti leggendari, forgiati dalla magia, temprati dalla scienza, e branditi dai campioni.
Il cyberninja “senza nome e memoria” ritorna sulle console di nuova generazione con Ghostrunner, il titolo di questa nostra recensione per Xbox Series X. Il buon Diego Maria Martini ne aveva immortalato le gesta su Xbox One, strappando un quasi 7 e mezzo. A livello di contenuti, considerando anche i vari update intercorsi, non ci sono grandi cambiamenti. One More Level, 3D Realms e Slipgate Ironworks hanno preferito approfondire il DNA del loro titolo, forti della potenza delle next-gen.
Il risultato che ne è venuto fuori ci ha ricordato il perché Xbox Series X differisce da PS5. I 120fps necessitano di un supporto che ne segue il ritmo, e il DualSense, per quanto miracoloso, con i fast paced “arranca”. Noi, invece, lo abbiamo giocato con uno Scuf Instinct Pro, controller che al momento vive un’esclusiva “virtuale” sulle console di casa Microsoft, in attesa di un approdo sull’ammiraglia Sony previsto entro la fine dell’anno.
Per quanto i 60fps siano già un’ottima cosa, visto il supporto al ray tracing, raddoppiare era quello che serviva a Ghostrunner. Tutto questo, ovviamente, aumenta quella frenesia adrenalinica che in alcuni momenti diventa anche “troppo”. La storia e le ambientazioni passano ancora più in secondo piano quando si architettano le perfect kill all’interno della torre Dharma. Avendo giocato alla versione uscita lo scorso anno, arrivavamo già belli “imparati” lato gameplay. Ma anche questo non basta.
La scalata verso il KeyMaster sarà ancora più difficile, nonostante l’IA dei nemici non sembra aver recepito alcun miglioramento. La difficolta adattiva, invece, ci rende la vita un inferno, con delle ondate di nemici che diventano sempre più intense man mano che si procede verso gli ultimi piani. Il resto in parte lo conoscete già, anche se qualcosina merita ancora un nostro approfondimento. Vi lasciamo, quindi, alla recensione di Ghostrunner, titolo, vi ricordiamo, giocato nella sua versione per console Xbox Series X.
I 120fps fanno la differenza
Ghostrunner è – al momento in cui scriviamo la presente recensione – uno dei pochi titoli a supportare i 120fps. Tra gli ultimi illustri annoveriamo Doom Eternal, che ha raggiunto il suo massimo della forma con questo upgrade. La nuova generazione offre una possibilità enorme agli sviluppatori, anche se coglierla non è poi così facile. Premesso che il gameplay, in un certo modo, si deve prestare a questo boost, si deve fare poi i conti con l’hardware a disposizione.
I monitor che suppurtano i 120hz a risoluzioni superiori al 1080p hanno un costo non molto accessibile. La pandemia in corso ha costretto i produttori a rallentare la produzione ed alzare i prezzi, anche per far fronte alla carenza di materie prime. A farne le spese siamo noi che viviamo tra l’incudine e il martello. Da una parte i videogiochi che offrono nuove possibilità e dall’altra i nostri supporti che affrontano l’impossibilità nel coglierle vista la fisiologica obsolescenza.
Di fatto, però, Ghostrunnerdiventa un altro titolo se giocato a 120fps. Non è un mistero, vista la natura del gameplay. Un fast-paced in prima persona, dove i riflessi fanno una reale differenza in campo, gode di nuova vita. La risoluzione e i dettagli grafici si vanno “a far benedire”, anche perché non è che gli sviluppatori avevano in mente un focus diverso. Il fattore immersione, infatti, risiede nella suo essere frenetico, passando da un muro a un kill in una finestra temporale rapida.
La torre Dharma diventa sempre più impegnativa mano che ci si avvicina all’endgame. Non è che quest’iniezione di adrenalina ci fa diventare dei ninja più forti, ma poter viaggiare al doppio della nostra reale velocità non credo che vi dispiaccia. Ovviamente, come tutte le cose, è una novità che va gestita. Ce ne siamo resi già conto nel passaggio dai 30fps ai 60fps, con un atterraggio più morbido. Le Ferrari sono delle bellissime macchine, ma per evitare di farsi male bisogna fare tanta pratica. Il KeyMaster vi ha già fatto fuori una volta.
E se fosse stato in terza persona?
Il ricordo nostalgico della breve serie di Mirror’s Edge è piuttosto naturale. La filosofia di base è molto simile in GhostRunner. Cambiano solo le tematiche ed è stata aggiunta un pizzico di violenza gratuita. Se, però, avete aiutato la giovane Faith Connors nella sua missione di runner, troverete numerosi punti di contatto anche con l’impavido ninja cibernetico. La dimensione frenetica, che alterna momenti di azione a quelli di combattimento, ricorda molto il titolo di EA. La differenza sta nel non separare troppo i due, visto che le sequenze di parkour aiutano a creare un vantaggio competitivo prima di sfoderare la katana. Per il resto è tanta – ma tanta – nostalgia.
La nuova generazione di console ci offre, però, uno spunto di riflessione importante. Un qualcosa di non detto ma che, anche grazie all’incremento degli fps, inizia ad essere piuttosto evidente. Nella nostra testa, si è insinuato un dubbio piuttosto legittimo: e se fosse stato in terza persona? Non è successo solo una volta, altrimenti non saremmo nemmeno qui a parlarne. Nel mentre affettavamo i seguaci di Mara, ci immaginavamo come sarebbe stato il tutto se fosse stato visto da fuori e non da “dentro”.
Lo stile non manca a GhostRunner, con quel ninja che ci ricorda un personaggio sepolto nei ricordi. Parliamo del cyborg ninja Gray Fox, il Gola Profonda di Solid Snake nel primo storico Metal Gear Solid. Sarà che si tratta di una libera ispirazione guidata dalla nostra memoria muscolare, ma solo questo è bastato per immaginare un gameplay diverso, in grado di rendere giustizia a un personaggio che si vede troppe poche volte.
Per carità, non condanniamo la scelta degli sviluppatori. Il gioco funziona benissimo anche in prima persona, per cui si tratta solo di una considerazione guidata dagli eventi. Il fatto è che mancava un fast-paced in terza persona nel panorama dell’offerta videoludica. Cyberpunk 2077 ha attirato l’attenzione a sé, e ancora ne ha da dire visto il lancio non proprio felice. A nostro avviso una scelta progettuale diversa, conscia del momento, poteva rendere maggiore giustizia a un titolo che vive di paragoni.
In conclusione
Un FPP frenetico dove contano solo i riflessi e la strategia, accompagnati da un bel bicchiere di adrenalina. In meno di un anno è bastato un “piccolo” upgrade per svelare il vero volto di GhostRunner. “Piccolo” per modo di dire. I 120fps ci fanno apprezzare al meglio il buon lavoro svolto dal trio di sviluppo. Giocato, poi, sulla next-gen di casa Microsoft – e con uno scalpitante SCUF Pro Instinct – il fattore immersione ne giova al meglio. I contenuti, rispetto alla versione base, non sono molto cambiati. Al netto dei vari update che sono arrivati in questi mesi, però, non si evincono dei contenuti dedicati per questo upgrade di nuova generazione.
Graficamente parlando il gioco di presenta modesto come nella sua versione base. Il design dei personaggi e delle ambientazioni non spicca per la cura dei dettagli ma solo per la vena creativa messa in campo. Di materiale interessante ne abbiamo trovato, anche se nulla è in grado di farlo emergere dalla massa. Ma non è questo che dobbiamo giudicare, visto che è la componente action che domina la scena. Al momento solo Doom Eternal è in grado di regalare momenti di pura frenesia come GhostRunner. Il gameplay generale ricorda molto Mirror’s Edge, un qualcosa che oggi manca nell’offerta videoludica (e ci manca a livello umano, ndr).
Resta solo il dubbio se concepire un ipotetico sequel in prima o in terza persona. Ecco, un tale scelta può fare la differenza visto che, ad oggi, manca un action fast paced in terza persona in un mondo cyberpunk. Si potrebbe, magari, fornire una scelta al giocatore in tal senso. Come FPP funziona e lo abbiamo visto ma non è in grado di attirare un pubblico che vede il genere connesso alla narrativa e non all’azione. Ogni cosa, però, non immutabile e i videogiochi ne hanno dato più di una dimostrazione in passato.