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Detroit: Become Human, la recensione del nuovo tito Quantic Dream

Detroit: Become Human è la terza avventura grafica sviluppata da Quantic Dream come esclusiva Sony Playstation, per quanto la software house avesse già portato sul mercato i giochi Omikron: The Nomad Soul e Fahrenheit/Indigo Profecy, rispettivamente nel 1999 e nel 2005.

Quest’ultimo rimane, ad oggi, il miglior “film interattivo” dell’azienda francese dal punto di vista del gameplay, mentre la gestione narrativa degli eventi risultava già ai tempi estremamente caotica, superficiale e affrettata, al punto da rendere confusi (e poco sensati) buona parte dei finali raggiungibili in base alle scelte e le azioni effettuate durante gli eventi della storia: eppure, la difficoltà dei numerosissimi QTE, il tempo centellinato per la selezione durante i dialoghi a scelta multipla e il basso margine di errore riescono a compensare la trama traballante, nata da un “frullato” delle più blasonate teorie esoteriche e/o cospirazioniste.

Detroit: Become Human

Detroit: Become Human è il miglior lavoro di Quantic Dream

Senza troppi giri di parole, Detroit: Become Human è il miglior lavoro di Quantic Dream e del CEO David Cage, che in questa sua ultima creazione ricopre sia il ruolo di direttore che di scrittore/sceneggiatore: uscita il 25 Maggio 2018, la nuova esclusiva PlayStation 4 vanta un comparto grafico che spreme non poco l’hardware Sony e lascia a bocca aperta per la cura nella realizzazione di volti, sguardi ed espressioni vista in tempi recenti solo grazie al God of War di Cory Barlog e merito anche di un cast attoriale e uno staff tecnico estremamente competenti.

Detroit: Become Human presenta anche un comparto sonoro di alto livello e un doppiaggio italiano sopra la media videoludica, per quanto alcuni personaggi manchino della “scintilla” presente nella versione inglese. Anche le musiche sono sempre azzeccate e i temi dei tre protagonisti riflettono alla perfezione il loro carattere e le loro storie, dimostrando particolare cura nell’analisi dei personaggi.

Particolare cura nell’analisi dei personaggi

Analisi, tuttavia, che come sempre David Cage dimentica di fare nel momento in cui le sue storie escono fuori da un clima intimo ed emotivo, finendo nel macroscopico: per quanto alcune “ingenuità” possano essere giustificate e contestualizzate, l’intera gestione politica, militare ed economica del problema degli androidi devianti (che hanno quindi sviluppato coscienza e sentimenti, ribellandosi al proprio status di “elettrodomestici parlanti”), della reazione dei media e della popolazione di Detroit e, soprattutto, delle cause e conseguenze che portano alla rivolta dei robot sono trattate con estrema superficialità, con alcune possibili scelte che scadono in vere e proprie incoerenze di sceneggiatura.

Detroit: Become Human

Rispetto ai precedenti giochi Quantic Dream, Detroit: Become Human è quello con più ramificazioni e scelte, tanto irrilevanti quanto fondamentali: quasi tutto ciò che il giocatore decide nel corso della propria avventura avrà ripercussioni a medio e lungo termine e questo fa “perdonare” alcuni finali al limite del nonsense, soprattutto se paragonati a ciò che pare a tutti gli effetti essere la “linea narrativa principale”, da cui sono stati poi elaborate “versioni alternative” molto più inconsistenti.

Non esistono scelte giuste o sbagliate

È comunque un dato di fatto (e oggetto stesso della campagna pubblicitaria del videogioco) che non esistono scelte giuste o sbagliate, canoniche e non canoniche: il giocatore ha piena facoltà di costruire la propria storia e vivere (o subire) le conseguenze delle proprie decisioni, a prescindere che queste vengano o meno apprezzate.

Detroit: Become Human è il gioco della software house francese con maggiori sfumature narrative, ma meno interattività: i quick time event (se giocati in modalità Esperto) possono essere davvero ostici e facilmente fallibili, con la difficoltà media del titolo che però supera di poco quella di Beyond: Due Anime e un impegno richiesto quasi inesistente per la risoluzione degli enigmi. Tutto questo, purtroppo, rende l’esperienza minimamente impegnativa solo per videogiocatori davvero occasionali.

Detroit: Become Human

Se quindi Detroit: Become Human appare come un prodotto eccellente dal punto di vista del livello produttivo generale e una vera e propria perla sotto l’aspetto estetico, in titoli così fortemente story-founded trama e intreccio risultano elementi imprescindibili dal giudizio complessivo e certe leggerezze non possono essere trascurate.

Pur rifiutando l’etichetta di “sci-fi”, David Cage si è pesantemente ispirato a mostri sacri del genere, come Blade Runner e Io, Robot e ha impreziosito la sua opera con citazioni a Matrix e easter egg sul Metal Gear Solid di Hideo Kojima; uno dei personaggi principali, l’androide modello Connor RK800, arriva a citare testualmente il “fratellastro” T800 (Terminator) con uno sfacciatissimo “I’ll be back” e a mimarne non pochi comportamenti nel caso si compiano determinate scelte durante l’avventura.

Queste e molte altre “chicche” da una parte dimostrano che la scrittura dietro Detroit: Become Human ha avuto ottime muse, dall’altra caricano la narrazione di una supponenza e presunta profondità che il gioco, di fatto, non ha: come già accennato, l’autore dimostra notevole sensibilità nel realizzare scene toccanti nel caso a interagire siano pochi personaggi (il cortometraggio Kara è ancora oggi una sequenza dal forte impatto emotivo), ma ha sempre mancato e continua a mancare il punto nel momento in cui esce dal seminato e punta a narrazioni ampie, che descrivono macrorealtà come una nazione o, semplicemente, una città come Detroit.

Detroit: Become Human

La devianza degli androidi e la psicologia dei personaggi secondari sono trattate in modo estremamente superficiale, tra il banale, l’incoerente e il macchiettistico; le scene d’azione starebbero bene in un film d’azione di serie B, dove la fisica e la logica sono optional immolati all’epicità delle scene; la reazione dell’umanità alla ribellione androide sarebbe potuta essere un’occasione fantastica per sviscerare temi molto profondi: l’immortalità, il senso della vita, la percezione del mondo e delle emozioni, come l’autocoscienza e la libertà possano portare ogni essere vivente, sia esso organico o artificiale, a prendere la strada sbagliata e quindi “passare al lato oscuro”, a maggior ragione se ispirati e programmati da “mentori” imperfetti e fallibili come gli esseri umani…

Tutto viene però ridotto a una blanda condanna sociale sulla discriminazione e paura del diverso, tema trito e ritrito, trattato da decenni e con mezzi e maniere molto più profondi anche nel settore dell’intrattenimento poco filosofico e su come, a causa di una visione assai banale della situazione, gli androidi siano vittime, tratteggiati come tali anche dopo aver accoltellato trenta volte il proprietario, mentre gli umani saranno sempre figure negative, ubriache, violente, drogate, maleducate, ipocrite, volgari, prepotenti o un insieme del tutto, illuminate da un raggio di bontà se e solo se condanneranno o criticheranno questo o quell’altro aspetto della propria specie.

Detroit: Become Human

Al di là di ciò che, a conti fatti, è una trama estremamente semplice e con una morale poco convincente e che puzza di già visto e sentito, il comparto tecnico e le capacità attoriali del cast compensano la cronica mancanza d’idee originali di Cage e offrono al giocatore/spettatore quelli che sono senza ombra di dubbio i protagonisti ad oggi meglio scritti dell’autore e momenti tanto epici quanto commoventi, dalla regia fortemente cinematografica e in grado di offrire momenti magari non memorabili o toccanti, ma sicuramente sconvolgenti sotto l’aspetto estetico per ciò che una console Sony di ottava generazione è capace di regalare ai videogiocatori.

Se non pretendete l’erede di Blade Runner o dell’opera più famosa delle sorelle Wachowski, Detroit: Become Human è sicuramente una piccola perla che merita un investimento in tempo e denaro e, se approcciato senza aspettative troppo alte e alla ricerca di sofismi rivoluzionari, potrebbe regalare una buona dose di emozioni, sorrisi e, perchè no, qualche lacrima.

Dragon’s Crown Pro, la recensione

Dopo circa cinque anni dall’uscita del titolo originale, Dragon’s Crown Pro si presenta sul mercato come la versione rimasterizzata e con supporto al 4k e 60 fps al secondo, pensata appositamente per ridar vita su PlayStation 4 a un titolo con ormai parecchi anni sulle spalle, ma che è riuscito a ritagliarsi una generosa fetta di cuore dei giocatori che lo hanno conosciuto a suo tempo.

Dragon’s Crown Pro, così come le sue versioni PlayStation 3 e PlayStation Vita, è un beat ‘em up bidimensionale con componenti GDR, in cui il giocatore vive la propria avventura dopo aver selezionato uno dei sei personaggi a disposizione. Ciascuno di essi ha uno stile di combattimento unico, in linea con la classe d’appartenenza ed è pressocché impossibile non trovare un alter ego che si adatti al proprio stile di gioco.

Nonostante la storia sia identica per tutti gli eroi, al termine della campagna principale (della durata di circa una decina d’ore, se affrontata a difficoltà Normale) verrà mostrato un finale unico, che spiegherà le motivazioni che hanno spinto il protagonista a intraprendere la propria avventura.

I dungeon presenti in Dragon’s Crown Pro sono estremamente variegati nell’estetica, con forse una leggera ripetitività nei mostri presenti, cosa comunque compensata dalla particolare, quasi iconica realizzazione grafica di questi ultimi, degli ambienti e ovviamente degli stessi protagonisti. I livelli durano circa dieci minuti e sono tutti lineari, ma celano aree opzionali e segrete, come anche un bivio per ciascuno, che portano ad affrontare boss di fine stage diversi in base alla strada intrapresa.

Dragon's Crown Pro

Oltre al già citato upscale della risoluzione e del framerate, Dragon’s Crown Pro possiede una colonna sonora completamente riarrangiata e orchestrata, per quanto sia ancora disponibile la versione originale nel menu delle impostazioni; inoltre, offre la possibilità di selezionare fin da subito la lingua giapponese al posto di quella inglese, che nel gioco originale veniva sbloccata solo una volta terminata la storia la prima volta.

Il gameplay di Dragon’s Crown Pro

E a tal proposito, non si può non discutere dell’elemento principale del gameplay di Dragon’s Crown Pro, ovvero il farming: il titolo Vanillaware e Atlus richiede infatti di ripercorrere le varie mappe più e più volte, per completare missioni secondarie, scoprire percorsi alternativi e – ovviamente – potenziare i propri personaggi. Si tratta di un elemento imprescindibile del gioco, che anche a difficoltà standard non lascia molto margine di errore al giocatore, soprattutto nel caso si giochi con alleati controllati dall’intelligenza artificiale.

Dragon’s Crown Pro offre infatti una interessante modalità online (sia cooperativa che di pvp, quest’ultimo però disponibile solo dopo aver terminato la campagna) e, cosa ancor più raro, un multiplayer in locale: è possibile giocare con fino a tre amici contemporaneamente, comodamente a casa propria, a patto che ciascuno di essi possegga un controller.

Dragon's Crown Pro modalità online

La possibilità di giocare con altre persone rende immensamente più facile la vita degli avventurieri: l’IA dei compagni di Dragon’s Crown Pro non è delle migliori, spesso i bot si incastrano o non schivano attacchi e danni ambientali e sono del tutto privi di qualunque strategia, scaricando attacchi potentissimi (e dagli usi limitati) contro i nemici standard per poi arrivare ai boss privi o quasi di risorse.

IA dei compagni di Dragon’s Crown Pro

Per questa ragione, Dragon’s Crown Pro risulta pienamente godibile solo se giocato in cooperativa, visto come le difficoltà superiori alla standard riducono i companion controllati dall’IA come pura e semplice carne da cannone ed elementi di disturbo a schermo.

Quest’ultimo elemento rimane un problema del titolo che la remastered non ha potuto che trascinarsi dietro: per quanto ambientazioni, sprite e animazioni siano bellissimi e curati, oltre che ancora più belli nella nuova resa estetica di Dragon’s Crown Pro, gli eventi a schermo erano e rimangono estremamente caotici, con momenti concitati quasi illeggibili, soprattutto nel caso siano presenti più giocatori della stessa classe, con quindi avatar praticamente identici.

Tirando le somme, Dragon’s Crown Pro è un titolo che era e rimane abbastanza di nicchia, molto semplice, ma curato in quasi ogni suo aspetto: un gioco dallo stile estetico unico, ma poco “pulito” durante le schermaglie più accese; classico, semplice e appagante, ma tendenzialmente tanto, troppo ripetitivo, specialmente se giocato da soli; un lavoro dalla colonna sonora egregia e ancor più bella nella sua nuova versione orchestrale, ma con suoni ambientali e voci monotoni e al limite del fastidioso tanto in inglese quanto in giapponese.

Dragon's Crown Pro

Dragon’s Crown Pro è quindi l’occasione d’oro per recuperare una piccola, grande perla della scorsa generazione videoludica, che traspone efficacemente il feeling “arcade” di giochi ormai – quasi – dimenticati, ma che va approcciata con il giusto spirito e con la consapevolezza d’aver davanti un titolo volutamente “nato vecchio”, in grado di regalare ore e ore di divertimento, ma anche tanta noia e frustrazione se frainteso.

God of War: la nostra recensione su PS4

Sono passati tredici anni dal primo God of War, hack ‘n slash in terza persona sviluppato da Santa Monica Studios come esclusiva PlayStation 2: si tratta, oggi come allora, di un gioco ben realizzato dal punto di vista tecnico, con giusto un binding tra input e comandi discutibile (la pressione rapida e ripetuta del dorsale R1 per aprire le porte tormenta ancora le notti di molti videogiocatori) ma una fluidità e una spettacolarità cinematografica che è riuscita a lasciare il segno, nonostante la gestione narrativa non puntasse oltre il livello di una serie tv di fine anni ’90 di Sam Raimi.

Tuttavia, il God of War del 2005 è sicuramente invecchiato male se paragonato ai sequel per console domestica, God of War II e God of War III: quest’ultimo in particolare, uscito nel 2010 e rimasterizzato per PlayStation 4 cinque anni dopo, risulta ancora oggi un prodotto d’intrattenimento validissimo ed è forse la miglior combinazione della saga di narrazione, estetica, spettacolarità e gameplay intuitivo e soddisfacente.

Il nuovo gioco PlayStation 4, omonimo dell’originale God of War e uscito come esclusiva Sony il 20 Aprile 2018, rappresenta una svolta nella saga di Santa Monica, tanto da esser stato – erroneamente – scambiato da molti come reboot. Pur senza addentrarsi nella selva oscura di spoiler e colpi di scena, che il nuovo God of War sia a tutti gli effetti un sequel diretto di God of War III è indubbio fin dai primi istanti; mancano ancora alcuni tasselli per giustificare il passaggio del protagonista da un luogo geografico all’altro, ma è probabile che tutto questo sarà approfondito in futuro nei fumetti ufficiali editi da Dark Horse Comics.

Il setting norreno, ben diverso dalla blasonatissima (e abusatissima) ambientazione classica/greca, non è però l’unica differenza tra questo God of War e i titoli del passato. Il director del progetto Cory Barlog, veterano dei team dediti alla realizzazione dei giochi della saga, ha infatti puntato a un approccio completamente diverso tanto nel gameplay quanto nella gestione degli eventi mostrati a schermo.

La nuova avventura di Kratos e suo figlio Atreus viene narrata in piano sequenza, senza alcun taglio o stacco dell’inquadratura dal primo all’ultimo istante di gioco. I comprimari che il giocatore incontrerà durante l’avventura non sono numerosi, ma tutti egregiamente realizzati, sia nel design che nella caratterizzazione. I dialoghi sono numerosissimi, brillanti, accompagnati da un eccellente doppiaggio italiano e non si limitano ai semplici filmati di gioco: il silenzioso protagonista si troverà infatti immerso in un chiacchiericcio a schermo quasi costante che, oltre ad approfondire eventi e personaggi, permetterà di conoscere alcuni elementi del folklore del mondo esplorabile anche ai più digiuni di mitologia nordica.

God of War

Come mostrato fin dai primi trailer e screenshot del gioco, God of War ha adesso un gameplay con inquadratura “a spalla”, la cosiddetta “seconda persona”; questo per certi versi limita il campo visivo del giocatore e impedisce la gestione di corpose orde di nemici da macellare, infatti assenti in questo nuovo capitolo della saga. A una riduzione della quantità si è però accompagnato un aumento della qualità dato come, oggi come mai in passato, l’ottimizzazione di abilità e combo sarà fondamentale per superare ostacoli e avversari lungo il cammino.

God of War presenta skill tree diversificati in base alla tipologia di arma equipaggiata: l’esperienza accumulata alla fine delle battaglie va investita nell’ottenimento di abilità attive e passive da utilizzare durante lo scontro, tanto da Kratos quanto dal figlio. A questo si aggiungono gli attacchi runici, che si dividono in leggero e pesante per Kratos, mentre Atreus avrà come opzioni diversi tipi di evocazione spirituale. In base alla runa equipaggiata, le azioni disponibili saranno completamente diverse, oltre che potenziabili per ben due volte.

God of War

Se la difficoltà della trama principale risulta abbastanza permissiva, lo stesso non può dirsi delle missioni secondarie, indispensabili nel caso si punti al completismo e/o si vogliano scoprire i retroscena degli eventi che hanno portato all’avventura di Kratos e progenie: fin dalla modalità standard, God of War offre un buon livello di sfida, che pur basandosi il larga parte sulla parametria, richiede inderogabilmente anche la conoscenza delle armi e azioni a propria disposizione.

La gestione del personaggio non si limita alle abilità ottenibili con l’esperienza: esiste anche un’altra valuta in-game, l’argento, ottenibile tramite esplorazioni e come ricompensa per determinate missioni secondarie. Il metallo prezioso è moneta di scambio per i Brok e Sindri, due nani che aiuteranno il giocatore fornendo equipaggiamenti protettivi e potenziamenti per questi, come anche per le armi del protagonista.

La già citata parametria è una componente GDR originale di questo God of War, che gratta solo la superficie di meccaniche già rodate in altri titoli, ma offre una discreta personalizzazione all’approccio con cui affrontare ogni battaglia. C’è da sperare che nei titoli futuri questo aspetto del gioco venga raffinato, visto come al momento sia davvero basilare e appaia quasi “messo per forza”, per affiancare il nuovo gioco di Santa Monica alla schiera sterminata di action RPG tanto di moda in questi anni e che quindi, pur non stonando, risulta una meccanica che avrebbe potuto offrire molto di più se approfondita e la quale, se rimossa del tutto, non avrebbe di certo deluso il pubblico.

Screenshot God of War

Va detto che una svolta tanto brusca in una saga di ormai otto titoli (compreso God of War: Betrayal, il gioco per dispositivi mobile realizzato da uno studio differente ma comunque ufficiale e canonico) è stata una mossa ardita, che avrebbe potuto affossare il brand e mandare a monte gli oltre cinque anni di lavoro di Santa Monica per lo sviluppo del God of War del 2018. Fra i giochi fino ad ora usciti, è sicuramente il più longevo e con il maggior numero di collezionabili e missioni opzionali, con persino due dei nove regni norreni raggiungibili per attività del tutto facoltative. Lo stesso discorso vale per la gestione della narrazione e dell’approfondimento psicologico dei protagonisti, che ha ottenuto sempre più spazio col passare degli anni, ma che in questo God of War risulta un elemento chiave.

La necessità di spiegare il vastissimo e complesso mondo norreno ha però “obbligato” gli sviluppatori a inserire un paio di sessioni di “walking simulator”, per consentire ai comprimari di esporre eventi presenti e passati e le leggi del mondo che li regolano. Il tutto è realizzato con una regia eccelsa e animazioni incredibili di ciascun modello, ma non si può negare come, per tutti quelli che si aspettavano un bagno di sangue pari o peggiore a God of War III, le – tremende – fiabe di Kratos, raccontate al figlio durante le traversate in barca, potrebbero risultare sgradite.

Fortunatamente nessuno dei dialoghi o delle missioni opzionali risulta ripetitivo: la mole di contenuto audio di God of War potrebbe fare invidia a ben più classici RPG moderni, così come le quest di completismo sono tutte diverse fra loro e collocate in ambienti sempre diversi della mappa… molto diverse, quindi, dalle atroci fetch quest dell’amato e odiato Final Fantasy XV.

La creazione delle creature avversarie

Anche la poca varietà di nemici e mid boss è stata criticata al nuovo titolo di Santa Monica. In effetti, God of War obbliga il giocatore a macellare qualche troll di troppo e le occasioni in cui il gioco stupisce con avversari mai visti sono davvero poche. Questo è sicuramente un aspetto che andrà migliorato in un (probabilissimo) sequel, che forte di una base concettuale e tecnica già rodata permetterà agli sviluppatori di “osare” di più. Innegabile comunque la cura posta nella creazione delle creature avversarie, aspetto tuttavia apprezzabile più da un critico videoludico che da un “semplice” appassionato di videogame.

La reazione di pubblico e stampa al cambiamento apportato alla saga dal nuovo capitolo è stata quasi totalmente positiva e a ragion veduta: escludendo i nostalgici (persone che nella maggior parte dei casi hanno espresso giudizi senza aver effettivamente provato il gioco in questione) tanto i professionisti del settore, quanto i semplici appassionati si sono trovati d’accordo nell’affermare come God of War sia una rinascita del brand che non ne snatura minimamente l’animo. Cory Barlog ha mostrato in interviste e nel concreto lavoro quanto rispetti le origini della saga e come ogni singolo cambiamento non sia un rinnegare il passato, ma un esaltarlo, senza ridurre il nuovo titolo a un “more of the same con la grafica bella”.

God of War

Sicuramente un “più classico” God of War sarebbe stato comunque benvenuto, ma lo studio californiano ha deciso di osare e spingersi oltre, realizzando un titolo non esente da difetti, ma che ha ottenuto il pieno appoggio di esperti e non del settore e che ad oggi risulta il gioco della saga col più alto punteggio su Metacritic e la capacità di creare già adesso, a poche settimane dall’uscita, incredibile attesa, aspettativa, “hype” per un secondo capitolo.

PlayStation Plus rilancia la promozione 15×12

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PlayStation Plus ritorna questo mese con un’offerta da non perdere: da oggi e fino al 3 maggio, sarà possibile sottoscrivere un abbonamento di quindici mesi a PS Plus al prezzo di dodici, ovvero a 59.99€. La promozione è rivolta a tutti gli utenti, abbonati e non.

Fino al 4 maggio, 15 mesi di PlayStation Plus al prezzo di 12. E tra i titoli del mese Mad Max e Trackmania Turbo

Il mondo di PlayStation Plus offre ai propri abbonati l’opportunità di scaricare due giochi PS4 ogni mese, di unirsi a una community di giocatori provenienti da tutto il mondo e di divertirsi con funzionalità e vantaggi unici. Ad aprile i giochi scaricabili per PS4 senza costi aggiuntivi sono Mad MaxTrackmania Turbo. Protagonista del primo è Max, al centro della famosa serie di George Miller, che dovrà  intraprende un viaggio attraverso un mondo post apocalittico e senza legge alla ricerca di risorse e di un veicolo più potente. Trackmania Turbo, il secondo titolo della line-up di aprile, è un’esperienza unica nel suo genere: l’esuberante gioco da corsa arcade di Ubisoft vive in una strana zona grigia tra le corse automobilistiche e i simulatori di montagne russe.

Ad arricchire l’offerta mensile di PS Plus ci sono le esclusive occasioni del PlayStation Plus Bonus, il portale ricco di proposte inedite riservate agli abbonati. Questo mese gli utenti potranno accedere a il 30% di sconto sull’acquisto di un TomTom VIO, e scoprire così un nuovo modo di guidare lo scooter in città grazie al primo navigatore TomTom per scooter! Lo stiloso design rotondo ne fa un must have per lo scooter. TomTom VIO mostra tutto ciò che è importante vedere intorno a voi. Le info stradali in tempo reale vengono trasmesse direttamente dallo smartphone al navigatore tramite Bluetooth, senza utilizzare il telefono.

E non è finita qui: fino al 10 ottobre 2018, PlayStation Plus consente a tutti i propri abbonati (nuovi e già iscritti) di accedere a uno speciale abbonamento mensile di Spotify Premium scontato del 10%. Per beneficiare della promozione sarà necessario sottoscrivere l’abbonamento alla piattaforma di streaming musicale attraverso l’applicazione dedicata presente in PlayStation™Music.

Agony: in arrivo il gioco horror-survival

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L’acclamato gioco horror-survival, Agony, sarà disponibile dal 22 Maggio 2018. Lo studio di sviluppo Madmind pubblicherà il gioco per PlayStation 4, Xbox One e PC.

https://youtu.be/O-k5XLvyoCI

Oltre ad esser considerato come uno dei titoli horror più attesi del 2018, il videogioco finanziato su Kick Starter metterà alla prova i giocatori con la sua ambientazione maligna e brutale. Agony ti getterà nel cuore dell’Inferno dove per sopravvivere, dovrai risolvere gli enigmi dietro la misteriosa Red Goddess;creatrice di questo luogo di pena e dolore e unica entità a conoscenza di una via d’uscita… ma c’è molto altro sulla storia aldilà di quello che sembra. Perseguitati dalle creature notturne, i giocatori acquisiranno l’abilità di possedere i demoni e altre anime per trovare la loro via, fuori dall’inferno.

Agony include una modalità storia completa così come un sistema di open challenge che genera arbitrariamente livelli da esplorare in cui i giocatori dovranno sopravvivere per guadagnare nuovi Highschores.

Tom Clancy’s Rainbow Six Siege supera i 30 milioni di giocatori

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Ubisoft annuncia che Tom Clancy’s Rainbow Six Siege ha superato i 30 milioni di utenti registrati tra tutte le piattaforme. Lanciato nel 2015, Tom Clancy’s Rainbow Six Siege è diventato uno degli sparatutto multiplayer di maggior successo, e nel suo terzo anno continuerà a evolversi con nuovi contenuti, come il lancio dell’Operazione Chimera, Outbreak e diversi aggiornamenti di gioco. Quest’anno il gioco ha anche ottenuto un picco record di 321.000 spettatori contemporanei durante il Six Invitational 2018, il più importante torneo eSports di Rainbow Six Siege, con oltre 6,2 milioni di ore di visualizzazioni tra tutti i canali nel corso dell’evento. 

“A nome dell’intero team, voglio ringraziare ogni membro della nostra vasta e diversa community mondiale per il supporto. I nostri giocatori sono l’elemento più prezioso per il nostro gioco. Nel corso degli ultimi tre anni, ci siamo impegnati per creare una community solida e basata sulla trasparenza, mentre ampliavamo il mondo di Rainbow Six Siege”, ha dichiarato Alexandre Remy, Brand Director di Rainbow Six Siege. “Siamo davvero onorati di aver raggiunto questo risultato e continueremo a fare tutto il possibile per conquistare ogni nuovo utente che decida di giocare.”

In linea con il suo impegno di fornire nuovi contenuti di qualità e accogliere nuovi giocatori nella community, il team di sviluppo di Tom Clancy’s Rainbow Six Siege intende arrivare a ben 100 operatori nel gioco nel corso dei prossimi anni.

Il terzo anno ha rappresentato un cambiamento significativo nella Tom Clancy’s Rainbow Six Pro League, ora composta da due stagioni di sei mesi ciascuna, da giugno a novembre (Stagione 8) e da dicembre a maggio (Stagione 9). Ogni stagione si concluderà con una propria finale, in cui le migliori otto squadre della stagione, due per ogni regione partecipante: Asia-Pacifico, Europa, America Latina e America del Nord, si sfideranno per aggiudicarsi un lauto montepremi. Inoltre, ogni anno ci saranno anche due eventi Major, in cui si potrà vivere la più intensa azione di Tom Clancy’s Rainbow Six Siege. Oltre al Six Invitational a febbraio, si terrà anche un torneo “Six Major” ad agosto e la prima edizione si terrà proprio a Parigi ad agosto 2018.

Per maggiori informazioni su Tom Clancy’s Rainbow Six Siege, visitare https://rainbow6.ubisoft.com/.

Far Cry 5: recensione

Dimenticato il precedente spin-off della serie “Far Cry – Primal” immaginato nell’età della pietra, Far Cry 5 ci riporta al classico stile sparatutto in prima persona pensato in una immaginaria mappa open world dal nome “Hope County”, collocata geograficamente nel Montana.

“Hope County” è una vasta regione dove il predicatore Joseph Seed si crede il prescelto da Dio per proteggere la gente della Contea da un’inevitabile catastrofe. Per far ciò il predicatore ha fondato una setta chiamata “Project at Eden’s Gate” che guiderà il popolo alla salvezza ma, in realtà, Joseph Seed è un pazzo e la sua setta vive in un culto militaristico che si basa sulla violenza per convertire con la forza il popolo di “Hope County”. Nel suo fanatismo religioso Joseph Seed ha assunto il titolo di “Padre” e ha diviso la contea in tre regione di cui mantiene il controllo grazie all’aiuto dei suoi tre fratelli, conosciuti come i Messaggeri: Jacob Seed “il Soldato”, John Seed “l’Inquisitore” e Faith Seed “la Sirena”.

Grazie alla conformazione montuosa di “Hope County” tutta la regione ha pochi varchi d’accesso e così per la setta è stato facile controllarla ed isolarla dal resto del mondo. Nonostante ciò, le notizie delle violenze che avvengono nella Contea cominciano a trapelare sino a portare ad un’operazione congiunta tra gli Stati Uniti Marshals e il dipartimento dello Sceriffo della Contea che si presentano nel quartier generale della setta con un mandato di cattura federale per Joseph Seed. Sebbene il predicatore non opponga resistenza, afferma che Dio non gli permetterà di essere detenuto. Infatti, mentre viene scortato sull’elicottero che lo porterà in prigione, i membri del culto attaccano il mezzo causandone la caduta e liberando il Padre che subito ordina loro di catturare i poliziotti sopravvissuti.

Tutto questo è raccontato nella parte iniziale del gioco attraverso una lunga sequenza cinematografica che introduce anche il nostro personaggio. Siamo un vice sceriffo ed il nostro soprannome è “il vice”, facciamo parte della task force inviata per arrestare Joseph Seed e, guarda caso, siamo uno dei sopravvissuti. Ed è così che inizia la nostra avventura, prima fuggendo dai nemici e poi, piano piano, organizzandoci per spodestare la famiglia Seed anche con l’aiuto dei cittadini di “Hope County” che stanno organizzando un movimento di resistenza con l’obiettivo di cacciare il predicatore.

Similmente ai precedenti episodi, Far Cry 5 è ambientato in una mappa open world che possiamo esplorare a piedi o con l’ausilio di moltissimi veicoli che spaziano dai più tradizionali come auto e moto, a veicoli speciali come l’idrovolante, il trattore o la motrice di un camion che sembra presa da “Mad Max: Fury Road”. Novità assoluta di questo episodio è che possiamo modificare a piacimento l’aspetto del nostro personaggio, senza però raggiungere livelli di personalizzazioni a cui altri giochi ci hanno abituati. Analogamente alla quantità di veicoli, anche per quanto riguarda le armi avremo a disposizione una vastissima scelta che ci permetterà di affrontare in maniera differente e molto creativa sia i combattimenti ravvicinati che quelli a distanza. Veicoli e armi possono essere trovati durante il gioco oppure comperati in appositi negozi utilizzando i crediti che guadagneremo completando le varie missioni del gioco.

Uno spettacolare Open World per un’avventura intrisa di sangue e religione.

Far Cry 5 recensione

Far Cry 5 ha una trama che si presenta robusta ed articolata con l’obiettivo di non banalizzare o rendere routine il nostro procedere liberando in maniera lineare le regioni controllate dai fratelli Seeds o reclutando cittadini per la resistenza. La libertà concessaci ci permette di seguire il nostro istinto e completare gli incarichi che preferiremo per arrivare all’obiettivo finale. Certo, per ritrovarci faccia a faccia con “il Padre” dovremo per forza liberare le tre regioni ma questo ci permetterà di far crescere l’esperienza del nostro personaggio sbloccando nuove funzionalità e nuove armi. Per raggiungere il nostro obiettivo utilizzeremo una componente nuova del gameplay, l’uso degli Specialisti. In ogni regione avremo la possibilità di cooptare al nostro servizio dei personaggi che si distinguono per la loro abilità nel combattimento e che ci affiancheranno durante gli scontri con i nemici.

Una cecchina, un “appassionato di fiamme”, un prete con la passione per le armi, un pilota d’aerei, un cane e un orso sono solo alcuni esempi degli speciali “amici” che potremo coinvolgere per aiutarci a completare alcune missioni. Ognuno di loro ha caratteristiche e capacità specifiche che lo fanno un esperto di armi e di tattica di combattimento. Ne potremo usare sempre solo uno per volta e potremo comandarlo grazie all’uso di semplici comandi del controller. Le loro caratteristiche ci consentono di affrontare le missioni del gioco adottando diversi tipi di approccio quando, per esempio, dovremo assaltare gli avamposti dei nemici. Saremo in grade di gestire un attacco Stealth facendoci aiutare dall’amica cecchina od optare per un metodo più esplosivo e manifesto attaccando con armi pesanti mentre dall’alto ci aiuterà un altro specialista con il suo bombardamento aereo.

Ma questo gioco non è solo un’avventura avvincente ed adrenalinica, Ubisoft ha fatto un grandissimo lavoro nel creare l’Open World di Far Cry 5. Gli scenari presenti in “Hope County”, che siano costellati da edifici o pura natura, sono tutti spettacolari nei dettagli e nella loro dinamica visiva. Anche in questo gioco Ubisoft utilizza come motore grafico il Dunia Engine, una versione modificata del CryEngine, che supera se stesso nel realismo per quanto riguarda la creazione degli scenari ambientali. Rari cali di frame e qualche glitch non intaccano l’ottimo lavoro fatto.

La durata della storia in modalità giocatore singolo può variare significativamente a seconda di quante missioni secondarie affronteremo, ma sicuramente se Far Cry 5 vi coinvolgerà sarete in grado di superare agevolmente le 30 ore. In ogni caso, è presente anche una modalità co-op “Host-Guest” che prevede che un amico possa partecipare ad una vostra partita o viceversa. Ed infine, abbiamo Far Cry Arcade, un potente editor di mappe che ci permette di creare mappe anche molto complesse e condividerle con la comunità di giocatori online per partite sia giocatore singolo che multi-giocatore. Oppure, sui server si possono utilizzare alcune mappe che Ubisoft ha fatto già preparare per un uso immediato.

Chi ama le avventure Open World non può prescindere da Far Cry 5. Una sceneggiatura profonda e coinvolgente, il miglior gameplay della serie e un comparto grafico eccellente sono le componenti di un viaggio sanguinario ed insano che fanno di questo gioco un’esperienza da provare.

 

Attack on Titan 2, la recensione

Attack on Titan 2 di Omega Force e Koei Tecmo si presenta come seguito dell’originale Attack on Titan: Wings of Freedom, eppure la definizione potrebbe non essere del tutto corretta.

Attack on Titan 2 non riprende infatti la narrazione da dove il prequel l’aveva interrotta, preferendo rivisitare gli eventi della storia partendo dall’inizio, ma con un nuovo protagonista e punto di vista. Dopo un breve filmato introduttivo, il giocatore è libero di creare il proprio originale alter ego, un cadetto che accompagnerà i personaggi principali durante gli eventi.

Tanto le mappe quanto numerosi filmati risultano identici a quelli di Attack on Titan: Wings of Freedom e questo potrebbe infastidire non poco le persone che in passato hanno acquistato e giocato il titolo originale: la sensazione di già visto è inevitabile e accompagna buona parte della Modalità Storia, che risulta originale solo a partire dalle ultime missioni. La narrazione termina con la conclusione della seconda stagione dell’anime omonimo, ma sono presenti delle missioni extra, non canoniche, per portare a termine anche l’avventura del protagonista originale del videogioco.

Come sempre i filmati risultano piacevoli da vedere e accompagnati da un ottimo doppiaggio e un’altrettanto valida regia, per quanto come già detto molti siano riproposizioni 1:1 di quelli del prequel e, tanto in questi quanto in quelli originali, ogni tanto l’animazione labiale non corrisponde ai tempi del parlato.

Quest’ultimo è, come nel predecessore, rimasto nella versione originale giapponese: è invece stata aggiunta una localizzazione italiana per sottotitoli e testi a schermo, nonostante la qualità sia altalenante e alcune frasi risultino semplicemente prive di senso.

Attack on Titan 2

Attack on Titan 2 ripropone il gameplay di Wings of Freedom, rendendo più fluide alcune meccaniche e aggiungendone di originali; rimangono purtroppo inalterati i problemi di gestione della telecamera e i troppo frequenti cali di framerate.

Pur riprendendo molti degli stilemi da “classico musou”, Attack on Titan 2 compensa il ridotto numero di nemici a schermo con le loro dimensioni considerevoli. Il sistema di combattimento prevede combattimenti 1vs1, in cui il giocatore dovrà eliminare il gigante di turno con uno – o più, nel caso degli avversari più potenti – colpi alla nuca, unico colpo debole per le creature che minacciano la sopravvivenza dell’umanità dietro le mura.

Una volta aggianciato il gigante, occorre posizionarsi alla giusta distanza per raggiungere la velocità necessaria per affondare un colpo senza rimbalzare indietro; questo vale tanto per gli attacchi letali quanto per quelli di amputazione, che se messi a segno incapacitano parzialmente la creatura e offrono utili materiali di crafting.

Attack on Titan 2

Le statistiche del proprio alter ego sono fondamentali per il successo e occorre sempre prestare la massima attenzione sia al livello di consumo di lame e gas di propulsione, che all’ottimizzazione del proprio equipaggiamento, per essere sempre efficaci sul campo di battaglia.

L‘aiuto degli alleati, che si tratti di bot controllati dall’intelligenza artificiale (durante la Modalità Storia) o di giocatori in carne ossa (durante la Modalità Alternativa Online) risulterà vitale in più di un’occasione. Alcuni personaggi forniranno supporto bellico con attacchi combinati a quelli del protagonista, altri potenzieranno le statistiche di quest’ultimo per un breve periodo di tempo, altri ancora accecheranno i giganti per un paio di secondi.

I nemici dell’umanità, in Attack on Titan 2, hanno mantenuto la basilare IA del titolo originale, più qualche semplice ma benvenuto potenziamento. Rimanere nel loro campo visivo troppo a lungo, infatti, li farà entrare in uno status “berserk”, in cui i loro movimenti saranno più veloci e i loro attacchi più pericolosi. Ovviamente le reazioni di ciascun tipo di gigante saranno diverse e l’esperienza del giocatore nel riconoscerli porterà grandi vantaggi, specialmente durante gli scontri avanzati, con giganti molto aggressivi e resistenti.

Attack on Titan 2

Attack on Titan 2

Per fortuna, anche il giocatore troverà a sua disposizione nuovi, letali assi nella manica: per cominciare, la possibilità di costruire basi di vario genere all’interno dei campi di battaglia, sia per rifornire le scorte di lame e bombole di gas, che per estrarre materiali da creazione unici o anche, semplicemente, per bombardare i nemici con colpi di artiglieria.

Avanzare nella Modalità Storia sblocca numerose altre meccaniche e oggetti utili per proteggersi o danneggiare seriamente i nemici. Fra questi va menzionata la rete di cattura, consumabile che, se lanciato su un gigante dopo aver soddisfatto determinate condizioni, ne permetterà l’acquisizione e studio all’interno del Laboratorio di Ricerca, oltre che premi unici in pieno stile Monster Hunter.

Conoscere i propri avversari è importante tanto quanto essere apprezzati dai commiltoni: Attack on Titan 2 offre infatti brevi missioni, principalmente composte da dialoghi a scelta multipla durante i quali l’eroe potrà legare coi compagni di battaglia (e protagonisti della storia originale) per aumentarne l’affinità e sbloccare abilità e potenziamenti passivi, importanti quasi quanto l’equipaggiamento.

Il Fondi Corpo e le Ali della Libertà ottenuti con le missioni sono valuta in game indispensabile per acquistare nuove armi, potenziare le proprie statistiche tramite addestramento, scoprire nuove informazioni sui giganti e creare basi sul campo via via più efficaci.

Attack on Titan 2

La Modalità Storia permette di sbloccare tutte queste e molte altre feature, oltre che i vari comprimari utilizzabili nella Modalità Alternativa. Questa è giocabile sia offline che connessi a una rete internet, per interagire con altri giocatori nel mondo: scopo delle missioni a disposizione è l’espansione dell’area d’inflluenza dell’uomo al di fuori delle mura, oltre che l’ottenimento di materiali di crafting sempre più utili man mano che la difficoltà aumento.

Terminare le circa 10 ore di Storia permettono anche di attivare ulteriori sfide e ottenere oggetti e armamenti sempre più letali, affiancati da sfide via via più ostiche, alcune delle quali risultano davvero ostiche se affrontate in singleplayer nonostante il livello medio di sfida del titolo sia abbastanza basso.

Proprio come il gioco originale, Attack on Titan 2 deve la sua longevità principalmente all’attività di farming: decine e decine di ore dovranno essere impiegate per ripetere questa o quell’altra missione e ottenere materiali per diventare sempre più forti. L’aumento esponenziale di feature a disposizione ha espanso ulteriormente il tempo da dedicare al titolo, ma ne ha garantito anche una maggiore varietà rispetto all’endgame di Wings of Freedom, che nelle sue missioni finali raggiungeva picchi malsani di lentezza e frustrazione.

Attack on Titan 2

Attack on Titan 2 risulta pigramente realizzato sotto molti aspetti, riciclando asset e persino filmati di gioco dal titolo precedente e non risolvendo alcune evitabilissime magagne tecniche, ma offre anche un’esperienza migliorata sotto ogni punto di vista. La possibilità di giocare nei panni di un protagonista originale permette di immedesimarsi ancora di più nello spirito di corpo dei personaggi della storia, accompagnando il tutto da un fanservice in pieno stile nipponico e con parentesi spesso spudorate al punto da strappare un sorriso.

Si tratta di un acquisto consigliato per tutti gli amanti del manga e dell’anime originali, mentre chi ha già speso le sue centinaia di ore sul primo Attack on Titan: Wings of Freedom si potrebbe ritrovare un “more of the same” sicuramente godibile, ma che per l’inevitabile ridondanza (soprattutto narrativa) potrebbe non valere l’acquisto a prezzo pieno.

Sea of Thieves: recensione

Sea of Thieves era stato annunciato quasi sottotono nell’arena dei giochi tripla-A, ma poi, grazie anche al sostegno marketing che mamma Microsoft può garantire, a vele spiegate ha cominciato a generare grandi aspettative in tutta la comunità dei videogiocatori. Il percorso di avvicinamento al lancio ha visto prima un manipolo ristretto di selezionati giocatori partecipare ad una Beta Chiusa per un pesante test del gioco e poi alcuni giorni di una Beta Aperta, giusto il tempo per arrivare a ridosso della versione finale.

A questo punto Sea of Thieves è già da giorni ufficialmente sugli scaffali come esclusiva Xbox e Windows 10 e, con codice digitale, sfrutta la modalità Xbox Play Anywhere che permette di giocarlo su Console e PC senza costi aggiuntivi.

Sea of Thieves si presenta come un gioco multigiocatore in cui impersoniamo un pirata pronto ad esplorare un mondo pieno di tesori, battaglie ed imprevisti di ogni genere. E allora prendiamo in mano il Controller e lanciamoci in questa nuova avventura, non prima di aver messo le mani nel nostro vecchio baule dei giochi per estrarre il vecchio travestimento da Capitan Uncino.

Le meccaniche iniziali prevedono la classica scelta della tipologia di pirata da impersonare e se progredire con altri amici nella modalità multigiocatore oppure tentare l’avventura in solitaria, in entrambi i casi la sorpresa iniziale è spiazzante. In un mondo di videogiochi in cui vengono mostrati gli aiuti anche semplicemente per come saltare e dove, per facilitare i nostri movimenti, appaiono a schermo mappe anche per gli Open world, in Sea of Thieves sembra di esser tornati indietro di 20 anni. Il gioco inizia in una taverna e possiamo muoverci, raccogliere banane o palle di cannone, tentare di parlare con l’oste tramite un Menu di domande che ci riporta ai tempi di “Monkey Island” od uscire e girovagare per l’isola.

Ma nessuna indicazione, nessun suggerimento, nessun obiettivo, solo un mondo cartoon coloratissimo che siamo liberi di girare muovendoci con visualizzazione in prima persona. Ma, se inizialmente la frustrazione sembra prendere il sopravvento, dopo poco tempo il tutto si trasforma nel piacere della scoperta e dello sperimentare, soddisfazioni che ai giorni nostri sembravano bandite dal vademecum dei videogiochi. Così, nella nostra piccola isola incominciamo presto a capire che le missioni le possiamo chiedere a tre distinti gruppi: i Cacciatori d’Oro, l’Ordine delle Anime e i Mercati. Sono tre diverse tipologie di missioni ma tutte portano all’obiettivo di accrescere la propria reputazione e/o ottenere denaro per comperare oggetti per noi o per la nostra nave.

Qualcuno ha detto nave?

Già, la nave è il fulcro geniale sul quale gli sviluppatori di Rare hanno costruito tutto il gioco. Non potremo godere appieno di Sea of Thieves sino a quando non avremo fatto nostro il controllo dell’imbarcazione che sceglieremo. E la nostra scelta sarà principalmente fatta sulla base della tipologia di gioco adottata. Se prenderemo la strada del giocatore singolo non ci resterà che lo Sloop, un’imbarcazione a vela con un solo albero, dotata di tavolo da carteggio a poppa, ponte di comando per le manovre e alcuni cannoni pronti all’uso. Mentre giocando in multigiocatore avremo a disposizione un equipaggio di amici e quindi potremo optare anche per una grande Galeone. In entrambi i casi dovremo velocemente imparare come impostare la nostra missione e poi salpare. E qui cominciano le piacevoli sorprese. Il gameplay della navigazione è essenziale ma estremamente realistico.

Tracciare la rotta, levare l’ancora, alzare le vele, impostare la rotta con il timone e regolare le vele durante la navigazione. Tutte manovre apparentemente semplici che però Rare ha adattato ad un simulatore velico estremamente realistico. Per non parlare del mare e del cielo. Se tutto il gioco si basa su personaggi ed ambiente stilizzati che ricordano i cartoni animati, altro discorso lo si deve fare per l’animazione del mare e in parte delle perturbazioni atmosferiche. Senza dubbio, ad oggi il più bel mare mai visto in un videogioco. Ma è tutta la simulazione della navigazione che è il perno di Sea of Thieves. Navigare da A a B significa regolare le vele, correre sotto coperta a controllare se siamo in rotta e tante moltissime altre azioni che l’imprevisto ci porterà. Essì perché il vero gioco è la navigazione in un mare vastissimo dove, oltre ad occuparci della rotta, dovremo difenderci da altri giocatori che ci attaccheranno per derubarci o destreggiarci in mezzo ad una tempesta che danneggerà la nostra barca e quindi dovremo svuotarla dall’acqua e ripararla dalle falle.

Ovviamente, tutto questo, mentre stiamo navigando. E’ evidente che la modalità multigiocatore di Sea of Thieves trova in tutte queste manovre da svolgere contemporaneamente la sua piena ragione d’essere. Le singole missioni sulle varie isole sono sicuramente più semplici e di meno soddisfazione di una traversata nel mare. Una volta ormeggiata la barca scenderemo sull’isola e, per raggiungere il nostro obiettivo, dovremo affrontare quasi sempre scheletri più o meno coriacei utilizzando poche armi e un sistema di combattimento a dir poco basico. Come dicevamo la vera esperienza di gioco è spostata verso lo scontro con altri giocatori ed è per questo che si riesce ad apprezzare maggiormente il gioco solo creando equipaggi con gli amici. Mi è capitato più volte di navigare ed esser assaltato da barche più grandi e non è praticamente possibile ingaggiare la battaglia da soli perché, o si è al timone o si spara con il cannone, o si controlla la rotta sulla mappa o si ripara la chiglia che è stata danneggiata dalle cannonate.

Oltre a questo ci sono, come in analoghi giochi multigiocatore, dei veri e propri Raid segnalati da una nuvola lampeggiante a forma di teschio. Questi momenti di sfida attirarono molti giocatori perché in palio ci sono grossi bottini e quindi gli scontri diventano epici ed avvincenti solo se si gioca con compagni. Al netto delle battaglie rimangono molti tesori che non ci consentono una crescita personale del nostro personaggio come in Destiny e analoghi sparatutto multigiocatore. Una scelta dello sviluppatore che vuole premiare giustamente il bilanciamento degli scontri ma che solo il tempo ci dirà se vincente. Con tutti i tesori guadagnati potremo acquistare abbellimenti estetici del nostro pirata ma soprattutto vele ed accessori che permetteranno alla nostra barca di navigare meglio e più velocemente dei nostri avversari, che non è poco. Però, se da un lato, la navigazione con tutto ciò che comporta in termini di battaglie ed imprevisti, è molto appagante e molto spesso unica, il livello di contenuti in termini di tipologia di missioni, sembra proprio al momento l’anello debole del gioco.

Sea of Thieves è un bellissimo gioco con grandissime potenzialità ma anche con alcuni punti di domanda che soprattutto fanno emergere dei dubbi sulla strada che seguirà nella sua crescita. Se la libertà di gioco e la bellezza degli scenari nautici lo rendono un gioco unico e da provare, non possiamo però nascondere che la mancanza di contenuti va sottolineata, con la speranza che Microsoft corra al più presto ai ripari.

Street Fighter 30th Anniversary Collection

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Celebra 30 anni di di combattimenti con Street Fighter 30th Anniversary Collection, in arrivo il 29 maggio 2018 su PlayStation 4, Xbox One e Nintendo Switch!

Street Fighter 30th Anniversary Collection raggruppa 12 iconici capitoli della serie che hanno fatto la storia di Street Fighter. Quattro di questi titoli includeranno anche la possibilità di giocare online. I 12 capitolo sono i seguenti:

  • Street Fighter
  • Street Fighter II
  • Street Fighter II: Champion Edition
  • Street Fighter II: Hyper Fighting – Modalità online
  • Super Street Fighter II
  • Super Street Fighter II: Turbo – Modalità online
  • Street Fighter Alpha
  • Street Fighter Alpha 2
  • Street Fighter Alpha 3 – Modalità online
  • Street Fighter III
  • Street Fighter III: 2nd Impact
  • Street Fighter III: 3rd Strike – Modalità online

 

BONUS PRE-ORDINE: ULTRA STREET FIGHTER IV

Completa la tua collezione con una copia gratuita di Ultra Street Fighter IV, preordinando Street Fighter 30th Anniversary Collection su PlayStation 4, Xbox One e Steam, prima del lancio ufficiale il 29 maggio!

Street Fighter 30th Anniversary Collection contiene 12 titoli che hanno influenzato la storia della serie Street Fighter, introducendo nuovi concetti, caratteristiche di gioco e personaggi. In termini di data di uscita, Street Fighter III: 3rd Strike è stato lanciato nel lontano 1999, prima di essere seguito dal trionfale ritorno della serie con Street Fighter IV. È qui che entra in gioco il bonus preordine con Street Fighter IV, che ha rivitalizzato la serie con la sua uscita e ha trasportato l’eredità della serie nel millennio! Preordinando Street Fighter 30th Anniversary Collection su PlayStation 4, Xbox One e Steam, riceverete Ultra Street Fighter IV per completare la serie!