Ghost of Yotei, la recensione su PS5

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Quando Sucker Punch ha annunciato Ghost of Yotei sembrava quasi troppo bello per essere vero. Dopo il clamoroso successo di Ghost of Tsushima nel 2020 molti si aspettavano un sequel diretto con Jin Sakai. Invece ci ritroviamo catapultati trecento anni nel futuro e sull’isola di Ezo (l’odierna Hokkaido) nel 1603 con una protagonista completamente nuova: Atsu. Una mercenaria con un passato devastante e un obiettivo cristallino come la neve che ricopre queste terre: vendicarsi dei sei samurai che hanno massacrato la sua famiglia sedici anni prima.

Questo nuovo capitolo dei Ghost si presenta come un’esperienza standalone che non richiede alcuna conoscenza del predecessore. Potete tranquillamente tuffarvi nelle lande ghiacciate di Ezo senza aver mai impugnato la katana di Jin. Ma per chi ha vissuto l’avventura su Tsushima il ritorno ha il sapore del “tornare a casa” con quella palette cromatica inconfondibile e quella regia cinematografica che strizza l’occhio ai classici di Kurosawa.

Parliamoci chiaro fin da subito: Ghost of Yotei è esattamente quello che si aspettavano tutti. Un bel “more of the same” con tutta la sicurezza e i limiti che questa definizione porta con sé. I punti di forza sono facilmente riassumibili: un comparto artistico da urlo che riesce a emozionare con panorami da cartolina giapponese. Un sistema di combattimento raffinato rispetto al primo capitolo con più varietà nelle armi. Una storia di vendetta “classica” ma efficace, che ti tiene incollato allo schermo. Un open world ricco di attività da svolgere, con una progressione leggera e mai opprimente.

I difetti però esistono e vanno messi sul piatto: alcune missioni secondarie risultano ripetitive e banali. I minigiochi abbondano (forse troppo) e alla lunga stancano, quella libertà promessa – nel scegliere l’ordine degli obiettivi – è molto meno rivoluzionaria di quanto SONY abbia voluto far credere, tecnicamente i volti dei personaggi non brillano come il resto della produzione, la telecamera durante gli scontri può dare ancora qualche grattacapo. Ma andiamo per ordine e scopriamo insieme se questo viaggio nelle terre ghiacciate di Ezo vale il prezzo del biglietto.

Ghost of Yotei recensione

Storia e personaggi: una vendetta lunga sedici anni

La storia di Ghost of Yotei segue uno schema narrativo classicissimo della tradizione giapponese: la vendetta personale portata avanti contro ogni probabilità da un individuo apparentemente normale che diventa leggenda. Atsu non è nè un’eroina e tantomeno una martire: è una mercenaria stanca e logorata dal dolore. Sedici anni prima, cinque samurai del clan Saito, insieme al loro Lord, hanno fatto irruzione nella sua casa. La piccola Atsu ha visto uccidere la sua famiglia con violenza inaudita davanti ai proprio occhio. Non contenti, hanno dato fuoco all’abitazione e l’hanno trafitta con la fredda lama di una katana, lasciandola moribonda sotto l’albero di ginkgo nel giardino.

Ma Atsu è sopravvissuta. È fuggita. Si è addestrata per anni nel continente accumulando rabbia e abilità fino a quando non è stata pronta a tornare. Il suo obiettivo è semplice quanto devastante: eliminare i sei di Yotei uno dopo l’altro. Ognuno di questi bersagli non è solo un nome da cancellare dalla lista ma rappresenta una sfumatura diversa del male umano: il traditore, il vigliacco, l’assetato di potere e il sadico che gode della sofferenza altrui.

Atsu nel corso della sua caccia diventerà l’Onryo: uno spettro impossibile da fermare che semina terrore nelle terre di Ezo. La scrittura colpisce per onestà e crudezza. Niente frasi a effetto o patina da film occidentale che cerca di sembrare giapponese, solo il peso crudo di una scelta che la protagonista deve portare sulle spalle. Il gioco è abile nel farci sentire questo peso. Ogni omicidio compiuto apre una ferita e ne richiude un’altra e ci si chiede spesso se quello che stiamo facendo sia giustizia o solo un’ossessione autodistruttiva.

La struttura narrativa è scandita dalla caccia ai sei bersagli e ogni scontro è un climax narrativo che ti lascia il segno. Sucker Punch dimostra grande maestria nel mettere in scena momenti di altissimo valore artistico, pescando a piene mani dalla mitologia e dal cinema giapponese. I duelli sono pieni di primi piani carichi di tensione: foglie al vento e silenzi che urlano più forte delle parole.

Ghost of Yotei recensione

Il viaggio attraverso Ezo non è solo geografico ma anche interiore. Piano piano la vendetta smette di essere l’unica cosa che conta. Atsu inizia a legarsi suo malgrado ad altri personaggi ed emergono temi come la possibilità di redenzione, anche per chi è stato consumato dal dolore. La solitudine più nera può conoscere una forma di calore umano, accorgendosi che si è mai completamente soli quando si accetta di abbassare la guardia.

C’è poi un elemento narrativo ancestrale: il lupo. All’inizio dell’avventura questo compagno a quattro zampe non è sotto il nostro controllo diretto. Vaga libero e decide autonomamente se e come intervenire nelle situazioni. È un rapporto che deve crescere lentamente attraverso delle azioni condivise e delle missioni a tema. Ognuna di queste rafforza il legame di fiducia, più ci prendiamo cura di lui e più sarà disposto a rispondere ai nostri comandi, rivelando abilità sempre più utili. È una piccola perla di game design, in grado di arricchire sia la narrazione che il gameplay.

Dove la scrittura perde un po’ di smalto è nelle missioni secondarie e nei personaggi di secondari. Gli alleati che incontriamo risultano spesso poco profondi e macchiettistici. Le loro storie non hanno la stessa intensità dell’arco principale. Un “classico” che affligge gli open world moderni, dove tutto ciò che è facoltativo ed inevitabilmente più debole rispetto alla campagna principale.

Anche la tanto decantata libertà di scelta nell’ordine degli assassinii è vera solo in parte. SONY ha fatto grande pubblicità su questo aspetto ma nella pratica va comunque seguita una gerarchia quasi completamente prestabilita. Un minimo di libertà è garantito nelle prime ore di gioco, poi il percorso diventa piuttosto lineare. Chi ha giocato Assassin’s Creed Shadows sa che si può fare molto di più su questo fronte.

Pro di storia e personaggi:

  • protagonista sfaccettata e lontana dallo stereotipo dell’eroe perfetto;
  • arco narrativo della vendetta emotivamente coinvolgente;
  • regia cinematografica che omaggia i classici del cinema giapponese;
  • il legame con il lupo è gestito in modo intelligente e organico;
  • flashback ben dosati che arricchiscono la caratterizzazione;
  • temi maturi come redenzione e solitudine trattati con rispetto;

Contro di storia e personaggi:

  • personaggi secondari poco memorabili e macchiettistici;
  • missioni facoltative spesso banali e ripetitive;
  • libertà di scelta nell’ordine degli obiettivi meno rivoluzionaria del previsto;
  • alcune svolte narrative risultano prevedibili.

Ghost of Yotei recensione

Gameplay: l’arte della lama perfezionata

Ghost of Yotei è un action adventure open world in terza persona, con tutte le meccaniche che ormai conosciamo a memoria. Esplorazione libera, obiettivi principali dorati ben evidenziati sulla mappa, tonnellate di attività secondarie sparse per il territorio, sistema di progressione basato su alberi delle abilità. È una formula consolidata negli ultimi dieci anni e Sucker Punch non ha alcuna intenzione di rivoluzionare nulla.

La mappa si svela progressivamente mentre esploriamo il mondo di gioco e ci sono indicatori per ogni tipo di attività. Ricordate le canne di bambù da tagliare e gli onsen in cui rilassarsi di Tsushima? Ecco quella roba torna con numerose aggiunte: possiam dipingere scenari usando la superficie touch del DualSense, dare la caccia a criminali ricercati per riscuotere taglie, cercare tane di lupi e volpi da seguire. Ci sono, inoltre, funghi da raccogliere e cucinare, fuochi da accendere e altari della riflessione dove migliorare le nostre abilità.

A proposito di minigiochi: ce ne sono davvero tanti e forse troppi. Molti fanno uso spropositato del touchpad del DualSense e dopo un po’ iniziano a stancare. È chiaro l’intento di Sucker Punch di incentivare la “varietà” ma la sensazione è che abbiano esagerato con la quantità, sacrificandone la qualità.

Il sistema di progressione è volutamente semplice e ancorato al passato del genere. Niente derive ruolistiche alla Assassin’s Creed con statistiche infinite da gestire. Qui abbiamo un doppio binario: da un lato sbloccano abilità seguendo diversi rami di talenti che toccano movimento, stealth e stili di combattimento. Dall’altro lato, invece, c’è lo sblocco progressivo di armi e gadget legato all’esplorazione e alle missioni. È un sistema che funziona perché è leggero e immediato. Ci stimola ad esplorare se vogliamo davvero arricchire il nostro arsenale ma non ci opprime con troppe scelte.

Ghost of Yotei recensione

Le armature sono le uniche che danno bonus alle statistiche. Poi ci sono copricapi e maschere, più tutte le skin estetiche che si sbloccano giocando. Niente microtransazioni invasive, tutto si guadagna sul campo e questo è un pregio non da poco di questi tempi. Ma è sul fronte dei combattimenti che Yotei cerca di brillare davvero. La base di partenza è quella solida di Tsushima, con un mix tra l’immediatezza degli action adventure classici e un layer più tecnico che richiede precisione. Il tempismo è fondamentale: schivate e parate possono diventare perfette se eseguite nel momento giusto, aprendo la strada a contrattacchi devastanti. Grande novità è data dal sistema di sbilanciamento e disarmamento (nostro e degli avversari) che aggiunge un ulteriore layer strategico.

La vera novità è la varietà dell’arsenale di Atsu, che introduce una sorta di “morra cinese” negli scontri. Man mano che procedi nella storia impari che a una katana si risponde con un’altra katana. Lo yari (la lancia giapponese) è utilissimo contro nemici che brandiscono due lame e il kusarigama (la catena con falce) demolisce gli scudi. Cambiare arma al volo diventa cruciale negli scontri più caotici quando ci si ritrova circondati da sette o otto avversari diversi.

I duelli uno contro uno scandiscono le fasi più cinematografiche del gioco e sono autentici momenti di tensione pura. Non siamo ai livelli di un soulslike sia chiaro ma c’è abbastanza profondità da rendere ogni scontro impegnativo e soddisfacente. Gli avversari hanno più resistenza rispetto al primo capitolo: non cadono al primo colpo, occorre studiare i loro pattern di attacco e rispondere di conseguenza. Quando riusciamo a concatenare parate perfette e contrattacchi, senza prendere un graffio, ci sentiamo davvero dei maestri della spada.

Lo stealth è presente ma rimane piuttosto basilare. Ci possiamo avvicinare ai nemici di soppiatto ed eliminarli silenziosamente, usare l’ambiente per nasconderci. Ma è un sistema leggero che si rompe facilmente e il gioco non ci punisce abbastanza se preferiamo un approccio diretto. Anzi, spesso lo scontro frontale è più soddisfacente e divertente.

Ghost of Yotei recensione

C’è finalmente un sistema di lock sui bersagli, una delle richieste più frequenti dopo Tsushima. Il problema è che, di base, è disattivato e il gioco non fa praticamente nulla per suggerirci di usarlo. E anche quando lo si abilita, la gestione della telecamera negli scontri più concitati rimane problematica. Quando abbiamo otto nemici intorno che ci attaccano da ogni direzione fare affidamento solo su piccoli aloni bianchi ai bordi dello schermo (per capire da dove arrivano i colpi) non è il massimo.

La telecamera, in generale, può dare fastidio. A volte, per scelte registiche, è troppo ravvicinata e si perde il controllo della situazione. Nei combattimenti più caotici, la quantità di comandi da gestire può diventare eccessiva con decine di armi secondarie e gadget spesso nascosti in sottomenu di selezione rapida. Serve un po’ di pratica per padroneggiare tutto l’arsenale (senza andare nel panico).

L’esplorazione del mondo è piacevole. Ezo è un territorio vasto e vario, che spazia da villaggi innevati a foreste fitte fino a montagne impervie. Le distanze sono generose ma mai eccessive. Possiamo cavalcare il nostro destriero per spostartci rapidamente oppure usare i punti di viaggio rapido sparsi per la mappa. Le tempeste di neve diventano vere e proprie trappole ambientali che riducono la visibilità e ci costringono a cercare riparo.

In termini di longevità, il gioco offre circa 40 ore per completare la storia principale e un bel numero di attività secondarie. Se vogliamo il 100% possiamo tranquillamente superare le 50 ore. Chi va spedito, concentrandosi solo sulla campagna, può finire in una ventina d’ore ma rischia di trovarsi in difficoltà negli scontri finali non avendo sviluppato, a dovere, le potenzialità di Atsu.

Pro del gameplay:

  • sistema di combattimento raffinato con più varietà di armi
  • il tempismo nelle parate e schivate rende gli scontri soddisfacenti
  • progressione leggera e mai opprimente
  • niente microtransazioni invasive
  • i duelli uno contro uno sono intensi e memorabili
  • mappa ben dimensionata che non risulta né troppo piccola né sterminata
  • il sistema di armi introduce una componente tattica interessante

Contro del gameplay:

  • troppi minigiochi che alla lunga stancano;
  • sistema di lock presente ma poco efficace;
  • gestione della telecamera problematica negli scontri concitati;
  • stealth basilare e poco sviluppato;
  • comandi possono diventare soverchianti nell’endgame;
  • nessuna vera innovazione rispetto agli standard del genere.

Ghost of Yotei recensione

Comparto tecnico e artistico: poesia e compromessi

Ghost of Yotei possiede due anime ben distinte, che non sempre si sposano alla perfezione. Dal punto di vista artistico siamo davanti a un capolavoro assoluto. I paesaggi di Ezo sono semplicemente mozzafiato. Ogni panorama sembra dipinto a mano, con una cura maniacale per il dettaglio. Le risaie che fumano al sorgere del sole con il monte Yotei sullo sfondo, lle foreste di betulle che ondeggiano al vento, le tempeste di neve che trasformano il mondo in un velo bianco impenetrabile e i villaggi tradizionali con i tetti ricoperti di neve fresca.

La ricerca estetica rasenta il poetico. Petali che volano, foglie rosse che danzano nell’aria, raggi di luce che filtrano tra i rami. Il ciclo giorno-notte,  combinato con quello meteorologico,  crea momenti di pura magia visiva. Spesso e volentieri ci si ferma semplicemente a guardare il tramonto dipingersi sul ghiaccio e finire col perdersi nell’atmosfera (e nella modalità fotografica). Sucker Punch dimostra una sensibilità artistica fuori dal comune nel restituire la bellezza selvaggia del Giappone feudale del nord.

La direzione fotografica, poi, è da manuale. Possiamo attivare vari filtri in stile Kurosawa, che trasformano il gioco in un film in bianco e nero con grana della pellicola. Oppure scegliere palette più calde o fredde, a seconda dell’atmosfera che vogliamo creare. La modalità foto è ricchissima di opzioni e ci permette di immortalare degli scatti degni di una mostra d’arte.

Ma quando passiamo all’aspetto tecnico puro le cose si complicano. La modellazione dei personaggi – e soprattutto dei loro volti – appartiene a un’altra generazione. Durante il gameplay in tempo reale i volti sembrano rigidi e poco espressivi. È solo nelle cutscene prerenderizzate che il motore grafico viene spinto al massimo e i risultati migliorano sensibilmente. Ma il divario è evidente e spezza un po’ l’immersione.

Gli interni delle abitazioni poi sono piuttosto spogli. Certamente è coerente con l’epoca e con lo stile di vita spartano di queste terre, ma dal punto di vista tecnico, i mobili e gli oggetti mancano di dettaglio e varietà. È chiaro che gli sforzi maggiori sono stati concentrati sugli esterni dove il gioco dà il meglio di sé.

Su PlayStation 5 si hanno a disposizione quattro modalità grafiche tra cui scegliere. La classica performance che punta ai 60 fps, la modalità qualità che privilegia la risoluzione, una modalità ibrida che attiva anche il ray tracing ed infine la modalità esclusiva per PS5 Pro che combina il massimo dei dettagli con un frame rate stabile intorno ai 60 fps. Quest’ultima è chiaramente l’opzione migliore se si possoede la console potenziata, in quanto elimina i compromessi e ci permette di godere sia della bellezza che della fluidità.

Ghost of Yotei recensione

Nelle modalità standard su PS5 base possono verificarsi cali di frame rate nelle aree più dense di dettagli. Soprattutto durante le tempeste di neve (quando gli effetti particellari si moltiplicano sullo schermo). Niente di drammatico ma abbastanza per essere notato. Alcuni piccoli difetti tecnici –  come pop-in delle texture o compenetrazioni occasionali – si fanno vedere qua e là. Sono inezie che non rovinano l’esperienza ma in una produzione di questo calibro ci si aspettava una rifinitura maggiore.

Il comparto sonoro, invece, è semplicemente eccellente. Il tema principale è bellissimo e si cementa nelle memorie. Le musiche tradizionali giapponesi dell’epoca, con l’uso massiccio dello shamisen sono perfettamente amalgamate al racconto. Ogni momento ha il suo accompagnamento musicale azzeccato. I silenzi poi sono usati con maestria per creare tensione prima degli scontri o delle rivelazioni narrative.

Il doppiaggio italiano è di qualità altissima come ormai ci ha abituati SONY. La recitazione è convincente con una bella varietà di timbri vocali. Il missaggio dei volumi è perfetto e non hai mai problemi a sentire i dialoghi anche durante le fasi più concitate. C’è ovviamente anche la possibilità di giocare con l’audio giapponese originale e sottotitoli per chi preferisce l’esperienza più autentica.

Gli effetti sonori in combattimento meritano una menzione particolare. Ogni colpo di katana ha un peso specifico. Il sibilo della lama che fende l’aria, Il rumore sordo dell’acciaio che incontra la carne, i versi gutturali dei nemici colpiti a morte, il vento che sibila tra gli alberi e la neve che scricchiola sotto i piedi. È tutto curato nei minimi dettagli e contribuisce enormemente all’immersione.

Il DualSense viene sfruttato bene con feedback aptico differenziato per ogni tipo di azione. Si sente la tensione dell’arco quando miriano con la freccia, le vibrazioni diverse a seconda della superficie su cui camminiamo e la resistenza dei grilletti quando blocchiamo un attacco. Non è nulla di rivoluzionario, ma aggiunge quel tocco in più di connessione fisica con il gioco.

Pro del comparto tecnico e artistico:

  • direzione artistica da standing ovation;
  • panorami e ambientazioni mozzafiato;
  • modalità foto ricchissima di opzioni;
  • comparto sonoro eccellente con musiche tradizionali azzeccate;
  • doppiaggio italiano di altissimo livello;
  • uso sapiente di silenzi e musica per creare atmosfera;
  • effetti sonori di combattimento curati nei dettagli;
  • buon utilizzo delle funzionalità del DualSense.

Contro del comparto tecnico e artistico:

  • modellazione dei volti dei personaggi sottotono;
  • interni delle abitazioni spogli e poco dettagliati;
  • piccoli difetti tecnici come pop-in e compenetrazioni;
  • divario evidente tra cutscene e gameplay in tempo reale.

Ghost of Yotei

Confronto con Ghost of Tsushima: evoluzione o ripetizione?

Fare il confronto tra Ghost of Yotei e il suo predecessore è inevitabile. Tsushima nel 2020 era arrivato come una ventata d’aria fresca nel panorama degli action adventure open world. Aveva uno stile visivo fortissimo, una storia coinvolgente, un protagonista carismatico in Jin Sakai e soprattutto un’identità ben definita che pescava a piene mani dalla cultura e dal cinema giapponese senza filtri occidentali.

Ghost of Yotei eredita tutto questo DNA e lo porta avanti con orgoglio. Ma al tempo stesso non fa praticamente nulla per evolverlo o metterlo in discussione. È un sequel che gioca sul sicuro. Rifinisce le meccaniche, aggiunge varietà dove serviva, corregge alcuni difetti tecnici ma non prova a reinventare la ruota o a proporre una visione radicalmente diversa.

Dal punto di vista narrativo, Yotei è più cupo e spietato. Jin era un samurai che doveva scegliere tra onore e pragmatismo. Atsu è una mercenaria che ha già fatto la sua scelta e non ha più nulla da perdere. È un cambio di tono apprezzabile che rende questo capitolo più maturo e meno romantico. Non c’è quell’idealismo malinconico che permeava Tsushima, qui la violenza è più cruda e le conseguenze delle azioni pesano di più.

Il mondo di gioco è simile nelle dimensioni ma molto diverso nell’atmosfera. Tsushima era l’isola giapponese classica con i suoi templi e i suoi campi fioriti. Ezo è una terra gelida e ostile dove la natura stessa sembra voler ucciderti. Questa differenza climatica e geografica non è solo estetica ma influenza anche il gameplay, con le tempeste di neve che diventano ostacoli reali.

Il sistema di combattimento è l’area dove Yotei fa il salto qualitativo più evidente. Tsushima aveva quattro stance base e poche armi alternative. Qui abbiamo a disposiziione un arsenale molto più ricco, con katana doppie, yari, kusarigama e tanti altri strumenti di morte. Il sistema di morra cinese tra le armi aggiunge una componente tattica che prima mancava, gli scontri sono più vari e richiedono più adattabilità.

Lo stealth non ha subito grandi evoluzioni ed è rimasto basilare in entrambi i capitoli. Le missioni secondarie soffrono dello stesso identico problema: sono ripetitive e meno interessanti dell’arco principale. Il sistema di progressione è stato alleggerito rispetto alle derive più ruolistiche che Tsushima aveva timidamente introdotto nell’espansione Iki Island.

Tecnicamente Yotei è superiore dove conta di più: negli ambienti esterni e negli effetti atmosferici, ma i personaggi e gli interni mostrano limiti simili se non peggiori. Tsushima girava su PS4 ed era un miracolo tecnico per quella piattaforma, Yotei su PS5 non fa lo stesso salto generazionale che ci si aspettava. È bello, certo, ma non “next-gen” nel senso più profondo del termine.

La struttura open world è identica in entrambi i giochi. Stessi indicatori, stesso tipo di attività e stessa filosofia di design. Se Tsushima vi aveva annoiato in alcuni suoi aspetti Yotei non risolverà il problema. Se invece vi era piaciuto qui troverete esattamente quello che cercate, con in più qualche miglioria qua e là.

Per chi ha amato Tsushima e vuole semplicemente rivivere quella esperienza in un contesto nuovo, Yotei è l’acquisto perfetto. Per chi cerca evoluzione vera e innovazione questo gioco potrebbe deludere le aspettative. È il classico sequel che predica ai convertiti senza cercare di conquistare nuovi fedeli.

Ghost of Yotei
  • 8/10
    Storia, personaggi e contesto - 8/10
  • 9/10
    Controlli/Gameplay - 9/10
  • 10/10
    Dimensione artistica - 10/10
  • 8/10
    Intrattenimento - 8/10
8.8/10

Conclusioni

Un sequel solido che perfeziona la formula senza reinventarla. Artisticamente splendido e narrativamente coinvolgente ma che gioca troppo sul sicuro mancando di quella scintilla innovativa che avrebbe potuto renderlo un capolavoro assoluto. Consigliato caldamente a chi cerca un action adventure di qualità con ambientazione giapponese ed una storia tutta da vivere.

Dino Cioce
39 anni, sposato e padre di due bellissimi bambini; anche se il tempo è poco e gli impegni sono tanti, trovo sempre un momento per dedicarmi al mio mantra e al mio credo. I AM A GAMERCRACY
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