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Tom Clancy’s The Division 2: tutti i dettagli dall’E3

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In occasione della conferenza stampa di Microsoft Xbox per l’E3 2018, Ubisoft ha svelato maggiori dettagli sul nuovo titolo di uno dei suoi franchise più acclamati e venduti di sempre, Tom Clancy’s The Division 2. Sviluppato da una versione aggiornata del motore grafico Snowdrop, il gioco sarà disponibile dal 15 marzo 2019 in tutto il mondo per PlayStation 4, la famiglia di dispositivi Xbox One, tra cui Xbox One X, e Windows PC. Inoltre, è ora possibile iscriversi su http://thedivisiongame.com/beta per poter partecipare alla beta.

Ambientato sette mesi dopo la diffusione di un virus letale nella città di New York, Tom Clancy’s The Division 2 immergerà i giocatori in una Washington D.C. devastata e pericolosa. Il mondo è sull’orlo del collasso e i suoi abitanti stanno vivendo la più grande crisi mai affrontata dal genere umano. Come agenti della Divisione ormai veterani, i giocatori sono l’ultima speranza contro il crollo totale della società, mentre alcune fazioni lottano per conquistare il controllo. Se Washington D.C. andasse perduta, l’intera nazione sarà distrutta.

Tom Clancy’s The Division 2

Con lo sviluppo guidato da Massive Entertainment in collaborazione con altri sette studi in tutto il mondo*, Tom Clancy’s The Division 2 è la nuova evoluzione di quella straordinaria esperienza GDR e sparatutto online open world, che ha debuttato con il primo titolo. Creato considerando tutti i feedback raccolti in più di due anni dalla community di The Division, Tom Clancy’s The Division 2 offrirà una campagna molto profonda che si svilupperà naturalmente verso un ricco endgame per dare vita a un’esperienza avvincente e unica per ogni genere di giocatore.

Aperte le iscrizioni per poter partecipare alla beta

Per maggiori informazioni su Tom Clancy’s The Division 2, visitare: tomclancy-thedivision.ubisoft.com e seguici su Facebook alla pagina: https://www.facebook.com/TheDivision.IT

Just Cause 4: E3 2018 Gameplay Showcase & Apex Trailer

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Arrivano dall’E3 il Gameplay Showcase e l’APEX Trailer di Just Cause 4, l’atteso quarto capitolo della serie fortunata Just Cause, sviluppato da Avalanche Studios e pubblicato da Eidos Interactive per PlayStation 2, Xbox, Xbox 360 e Microsoft Windows.

 

Sekiro: Shadows Die Twice, trailer dall’E3

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Intraprendi il cammino verso la vendetta in una nuova avventura di FromSoftware. Ecco il trailer dall’E3 di Sekiro: Shadows Die Twice.

Esplora il Giappone alla fine del 1500, in pieno periodo Sengoku: un’era violenta percorsa da conflitti brutali e in bilico tra la vita e la morte. Affronta straordinari nemici in un mondo oscuro e perverso. Scatena protesi letali e potenti abilità ninja unendo azione furtiva, movimento verticale e combattimenti viscerali in un’avventura sanguinolenta.

Sekiro: Shadows Die Twice

 

OVERKILL’s The Walking Dead: trailer ufficiale

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Starbreeze, Skybound Entertainment e 505 Games hanno appena rilasciato il trailer conclusivo che introduce l’ultimo personaggio giocabile di OVERKILL’s The Walking Dead l’attesissimo videogioco sviluppato da OVERKILL – A Starbreeze Studio. Questo nuovo video, forse il più brutale della serie, svela Heather, una tosta esploratrice che farà parte della tua squadra come quarto componente giocabile. Nella sua vita precedente era un’insegnante d’asilo, ora Heather dovrà imparare la dura lezione che la differenza tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato non è così chiara in un mondo dove l’umanità lotta per sopravvivere contro i non morti.

Starbreeze ha annunciato che sarà possibile giocare a OVERKILL’s The Walking Dead durante l’E3, dal 12 al 14 giugno, al Booth 5200 nel padiglione West Hall del Los Angeles Convention Center.

OVERKILL’s The Walking Dead

Ambientato in una Washington, D.C. post-apocalittica, OVERKILL’s The Walking Dead è uno sparatutto in prima persona cooperativo per quattro giocatori ispirato all’azione, il pericolo e il terrore delle graphic novel originali di Robert Kirkman. I giocatori dovranno unire le forze e intraprendere una grande varietà di missioni e raid, recuperare rifornimenti e assoldare alleati tra i sopravvissuti per difendere il campo base e rimanere vivi. Ogni personaggio giocabile avrà caratteristiche uniche: un albero delle abilità, un proprio ruolo nella squadra, uno stile di gioco e una storia personale alle spalle, come il potente Aidan, l’ex infermiera Maya, e Grant, lo scorbutico uomo di frontiera in cerca della propria famiglia.

OVERKILL’s The Walking Dead sarà disponibile questo autunno per PlayStation®4, Xbox One e PC. Per maggiori informazioni, visita il sito  www.overkillsthewalkingdead.com, e segui il gioco su Facebook, Twitter, YouTube e Instagram.

Dragon Ball FighterZ – World Tour

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BANDAI NAMCO Entertainment Europe ha annunciato il DRAGON BALL FighterZ – World Tour, una nuova serie di tornei dedicati a DRAGON BALL FighterZ.

La prima fermata del DRAGON BALL FighterZ – World Tour è al CEO Fighting Game Championships che si terrà a Daytona Beach, Florida, dal 29 giugno all’1 luglio. Le iscrizioni sono aperte da ora e fino al 19 giugno.

Twin Mirror: il thriller psicologico di Bandai Namco

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BANDAI NAMCO Entertainment ha annunciato oggi il gioco Twin Mirror, un thriller psicologico che segna ufficialmente il suo debutto nel genere delle avventure narrative.

Il rilascio di Twin Mirror è previsto nel 2019 su PlayStation 4, Xbox One e PC via STEAM.

Sviluppato da DONTNOD Entertainment, lo studio che ha realizzato l’acclamato Life is StrangeTM, Twin Mirror offre un’esperienza di gioco con una narrazione plasmabile e guidata dal giocatore. Il protagonista è un eroe tormentato che si trova in bilico tra la cruda realtà, gli oscuri segreti di Basswood, in West Virginia, e la sua lotta personale.

“Twin Mirror è un gioco nel quale sono profondamente radicati i concetti di dualità, redenzione e auto-accettazione e farà vivere ai giocatori uno straordinario e commovente viaggio” ha dichiarato Oskar Guilbert, CEO di DONTNOD.

“Mentre scrivevamo la sceneggiatura delle indagini del giocatore all’interno del titolo, ci siamo ritrovati a domandarci quanto potessimo spingerci oltre i limiti del genere delle avventure narrative nel mondo reale. A mente fredda, ci siamo resi conto che Twin Mirror sarebbe stata un esperienza in grado di ridefinire un genere. Ora, siamo curiosi di scoprire come reagiranno i giocatori quando tutti i pezzi della loro indagine si incastreranno perfettamente”.

I giocatori vestiranno i panni di Samuel, un giornalista investigativo di 33 anni che sta cercando disperatamente di lasciarsi alle spalle una dura separazione e che sta facendo ritorno a casa per il funerale di un vecchio amico. Quando una mattina Sam si sveglia nel suo hotel con la camicia sporca di sangue e nessun ricordo di ciò che è successo la sera prima, comincia un’indagine emozionante per scoprire la verità, avendo come sola arma la sua mente. Twin Mirror offre la possibilità di immergersi nei ricordi sofferti di Samuel per plasmare l’indagine in modo personale e unico attraverso una serie di scelte difficili e dolorose, ciascuna delle quali consentirà a Sam e ai giocatori di avvicinarsi sempre di più alla scoperta della verità e di trovare il proprio posto nel mondo.

“Oggi più che mai, i giocatori cercano viaggi narrativi che, oltre a far progredire la storia verso una particolare direzione, li costringa a compiere difficili scelte morali che influiscono in modo reale e drammatico sull’andamento del gioco”, ha spiegato Eric Hartness, vice presidente marketing di BANDAI NAMCO Entertainment America Inc.

“Twin Mirror segna il nostro debutto nel mondo delle avventure narrative e, grazie alla collaborazione con il team di creativi di DONTNOD, stiamo lavorando per realizzare un titolo che non solo soddisfi e superi gli elevati standard imposti, ma getti anche le fondamenta per lo sviluppo di nuove emozionanti avventure narrative negli anni a venire”, ha aggiunto Hervé Hoerdt, vice presidente marketing e digital di BANDAI NAMCO Entertainment Europe.

Agony: recensione

La nostra agonia per una delusione inaspettata.

Tutto è iniziato nel novembre 2016, quando gli sviluppatori di Agony hanno avviato una campagna Kickstarter per finanziare la creazione del gioco. Nell’arco di due mesi la campagna ha superato l’obiettivo prefissato e così il MadMind Studio si è lanciato nella sua produzione. Non giriamoci molto intorno, le componenti “Violenza&Sesso” hanno sicuramente avuto buon gioco nel far sì che la campagna Kickstarter venisse chiusa in così poco tempo. Ma poi, a sostegno di questa produzione che da subito si è ambiziosamente dichiarata “solo per adulti”, ne è seguita una studiata campagna marketing basata su screenshot e ottimi video, che hanno contribuito a creare una grande aspettativa.

Che Agony cercasse la fama di gioco dannato, era quindi chiaro sin dall’inizio. Questa ambiziosa sfida era basata su un uso eccessivo di violenza mescolato a sesso esplicito. Ma, come al solito, le ambizioni si scontrano con la dura realtà del mercato e quindi gli sviluppatori, per poter evitare la valutazione “Solo per adulti” da parte dell’agenzia Nordamericana ESRB che avrebbe compromesso la commercializzazione, hanno tagliato le sequenze più crude e spaventose per consentire così al gioco di ricevere un rating che permettesse di esser valutato accettabile anche dall’Agenzia Paneuropea PEGI.

Ma rutto questo non è servito a far sì che la nostra prova non iniziasse subito nel peggiore dei modi. Ricevuto un codice digitale del gioco per Xbox ho iniziato il test e, come di consueto, per poter scrivere e documentare una corretta recensione, ho catturato una prima immagine del Menu principale pensando di acquisire immagini e video del Gameplay successivamente Purtroppo non sono andato molto lontano. Con mia grandissima sorpresa ho ricevuto una email dal “Il Team per la conformità alle norme di Xbox Live” con Oggetto: Notifica di provvedimento disciplinare Xbox Live. Vi risparmio il contenuto verboso. In sintesi, sono stato sospeso per 24 ore dal Servizio Xbox Live per aver catturato un’immagine che ha violato le regole di integrità morale del servizio. Quindi, questo non è solo un consiglio a tutti voi per non incorrere in analoghe sanzioni, ma è anche il primo problema ascrivibile al gioco.

Agony recensionePassate le 24 ore di ingiusta punizione eccoci finalmente alle prese con Agony. Si tratta di un’avventura horror con prospettiva in prima persona (FPS) dove impersoniamo un’anima dannata che si ritrova catapultata nelle profondità dell’Inferno senza alcun ricordo del suo passato. Il nostro obiettivo principale è cercare ed incontrare la Dea Rossa, uno dei creatori dell’Inferno, per poter fuggire da questo luogo e tornare nel mondo dei vivi. Il nostro cammino sarà lungo e ostacolato dall’incontro con molti Demoni che dovremo evitare accovacciandoci e trattenendo il respiro con una tipica modalità Stealth. Ma, per proseguire, potremo avvalerci anche dell’abilità di possedere altre anime dannate e, più avanti nel gioco, anche di alcuni Demoni. Il tutto, con l’aggiunta di puzzle da risolvere per sbloccare nuove aree e la raccolta di vari oggetti collezionabili, come teschi e cuori.

Ed ora, controller alla mano, affrontiamo il Gameplay che, da subito, non convince. Molto criptico e poco chiaro; solo aiutato da piccoli suggerimenti che appaiono a video, mostra tutta la sua fragilità nei meccanismi utilizzati per progredire. Nonostante un comando a disposizione permetta di capire dove andare, la vastità dei luoghi e la curiosità dell’esplorazione per trovare oggetti o scoprire segreti, porta spesso a perdersi, ma soprattutto a fare brutti incontri. E qui arriviamo al secondo problema. Come accennato in precedenza, sulla strada della Dea Rossa incontreremo dei Demoni che dovremo cercare di evitare pena la morte. Ma, in Agony la morte è solo un passaggio transitorio mutuato dal fatto che una volta uccisi abbiamo un breve lasso di tempo per impossessarci di un’altra anima e poter riprendere il gioco da quel punto. Se non riusciremo a farlo resusciteremo in punti prestabiliti chiamati “Specchi dell’Anima”, che non sono altro che i checkpoint automatici del gioco. Le meccaniche della possessione, della nostra morte e della rinascita ricordano quelle dei giochi “Souls-Like” per cui, spesso ci troviamo a ripercorre i nostri passi penalizzati da una ripetitività molto frustrante. Con l’aggravante che, dopo tre morti, la nostra resurrezione viene assegnata ad un checkpoint molto più indietro nella storia, facendo arrabbiare anche i giocatori più pazienti perché, in nessun modo questo vieni comunicato. Anche ad un livello normale di difficoltà, la poca pratica iniziale e l’aggressività estremamente elevata dei Demoni, rendono le prime parti del gioco un po’ troppo difficili e monotone, costringendoci ad evitare di esplorare gli ambienti per non incorrere nel rischio di esser uccisi troppo spesso. Solo iniziando una partita con difficoltà facile si riescono a possedere i corpi semplicemente premendo un pulsante; ma, soprattutto vengono date quelle informazioni basilari sulle meccaniche del gioco che dovrebbero essere spiegate chiaramente a qualsiasi difficoltà, per poter evitare la frustrazione della disarmante ripetitività.

Questo è un vero peccato perché, a dispetto di un’acuta frustrazione dovuta al cattivo Gameplay, gli ambienti sono incredibili e magnificamente dettagliati. Gli artisti di MadMind Studio hanno immaginato un Inferno truculento, violento, grottesco e splatter come nessun gioco aveva raggiunto in termini di ambientazioni. Che siano spazi ristretti o ariose ed immense caverne, vale la pena soffermarsi sui dettagli per apprezzare quanta insana fantasia sia stata utilizzata per disegnare i livelli di Agony. I disegnatori meritano il premio per la grafica più oscena mai portata in un videogioco e purtroppo a causa delle scene censurate non sapremo mai sino a dove si siano spinti. Ma si badi bene, nessuna paura, nessuno spavento, solo uno shock d’orrore per i nostri occhi, che forse troppo presto diventerà abitudine.

Agony recensioneDal punto di vista tecnico Agony è un groviera. Con il sonoro gli sviluppatori hanno fatto un buon lavoro per supportare dal punto di vista audio l’inferno che graficamente hanno pensato. Purtroppo, sin dall’inizio sono presenti distorsioni audio e fruscii che palesemente risultano difetti molto fastidiosi. A questi sono associati problemi nei dialoghi che frequentemente si inceppano o saltano del tutto. Anche la componente video presenta vistosi problemi grafici con Tearing continui e Texture non proprio degne di un gioco moderno. Ci auguriamo che gli sviluppatori ci mettano a disposizione una patch al più presto.

Il gioco ha una durata che può raggiungere anche le 10 ore, considerando in questo calcolo molto tempo perso nel ripetere il già fatto. La storia ha sette finali, quindi abbiamo la possibilità di allungare la longevità del gioco cercando di portarli a temine tutti. Oltre a ciò esistono altre due modalità: Agonia e Succube. La prima è costituita da una serie di livelli generati proceduralmente da cui dovremo fuggire il più presto possibile. La modalità Succube si sblocca invece solo al termine della campagna principale e ci permettere di riviverla vestendo questa volta i panni del Demone con fattezze femminile. Modalità sicuramente molto interessante e, per certi versi, più divertente della prima.

Purtroppo Agony è una delusione. Tutti gli sforzi grafici fatti per immaginare un Inferno disturbato, oscenamente fantastico e sadicamente cattivo, vengono resi vani da un comparto tecnico scarso ma, soprattutto, da un Gameplay confuso, non chiaro, particolarmente insufficiente.

Detroit: Become Human, la recensione del nuovo tito Quantic Dream

Detroit: Become Human è la terza avventura grafica sviluppata da Quantic Dream come esclusiva Sony Playstation, per quanto la software house avesse già portato sul mercato i giochi Omikron: The Nomad Soul e Fahrenheit/Indigo Profecy, rispettivamente nel 1999 e nel 2005.

Quest’ultimo rimane, ad oggi, il miglior “film interattivo” dell’azienda francese dal punto di vista del gameplay, mentre la gestione narrativa degli eventi risultava già ai tempi estremamente caotica, superficiale e affrettata, al punto da rendere confusi (e poco sensati) buona parte dei finali raggiungibili in base alle scelte e le azioni effettuate durante gli eventi della storia: eppure, la difficoltà dei numerosissimi QTE, il tempo centellinato per la selezione durante i dialoghi a scelta multipla e il basso margine di errore riescono a compensare la trama traballante, nata da un “frullato” delle più blasonate teorie esoteriche e/o cospirazioniste.

Detroit: Become Human

Detroit: Become Human è il miglior lavoro di Quantic Dream

Senza troppi giri di parole, Detroit: Become Human è il miglior lavoro di Quantic Dream e del CEO David Cage, che in questa sua ultima creazione ricopre sia il ruolo di direttore che di scrittore/sceneggiatore: uscita il 25 Maggio 2018, la nuova esclusiva PlayStation 4 vanta un comparto grafico che spreme non poco l’hardware Sony e lascia a bocca aperta per la cura nella realizzazione di volti, sguardi ed espressioni vista in tempi recenti solo grazie al God of War di Cory Barlog e merito anche di un cast attoriale e uno staff tecnico estremamente competenti.

Detroit: Become Human presenta anche un comparto sonoro di alto livello e un doppiaggio italiano sopra la media videoludica, per quanto alcuni personaggi manchino della “scintilla” presente nella versione inglese. Anche le musiche sono sempre azzeccate e i temi dei tre protagonisti riflettono alla perfezione il loro carattere e le loro storie, dimostrando particolare cura nell’analisi dei personaggi.

Particolare cura nell’analisi dei personaggi

Analisi, tuttavia, che come sempre David Cage dimentica di fare nel momento in cui le sue storie escono fuori da un clima intimo ed emotivo, finendo nel macroscopico: per quanto alcune “ingenuità” possano essere giustificate e contestualizzate, l’intera gestione politica, militare ed economica del problema degli androidi devianti (che hanno quindi sviluppato coscienza e sentimenti, ribellandosi al proprio status di “elettrodomestici parlanti”), della reazione dei media e della popolazione di Detroit e, soprattutto, delle cause e conseguenze che portano alla rivolta dei robot sono trattate con estrema superficialità, con alcune possibili scelte che scadono in vere e proprie incoerenze di sceneggiatura.

Detroit: Become Human

Rispetto ai precedenti giochi Quantic Dream, Detroit: Become Human è quello con più ramificazioni e scelte, tanto irrilevanti quanto fondamentali: quasi tutto ciò che il giocatore decide nel corso della propria avventura avrà ripercussioni a medio e lungo termine e questo fa “perdonare” alcuni finali al limite del nonsense, soprattutto se paragonati a ciò che pare a tutti gli effetti essere la “linea narrativa principale”, da cui sono stati poi elaborate “versioni alternative” molto più inconsistenti.

Non esistono scelte giuste o sbagliate

È comunque un dato di fatto (e oggetto stesso della campagna pubblicitaria del videogioco) che non esistono scelte giuste o sbagliate, canoniche e non canoniche: il giocatore ha piena facoltà di costruire la propria storia e vivere (o subire) le conseguenze delle proprie decisioni, a prescindere che queste vengano o meno apprezzate.

Detroit: Become Human è il gioco della software house francese con maggiori sfumature narrative, ma meno interattività: i quick time event (se giocati in modalità Esperto) possono essere davvero ostici e facilmente fallibili, con la difficoltà media del titolo che però supera di poco quella di Beyond: Due Anime e un impegno richiesto quasi inesistente per la risoluzione degli enigmi. Tutto questo, purtroppo, rende l’esperienza minimamente impegnativa solo per videogiocatori davvero occasionali.

Detroit: Become Human

Se quindi Detroit: Become Human appare come un prodotto eccellente dal punto di vista del livello produttivo generale e una vera e propria perla sotto l’aspetto estetico, in titoli così fortemente story-founded trama e intreccio risultano elementi imprescindibili dal giudizio complessivo e certe leggerezze non possono essere trascurate.

Pur rifiutando l’etichetta di “sci-fi”, David Cage si è pesantemente ispirato a mostri sacri del genere, come Blade Runner e Io, Robot e ha impreziosito la sua opera con citazioni a Matrix e easter egg sul Metal Gear Solid di Hideo Kojima; uno dei personaggi principali, l’androide modello Connor RK800, arriva a citare testualmente il “fratellastro” T800 (Terminator) con uno sfacciatissimo “I’ll be back” e a mimarne non pochi comportamenti nel caso si compiano determinate scelte durante l’avventura.

Queste e molte altre “chicche” da una parte dimostrano che la scrittura dietro Detroit: Become Human ha avuto ottime muse, dall’altra caricano la narrazione di una supponenza e presunta profondità che il gioco, di fatto, non ha: come già accennato, l’autore dimostra notevole sensibilità nel realizzare scene toccanti nel caso a interagire siano pochi personaggi (il cortometraggio Kara è ancora oggi una sequenza dal forte impatto emotivo), ma ha sempre mancato e continua a mancare il punto nel momento in cui esce dal seminato e punta a narrazioni ampie, che descrivono macrorealtà come una nazione o, semplicemente, una città come Detroit.

Detroit: Become Human

La devianza degli androidi e la psicologia dei personaggi secondari sono trattate in modo estremamente superficiale, tra il banale, l’incoerente e il macchiettistico; le scene d’azione starebbero bene in un film d’azione di serie B, dove la fisica e la logica sono optional immolati all’epicità delle scene; la reazione dell’umanità alla ribellione androide sarebbe potuta essere un’occasione fantastica per sviscerare temi molto profondi: l’immortalità, il senso della vita, la percezione del mondo e delle emozioni, come l’autocoscienza e la libertà possano portare ogni essere vivente, sia esso organico o artificiale, a prendere la strada sbagliata e quindi “passare al lato oscuro”, a maggior ragione se ispirati e programmati da “mentori” imperfetti e fallibili come gli esseri umani…

Tutto viene però ridotto a una blanda condanna sociale sulla discriminazione e paura del diverso, tema trito e ritrito, trattato da decenni e con mezzi e maniere molto più profondi anche nel settore dell’intrattenimento poco filosofico e su come, a causa di una visione assai banale della situazione, gli androidi siano vittime, tratteggiati come tali anche dopo aver accoltellato trenta volte il proprietario, mentre gli umani saranno sempre figure negative, ubriache, violente, drogate, maleducate, ipocrite, volgari, prepotenti o un insieme del tutto, illuminate da un raggio di bontà se e solo se condanneranno o criticheranno questo o quell’altro aspetto della propria specie.

Detroit: Become Human

Al di là di ciò che, a conti fatti, è una trama estremamente semplice e con una morale poco convincente e che puzza di già visto e sentito, il comparto tecnico e le capacità attoriali del cast compensano la cronica mancanza d’idee originali di Cage e offrono al giocatore/spettatore quelli che sono senza ombra di dubbio i protagonisti ad oggi meglio scritti dell’autore e momenti tanto epici quanto commoventi, dalla regia fortemente cinematografica e in grado di offrire momenti magari non memorabili o toccanti, ma sicuramente sconvolgenti sotto l’aspetto estetico per ciò che una console Sony di ottava generazione è capace di regalare ai videogiocatori.

Se non pretendete l’erede di Blade Runner o dell’opera più famosa delle sorelle Wachowski, Detroit: Become Human è sicuramente una piccola perla che merita un investimento in tempo e denaro e, se approcciato senza aspettative troppo alte e alla ricerca di sofismi rivoluzionari, potrebbe regalare una buona dose di emozioni, sorrisi e, perchè no, qualche lacrima.

Dragon’s Crown Pro, la recensione

Dopo circa cinque anni dall’uscita del titolo originale, Dragon’s Crown Pro si presenta sul mercato come la versione rimasterizzata e con supporto al 4k e 60 fps al secondo, pensata appositamente per ridar vita su PlayStation 4 a un titolo con ormai parecchi anni sulle spalle, ma che è riuscito a ritagliarsi una generosa fetta di cuore dei giocatori che lo hanno conosciuto a suo tempo.

Dragon’s Crown Pro, così come le sue versioni PlayStation 3 e PlayStation Vita, è un beat ‘em up bidimensionale con componenti GDR, in cui il giocatore vive la propria avventura dopo aver selezionato uno dei sei personaggi a disposizione. Ciascuno di essi ha uno stile di combattimento unico, in linea con la classe d’appartenenza ed è pressocché impossibile non trovare un alter ego che si adatti al proprio stile di gioco.

Nonostante la storia sia identica per tutti gli eroi, al termine della campagna principale (della durata di circa una decina d’ore, se affrontata a difficoltà Normale) verrà mostrato un finale unico, che spiegherà le motivazioni che hanno spinto il protagonista a intraprendere la propria avventura.

I dungeon presenti in Dragon’s Crown Pro sono estremamente variegati nell’estetica, con forse una leggera ripetitività nei mostri presenti, cosa comunque compensata dalla particolare, quasi iconica realizzazione grafica di questi ultimi, degli ambienti e ovviamente degli stessi protagonisti. I livelli durano circa dieci minuti e sono tutti lineari, ma celano aree opzionali e segrete, come anche un bivio per ciascuno, che portano ad affrontare boss di fine stage diversi in base alla strada intrapresa.

Dragon's Crown Pro

Oltre al già citato upscale della risoluzione e del framerate, Dragon’s Crown Pro possiede una colonna sonora completamente riarrangiata e orchestrata, per quanto sia ancora disponibile la versione originale nel menu delle impostazioni; inoltre, offre la possibilità di selezionare fin da subito la lingua giapponese al posto di quella inglese, che nel gioco originale veniva sbloccata solo una volta terminata la storia la prima volta.

Il gameplay di Dragon’s Crown Pro

E a tal proposito, non si può non discutere dell’elemento principale del gameplay di Dragon’s Crown Pro, ovvero il farming: il titolo Vanillaware e Atlus richiede infatti di ripercorrere le varie mappe più e più volte, per completare missioni secondarie, scoprire percorsi alternativi e – ovviamente – potenziare i propri personaggi. Si tratta di un elemento imprescindibile del gioco, che anche a difficoltà standard non lascia molto margine di errore al giocatore, soprattutto nel caso si giochi con alleati controllati dall’intelligenza artificiale.

Dragon’s Crown Pro offre infatti una interessante modalità online (sia cooperativa che di pvp, quest’ultimo però disponibile solo dopo aver terminato la campagna) e, cosa ancor più raro, un multiplayer in locale: è possibile giocare con fino a tre amici contemporaneamente, comodamente a casa propria, a patto che ciascuno di essi possegga un controller.

Dragon's Crown Pro modalità online

La possibilità di giocare con altre persone rende immensamente più facile la vita degli avventurieri: l’IA dei compagni di Dragon’s Crown Pro non è delle migliori, spesso i bot si incastrano o non schivano attacchi e danni ambientali e sono del tutto privi di qualunque strategia, scaricando attacchi potentissimi (e dagli usi limitati) contro i nemici standard per poi arrivare ai boss privi o quasi di risorse.

IA dei compagni di Dragon’s Crown Pro

Per questa ragione, Dragon’s Crown Pro risulta pienamente godibile solo se giocato in cooperativa, visto come le difficoltà superiori alla standard riducono i companion controllati dall’IA come pura e semplice carne da cannone ed elementi di disturbo a schermo.

Quest’ultimo elemento rimane un problema del titolo che la remastered non ha potuto che trascinarsi dietro: per quanto ambientazioni, sprite e animazioni siano bellissimi e curati, oltre che ancora più belli nella nuova resa estetica di Dragon’s Crown Pro, gli eventi a schermo erano e rimangono estremamente caotici, con momenti concitati quasi illeggibili, soprattutto nel caso siano presenti più giocatori della stessa classe, con quindi avatar praticamente identici.

Tirando le somme, Dragon’s Crown Pro è un titolo che era e rimane abbastanza di nicchia, molto semplice, ma curato in quasi ogni suo aspetto: un gioco dallo stile estetico unico, ma poco “pulito” durante le schermaglie più accese; classico, semplice e appagante, ma tendenzialmente tanto, troppo ripetitivo, specialmente se giocato da soli; un lavoro dalla colonna sonora egregia e ancor più bella nella sua nuova versione orchestrale, ma con suoni ambientali e voci monotoni e al limite del fastidioso tanto in inglese quanto in giapponese.

Dragon's Crown Pro

Dragon’s Crown Pro è quindi l’occasione d’oro per recuperare una piccola, grande perla della scorsa generazione videoludica, che traspone efficacemente il feeling “arcade” di giochi ormai – quasi – dimenticati, ma che va approcciata con il giusto spirito e con la consapevolezza d’aver davanti un titolo volutamente “nato vecchio”, in grado di regalare ore e ore di divertimento, ma anche tanta noia e frustrazione se frainteso.

God of War: la nostra recensione su PS4

Sono passati tredici anni dal primo God of War, hack ‘n slash in terza persona sviluppato da Santa Monica Studios come esclusiva PlayStation 2: si tratta, oggi come allora, di un gioco ben realizzato dal punto di vista tecnico, con giusto un binding tra input e comandi discutibile (la pressione rapida e ripetuta del dorsale R1 per aprire le porte tormenta ancora le notti di molti videogiocatori) ma una fluidità e una spettacolarità cinematografica che è riuscita a lasciare il segno, nonostante la gestione narrativa non puntasse oltre il livello di una serie tv di fine anni ’90 di Sam Raimi.

Tuttavia, il God of War del 2005 è sicuramente invecchiato male se paragonato ai sequel per console domestica, God of War II e God of War III: quest’ultimo in particolare, uscito nel 2010 e rimasterizzato per PlayStation 4 cinque anni dopo, risulta ancora oggi un prodotto d’intrattenimento validissimo ed è forse la miglior combinazione della saga di narrazione, estetica, spettacolarità e gameplay intuitivo e soddisfacente.

Il nuovo gioco PlayStation 4, omonimo dell’originale God of War e uscito come esclusiva Sony il 20 Aprile 2018, rappresenta una svolta nella saga di Santa Monica, tanto da esser stato – erroneamente – scambiato da molti come reboot. Pur senza addentrarsi nella selva oscura di spoiler e colpi di scena, che il nuovo God of War sia a tutti gli effetti un sequel diretto di God of War III è indubbio fin dai primi istanti; mancano ancora alcuni tasselli per giustificare il passaggio del protagonista da un luogo geografico all’altro, ma è probabile che tutto questo sarà approfondito in futuro nei fumetti ufficiali editi da Dark Horse Comics.

Il setting norreno, ben diverso dalla blasonatissima (e abusatissima) ambientazione classica/greca, non è però l’unica differenza tra questo God of War e i titoli del passato. Il director del progetto Cory Barlog, veterano dei team dediti alla realizzazione dei giochi della saga, ha infatti puntato a un approccio completamente diverso tanto nel gameplay quanto nella gestione degli eventi mostrati a schermo.

La nuova avventura di Kratos e suo figlio Atreus viene narrata in piano sequenza, senza alcun taglio o stacco dell’inquadratura dal primo all’ultimo istante di gioco. I comprimari che il giocatore incontrerà durante l’avventura non sono numerosi, ma tutti egregiamente realizzati, sia nel design che nella caratterizzazione. I dialoghi sono numerosissimi, brillanti, accompagnati da un eccellente doppiaggio italiano e non si limitano ai semplici filmati di gioco: il silenzioso protagonista si troverà infatti immerso in un chiacchiericcio a schermo quasi costante che, oltre ad approfondire eventi e personaggi, permetterà di conoscere alcuni elementi del folklore del mondo esplorabile anche ai più digiuni di mitologia nordica.

God of War

Come mostrato fin dai primi trailer e screenshot del gioco, God of War ha adesso un gameplay con inquadratura “a spalla”, la cosiddetta “seconda persona”; questo per certi versi limita il campo visivo del giocatore e impedisce la gestione di corpose orde di nemici da macellare, infatti assenti in questo nuovo capitolo della saga. A una riduzione della quantità si è però accompagnato un aumento della qualità dato come, oggi come mai in passato, l’ottimizzazione di abilità e combo sarà fondamentale per superare ostacoli e avversari lungo il cammino.

God of War presenta skill tree diversificati in base alla tipologia di arma equipaggiata: l’esperienza accumulata alla fine delle battaglie va investita nell’ottenimento di abilità attive e passive da utilizzare durante lo scontro, tanto da Kratos quanto dal figlio. A questo si aggiungono gli attacchi runici, che si dividono in leggero e pesante per Kratos, mentre Atreus avrà come opzioni diversi tipi di evocazione spirituale. In base alla runa equipaggiata, le azioni disponibili saranno completamente diverse, oltre che potenziabili per ben due volte.

God of War

Se la difficoltà della trama principale risulta abbastanza permissiva, lo stesso non può dirsi delle missioni secondarie, indispensabili nel caso si punti al completismo e/o si vogliano scoprire i retroscena degli eventi che hanno portato all’avventura di Kratos e progenie: fin dalla modalità standard, God of War offre un buon livello di sfida, che pur basandosi il larga parte sulla parametria, richiede inderogabilmente anche la conoscenza delle armi e azioni a propria disposizione.

La gestione del personaggio non si limita alle abilità ottenibili con l’esperienza: esiste anche un’altra valuta in-game, l’argento, ottenibile tramite esplorazioni e come ricompensa per determinate missioni secondarie. Il metallo prezioso è moneta di scambio per i Brok e Sindri, due nani che aiuteranno il giocatore fornendo equipaggiamenti protettivi e potenziamenti per questi, come anche per le armi del protagonista.

La già citata parametria è una componente GDR originale di questo God of War, che gratta solo la superficie di meccaniche già rodate in altri titoli, ma offre una discreta personalizzazione all’approccio con cui affrontare ogni battaglia. C’è da sperare che nei titoli futuri questo aspetto del gioco venga raffinato, visto come al momento sia davvero basilare e appaia quasi “messo per forza”, per affiancare il nuovo gioco di Santa Monica alla schiera sterminata di action RPG tanto di moda in questi anni e che quindi, pur non stonando, risulta una meccanica che avrebbe potuto offrire molto di più se approfondita e la quale, se rimossa del tutto, non avrebbe di certo deluso il pubblico.

Screenshot God of War

Va detto che una svolta tanto brusca in una saga di ormai otto titoli (compreso God of War: Betrayal, il gioco per dispositivi mobile realizzato da uno studio differente ma comunque ufficiale e canonico) è stata una mossa ardita, che avrebbe potuto affossare il brand e mandare a monte gli oltre cinque anni di lavoro di Santa Monica per lo sviluppo del God of War del 2018. Fra i giochi fino ad ora usciti, è sicuramente il più longevo e con il maggior numero di collezionabili e missioni opzionali, con persino due dei nove regni norreni raggiungibili per attività del tutto facoltative. Lo stesso discorso vale per la gestione della narrazione e dell’approfondimento psicologico dei protagonisti, che ha ottenuto sempre più spazio col passare degli anni, ma che in questo God of War risulta un elemento chiave.

La necessità di spiegare il vastissimo e complesso mondo norreno ha però “obbligato” gli sviluppatori a inserire un paio di sessioni di “walking simulator”, per consentire ai comprimari di esporre eventi presenti e passati e le leggi del mondo che li regolano. Il tutto è realizzato con una regia eccelsa e animazioni incredibili di ciascun modello, ma non si può negare come, per tutti quelli che si aspettavano un bagno di sangue pari o peggiore a God of War III, le – tremende – fiabe di Kratos, raccontate al figlio durante le traversate in barca, potrebbero risultare sgradite.

Fortunatamente nessuno dei dialoghi o delle missioni opzionali risulta ripetitivo: la mole di contenuto audio di God of War potrebbe fare invidia a ben più classici RPG moderni, così come le quest di completismo sono tutte diverse fra loro e collocate in ambienti sempre diversi della mappa… molto diverse, quindi, dalle atroci fetch quest dell’amato e odiato Final Fantasy XV.

La creazione delle creature avversarie

Anche la poca varietà di nemici e mid boss è stata criticata al nuovo titolo di Santa Monica. In effetti, God of War obbliga il giocatore a macellare qualche troll di troppo e le occasioni in cui il gioco stupisce con avversari mai visti sono davvero poche. Questo è sicuramente un aspetto che andrà migliorato in un (probabilissimo) sequel, che forte di una base concettuale e tecnica già rodata permetterà agli sviluppatori di “osare” di più. Innegabile comunque la cura posta nella creazione delle creature avversarie, aspetto tuttavia apprezzabile più da un critico videoludico che da un “semplice” appassionato di videogame.

La reazione di pubblico e stampa al cambiamento apportato alla saga dal nuovo capitolo è stata quasi totalmente positiva e a ragion veduta: escludendo i nostalgici (persone che nella maggior parte dei casi hanno espresso giudizi senza aver effettivamente provato il gioco in questione) tanto i professionisti del settore, quanto i semplici appassionati si sono trovati d’accordo nell’affermare come God of War sia una rinascita del brand che non ne snatura minimamente l’animo. Cory Barlog ha mostrato in interviste e nel concreto lavoro quanto rispetti le origini della saga e come ogni singolo cambiamento non sia un rinnegare il passato, ma un esaltarlo, senza ridurre il nuovo titolo a un “more of the same con la grafica bella”.

God of War

Sicuramente un “più classico” God of War sarebbe stato comunque benvenuto, ma lo studio californiano ha deciso di osare e spingersi oltre, realizzando un titolo non esente da difetti, ma che ha ottenuto il pieno appoggio di esperti e non del settore e che ad oggi risulta il gioco della saga col più alto punteggio su Metacritic e la capacità di creare già adesso, a poche settimane dall’uscita, incredibile attesa, aspettativa, “hype” per un secondo capitolo.