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What Remains of Edith Finch, la prova della folle avventura grafica di Giant Sparrow

Durante la conferenza PlayStation della Paris Games Week 2015, Sony ha annunciato fra titoli altisonanti come GT Sport, Detroit e Matterfall anche un piccolo gioco piuttosto strambo, dal nome curioso di What Remains of Edith Finch. Le immagini mostrate mettevano il giocatore in prima persona negli strani panni di vari animali, da una piovra a uno squalo, che in un video di gameplay addirittura rotolava lungo una scarpata senza apparente motivo. Ma cosa ci fa un essere marino sulla terraferma, ad attraversare le strade di campagna per giunta? Pur provando il titolo, siamo rimasti piuttosto confusi a riguardo, se vi fosse un premio per il gioco più folle della settimana sapremmo certamente a chi consegnarlo. Proviamo a spiegare: si tratta di un’avventura grafica a tutti gli effetti, dal gameplay lineare e senza fronzoli particolari. Gli unici controlli che abbiamo a disposizione sono le due levette analogiche del gamepad per i movimenti e i pulsanti dorsali per l’interazione. Non abbiamo molte opzioni, possiamo soltanto esplorare il mondo di gioco – con passo felpato – e scovare oggetti che è possibile muovere, aprire, mangiare ecc.

CINlWtuWcAMepwdViviamo diverse storie personali appartenenti ai membri di una famiglia maledetta dello stato di Whasington, e ognuna di queste è ambientata in un’epoca diversa a partire dal 1900 sino ad arrivare ai nostri giorni. L’unico file rouge tra i diversi racconti è la visuale in prima persona, il resto è sempre diverso e ogni trama termina svelandoci com’è morto il personaggio di turno. Non siamo sempre umani, come anticipavamo prima, anzi possiamo guardare il mondo con gli occhi di un gatto, di un’aquila, di uno squalo, in maniera del tutto random ma allo stesso tempo guidata dal gioco. Ci muoviamo tridimensionalmente in una “mappa” di gioco dalla strada già segnata, almeno nella demo che abbiamo provato, e solo la narrazione nella sua versione finale può e potrà determinare il successo di un’idea simile. Graficamente si alternano zone piuttosto curate, come gli interni della nostra storica casa, ad altre abbozzate e poco dettagliate, accomunate solo da una spessa grana che simula l’effetto delle vecchie pellicole. Neppure il controllo brilla particolarmente, anzi risulta spesso confuso e frustrante, e per nostra fortuna possiamo e dobbiamo sospendere il giudizio fino alla release definitiva. Certamente ciò che ci aspetta è qualcosa di molto originale e poetico, che vuole far leva sull’emotività del giocatore e conquistarlo, ma bisognerà aver pazienza (anche nel gioco) per capirne a fondo le dinamiche.

Bloodborne: The Old Hunters, la prova di Sabaku No Maiku alla Paris Games Week

Manca ormai meno di un mese alla release ufficiale del DLC di Bloodborne, intitolato The Old Hunters, è quindi stata una sorpresa trovarlo giocabile a questa Paris Games Week 2015, sorpresa immediatamente tramutata in forte interesse.

I Souls hanno un rapporto molto delicato con i contenuti aggiuntivi; i mondi di gioco nascondono sempre una storia nelle loro ambientazioni, oggetti e personaggi, e questo provoca contemporaneamente eccitazione e preoccupazione dinanzi ad un DLC a pagamento per i fan di questo ormai ritenibile nuovo genere. Il rischio che il titolo lasci alcuni misteri in sospeso, solo per rivelarne dettagli in un contenuto sviluppato solo successivamente alla release, è alto e da questo potrebbe nascere un intero nuovo articolo: una discussione sui DLC rispetto al termine “espansione”, la posizione del mercato moderno al riguardo e le scelte di storytelling che vengono fatte in sede di pianificazione, fino ad arrivare a parlare del futuro dell’industria nei confronti di queste decisioni.

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gameplay di 45 minuti

In questo caso ci troviamo dinanzi a un’annunciata “coppia” di DLC, che è stato poi ritenuto rischioso rilasciare separatamente per una possibile cannibalizzazione del mercato, indotta dalla ormai prossima release di Dark Souls 3; è stata presa quindi l’interessante decisione di unirli in un singolo grande contenuto che, oggigiorno, potremmo forse definire una vera e propria espansione in senso letterale. Se e come questo si rivelerà vero lo scopriremo a fine novembre, ma di certo questa prova sul campo è stata interessante per farsi un’idea del lavoro fatto da From Software.

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Superando molteplici schermi con i rispettivi giocatori in preda a una furiosa sfida per sopravvivere e preso il controllo, è risultata palese la decisione di aver realizzato una vera e propria demo studiata ad hoc per la fiera: la partita è cominciata infatti con una nebbia dietro le spalle che, chiaramente, non sarebbe dovuta esser lì. I focus di interesse sono stati chiaramente i seguenti: descrizioni, ambientazione, level design, avversari e infine l’osservazione degli asset di gioco.

Nonostante la lingua, esclusivamente francese, sia stata purtroppo un grande ostacolo, smanettare nell’inventario mi ha concesso di constatare che la famigerata “pizza-cutter” è un’arma ritenuta eretica, forse ripudiata dai cacciatori moderni, così come l’abito utilizzabile dal giocatore fosse in qualche modo una divisa appartenuta ad antichi guardiani, custodi di “qualcosa” che non è stato chiaro, a differenza delle intenzioni di quest’espansione, che sembrano voler “tornare a Demon’s Souls” rispetto alla gestione della difficoltà.

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tutte le copie acquistate su Steam

Probabilmente in preparazione al feeling che vorrà donarci il terzo Dark Souls, troviamo avversari potentissimi, aggressivi e violenti in aree nelle quali le pareti ti soffocano e le uscite sono piene di trappole, ma con boss fight (probabilmente) più semplici ed abbordabili rispetto al percorso fatto per raggiungerle, senza però togliere la possibilità al giocatore di effettuare un “rush”, termine utilizzato per descrivere la decisione di correre all’interno della mappa di gioco, evitando avversari di cui ormai si conosce la posizione.

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La mappa di gioco riutilizza in modo piuttosto intelligente assets presenti nel gioco originale, facendo però un forte occhiolino alla sensazione del “nulla è per caso, giocatori, guardatevi intorno”, nel mentre è facile riscontrare che quasi nulla sa di già visto: il lavoro vi è stato e in modo massiccio.

L’ambientazione, lettori, dal mio punto di vista è certamente la Yharnam che abbiamo conosciuto nel nostro primo viaggio in quest’incubo; i luoghi nel background sono piuttosto riconoscibili ma distorti, come se ci trovassimo in un incubo che la ritrae [ricordate Mensis? ndMike]. Il terreno è pregno di sangue, le pareti coperte di non morti sofferenti e fusi con grumi di carne e membra, gli avversari spesso di taglia molto grande e più difficili da distinguere nella loro stirpe rispetto al passato, in alcuni inquietanti casi.

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dell’esclusiva PlayStation 4

Belve e “kin” sembrano a volte avvicinarsi, con l’apice di questa osservazione riscontrabile nel boss presente in questa demo, lo stesso presentato nei trailer del contenuto: una creatura deforme, ferale e mostruosa, che mostra chiaramente occhi all’interno di alcune sue estremità e fauci. Affrontandola, ho avuto la possibilità di osservarla e riflettere sul perché: si tratta probabilmente di un cavaliere che per qualche misteriosa ragione si è fuso con il suo cavallo, creando un ibrido mai immaginato prima.

La vittoria porta il giocatore ad ascoltare alcune brevi frasi che fanno riferimento ad un maestro perduto, mentre la demo si conclude, ricordandoci con queste parole che tutto, anche la narrazione di una storia, è un ciclo, dopotutto.

Driveclub Bikes, la prova alla Paris Games Week su Ps4

I videogiochi di motociclismo, sulle nuove console ma anche in senso più generale, sono sempre piuttosto rari nonostante l’elevato numero di appassionati in giro per il mondo. Anche per questo motivo l’annuncio di Driveclub Bikes da parte di Sony, alla press conference della Paris Games Week 2015, ha destato non poca sorpresa e stupore. Parliamo di un un prodotto legato a doppio filo con Driveclub originale, acquistabile come DLC da chi già possiede il gioco completo, ma anche stand-alone, da giocare in modo completamente autonomo. Non si è trattato però di un semplice annuncio, “l’espansione” – fra grandi virgolette – è stata infatti resa disponibile sul PSN da subito, dunque un lancio vero e proprio. La nuova esclusiva PlayStation 4 si presenta in maniera molto interessante e propone al suo pubblico dodici delle migliori Superbike del mondo, con tanto di marchi ufficiali come Ducati, BMW, Honda e Yamaha con le quali affrontare un’intera campagna dedicata alle moto e svariati nuovi eventi. Immancabili le sfide che abbiamo già incontrato con le automobili, utili a testare la nostra velocità, l’agilità e l’abilità. Non solo i soli elementi presi a piè pari dal gioco principale, è infatti possibile anche personalizzare livree, tute da gara e caschi. Inoltre i progressi maturati con le moto concorrono a migliorare il vostro club, oltre a sbloccare sfide, ricompense ed elogi.

driveclub1Graficamente abbiamo poco di cui discutere, soprattutto se avete giocato o visto Driveclub: la qualità dei tracciati, dei modelli e degli eventi atmosferici sono praticamente identici, gli sviluppatori hanno semplicemente aggiunto le Superbike con una loro fisica ad hoc, ovviamente. È proprio questo aspetto che cambia totalmente il gameplay, bisogna imparare a domare il mezzo, a derapare senza perdere il controllo, a prendere le curve piegandosi senza crollare a terra. Cosa ancor più importante bisogna prendere confidenza con i freni, staccando al momento giusto senza finire rovinosamente contro i vari guard-rail delle piste. Quando succede, e qui entra a gamba tesa il sistema arcade del titolo, non ci sono animazioni relative agli incidenti, lo schermo si oscura e torniamo in pista come nulla fosse, pronti a ripartire anche se con importanti handicap di tempo e – com’è immaginabile – accelerazione. Parliamo in ogni caso di un divertissement, nulla che possa minimamente avvicinarsi a qualcosa di simulativo, certamente destinato a un grande pubblico. Buona anche la longevità, nel momento in cui pensate di essere padroni della strada e di aver domato il gioco, basta gareggiare sotto la pioggia per diminuire esponenzialmente la possibilità di restare sulla giusta traiettoria; ma tranquilli, nessuno può farsi del male.

The Art of Fallout 4: una splendida galleria di immagini

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Fallout 4 è il gioco più artistico che abbiamo mai creato. Di conseguenza, anche il libro The Art of Fallout 4 (L’arte di Fallout 4) è il volume d’arte più grande mai prodotto da noi e dagli amici di Dark Horse.

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Questo libro da collezione è composto da 368 pagine di generose dimensioni, ricche di concept inediti, bozzetti, disegni di personaggi e armi e tanto altro ancora. Il tutto accompagnato dai commenti del team di Bethesda Game Studios. The Art of Fallout 4 sarà disponibile dal 22 dicembre e potrà essere acquistato qui: store.bethsoft.com (http://) .

Per darvi un’idea dei contenuti, vogliamo condividere una selezione di immagini accompagnate da una breve introduzione del capo grafico Istvan Pely.

“Quando giocate ai nostri titoli, vivete in un mondo in cui il team di Bethesda Game Studios ha già abitato per diversi anni. Giorno dopo giorno lo vediamo crescere intorno a noi, dal germe di un’idea a un universo compiuto. Ogni giorno aggiungiamo o modifichiamo i contenuti, e il mondo si evolve, prende forma e diventa reale.

Dopo anni di vita in questo posto, nostra casa e nostro parco giochi, apriamo le porte e invitiamo milioni di persone a visitarlo e a viverlo. Questo libro rappresenta l’opportunità di condividere con voi parte della storia che appartiene a questo mondo, di come si è evoluto nel corso degli anni e il perché di determinate scelte artistiche.

Il processo di creazione artistica è una questione molto personale. Ogni individuo che ha lavorato al progetto ha messo una parte di sé. Un titolo di questa complessità richiede attenta pianificazione, struttura e organizzazione, ma il lavoro migliore deriva dall’insieme dei risultati personali ottenuti dal singolo. Durante le vostre peregrinazioni nella Zona Contaminata incontrerete molti di questi tocchi personali: elementi a volte nati dall’improvvisazione, oppure minuscole idee concepite da una persona o da un gruppo, poi elaborate e infine inserite nel gioco.

Le radici del nostro albero creativo sono rappresentate dalla squadra di concept art: Adam Adamowicz, Ray Lederer, Ilya Nazarov e John Gravato. Questi talenti lavorano in un’area che noi chiamiamo “Art Pit” (pozzo dell’arte), una stanza al centro della divisione grafica con pareti tappezzate di disegni. Molte idee nascono qui, frutto di vivaci conversazioni tra il direttore di gioco Todd Howard, il capo progettista Emil Pagliarulo, i bozzettisti e me. Ogni artista ha uno stile e una visione personali. Insieme, hanno delineato un mondo ricco e vario, con elementi dotati di personalità e autenticità. Il nostro processo è di tipo iterativo: partiamo da bozzetti appena accennati, poi raffinati in illustrazioni dettagliate e infine consegnati ai grafici 3D. E anche dopo il completamento del modello texturizzato, torniamo sul pezzo ed eventualmente rielaboriamo quel modello finché non raggiunge un livello qualitativo degno del gioco. In queste pagine condividiamo varie immagini che appartengono alle fasi di questo procedimento. Come vedrete, prendiamo in considerazione ogni dettaglio con grande attenzione, a volte a livelli maniacali. Questo è il metodo di lavoro di Bethesda.

Sebbene il libro sia incentrato sull’aspetto artistico, non possiamo ignorare il grande lavoro svolto dai vari reparti dello studio. I progettisti forniscono obiettivi e contesto, mentre i programmatori si assicurano che tutto funzioni alla perfezione. Gli animatori danno vita a un disegno, e gli ingegneri del suono gli danno voce. Infine, i produttori fanno in modo che tutte le parti operino in armonia. Senza tutto questo impegno, le immagini qui presenti non avrebbero mai lasciato il foglio di carta. Essere testimoni dell’incredibile passione e del grande talento infusi in questo processo è incredibile.

Mi auguro che questo libro possa farvi capire cosa significa vedere un mondo materializzarsi quasi dal nulla. Aver fatto parte di questa esperienza è stato un autentico privilegio.

Vorrei ringraziare Todd Howard per la sua visione e il suo supporto. E grazie anche agli straordinari talenti del team di Bethesda Game Studios.”

PlayStation VR e Steam VR, la prova di Sabaku No Maiku

Quanti di voi lettori ricordano l’esistenza della sfortunata console Nintendo chiamata Virtual Boy?­­ Alcuni lettori potrebbero persino non averla mai sentita nominare e non sarebbe un’eventualità di cui vergognarsi: la console ebbe vita breve e fu uno dei più grandi fallimenti della storia per la casa giapponese, con soli 22 titoli sviluppati per essa e tutti assolutamente incapaci di definirsi validi, senza inserire nella lista spiegazioni aggiuntive quali la monocromia delle immagini o i fastidi fisici che causava quasi certamente dopo la prima ora di utilizzo.

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Lo scopo del Virtual Boy era, al tempo, di essere la prima grande avanguardia della stereoscopia nel videogioco, una tecnologia che il cinema tenta di inserire nel proprio mazzo di carte fin dagli anni ’50. Nel terzo millennio che stiamo oggigiorno vivendo, questa “novità” è stata riproposta in modo iper-aggressivo nel mondo cinematografico, ma le pellicole che la usano a livello concreto si contano ancora sulle dita di una mano: Avatar e Lo Hobbit fra tutti. In tutto questo, il pubblico ne è ancora incuriosito a malapena e spesso quest’evoluzione visiva sembra più autocelebrativa che non realmente utile allo sviluppo di quest’arte visiva.

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Sabaku No Maiku

Il videogioco ancor più sembra – sulla carta – in grado di giovare di un’ambiente realmente tridimensionale nel quale interagire: la possibilità di potersi muovere in modo autonomo, all’interno di un mondo senza i confini di uno schermo e potendone percepire la profondità è un potenziale talmente utopico all’interno del game design da poter far impallidire, eccitare e terrorizzare qualunque creativo, allo stesso tempo far prudere le mani di tutti gli imprenditori che han tenuto d’occhio i numeri fatti dal recente cinema stereoscopico, anche se causati soprattutto da un sovrapprezzo dei biglietti che non dà afflussi proporzionalmente maggiori nelle sale.

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Tuttavia videogiochi e cinema sono due cose molto diverse, così come lo sono i rispettivi fruitori persino quando si uniscono gli insiemi, entrambe però sono industrie ed esistono movimenti e mode di mercato che a volte ignorano la logica del consumatore. È così che sono nati il Kinect, il PlayStation Move, e ora queste periferiche di VR che, in modo fortunatamente meno goffo, assomigliano al corrispettivo cinematografico delle sale interattive o, se vogliamo, “4D” e “5D”. Cosa accadrà quando queste realtà virtuali verranno di nuovo, per l’ennesima volta, rimesse sul mercato nel tentativo di affermarsi come qualcosa di potente e funzionale, evolutivo e divertente? Ho avuto modo di provare l’Oculus Rift, così come il PlayStation VR e lo Steam VR alla Paris Games Week 2015, i tre principali competitors che cercano di convincere il pubblico che la loro tecnologia sia la migliore che arriverà sugli scaffali, e posso dirvi molto rispetto a quest’esperienza.

Sample_screen_capture_of_Oculus_rift_development_kit_2_screen_bufferL’Oculus Rift è tecnologicamente la periferica che mi ha convinto di più, la sensazione di profondità è talmente reale che si percepisce facilmente una vera vertigine, con immagini nitide e senza aberrazioni visive, ma è uno strumento la cui posizione è oggigiorno incerta dopo l’acquisizione da parte di Facebook. Rispetto alle VR di Sony e Steam, quest’ultima elaborata da HTC, le differenze appaiono molto sottili, almeno dopo un test sul campo così breve. Il punto di arrivo di queste tecnologie è cambiare anche il modo di interagire con la navigazione web, e la sensazione di meraviglia nel momento in cui ci si trova a bordo di una nave di Elite: Dangerous, potendo fisicamente percepire le proprie mani sugli strumenti di navigazione all’interno di un abitacolo osservabile a 360°, è forte, reale, ma contemporaneamente fugace. Sorge subito un dubbio e più di un problema: a quali generi di videogioco una periferica come questa può adattarsi? E quanto bene?

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Salvo Rigs su Ps4, ogni altra demo dimostrativa era alla stregua di una tech demo: puzzle games, FPS su rotaia e veri e propri video interattivi, che uniti ai problemi che trovo piuttosto seri rischia di lasciare troppo in sospeso. Questi problemi sono principalmente due, la risoluzione ed il prezzo: tutti i test eseguiti mi hanno veramente preoccupato rispetto a quanto bassa fosse la risoluzione del gameplay. Dinanzi ad un campo visivo sconfinato si finisce con lo stancare la vista quasi immediatamente, mentre l’immersione ne risente in modo grave, portando una conversione di titoli pensati per schermi Full HD ad essere quasi inattuabile se non con pesanti modifiche in fase di ottimizzazione, trattando la periferica quasi come fosse una console a se stante.

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Insomma, sembra quasi troppo presto per il grande salto. Il prezzo di release che si aggira intorno ai 300€ per ciascuna di esse crea un altro singolare ostacolo, in un mondo ove la guerra al ribasso e un’utenza sempre meno disposta alla fiducia porta le major a vendere quasi sempre in perdita. Una periferica dal costo di una console casalinga potrebbe alienare quel grande pubblico che console come la Ps2 e la Wii avevano conquistato, rendendo però plausibile un’altra realtà: si parla da sempre della VR, se ne parla insistentemente ed in modo celebrativo al punto da stuccare chi segue l’industria quotidianamente, e questo potrebbe animare la passione di una moda che certamente farà parlare di se nei primi anni dopo la release, ma che rischia seriamente di appassire come un fuoco di paglia, molto presto e molto male. E non sarebbe la prima volta.

Rainbow Six Siege: la prova del gioco Ubisoft alla Paris Games Week

Ben prima di Tom Clancy’s The Division, in uscita solo a marzo 2016, Ubisoft ha un altro titolo in programma ispirato al lavoro dello scrittore di fanta-politica: Tom Clancy’s Rainbow Six Siege. Come già il nome vi suggerisce, si tratta del nuovo capitolo della serie Rainbow Six, famosa sin dal 1998 con l’uscita del primo gioco omonimo. La software house francese ha lavorato duramente per svecchiare il più possibile la saga, sfiorando il rischio di deludere i fan della prima ora, ma il risultato è per molti versi affascinante. La modalità provata alla Paris Games Week 2015 vede dieci giocatori divisi in due squadre: una attacca, l’altra difende una bomba piazzata all’interno di un edificio. Lineare, fin qui, ma ad arricchire il gameplay ci sono davvero molte varianti. All’inizio della partita chi attacca può ispezionare per 40 secondi l’ambiente per localizzare subito l’obiettivo, e avere sulla mappa un segnaposto durante il match. Chi difende ha invece i medesimi 40 secondi per barricarsi nel miglior modo possibile, fortificando i muri, le porte o costruendo barriere al posto delle finestre.

R6S__S08_Sledge_197409Le abilità variano invece da personaggio a personaggio, che possiamo scegliere prima della partenza. Si può sfruttare la potenza di minuscoli droni, di telecamere fisse, di scudi, mine e armi avanzate, insomma la fantasia dell’utente è stuzzicata al massimo. La vera killer feature è rappresentata però dalla singola vita in nostro possesso, il respawn infatti non esiste e se si muore bisogna aspettare la fine della sessione (che in ogni caso non dura più di 3 minuti). Una caratteristica che può far storcere il naso a molti ma che noi abbiamo trovato più che interessante, poiché è fondamentale per tenere alta la tensione. Il sapere di poter morire una volta sola, come nella vita reale, ci fa giocare con più attenzione, ci fa essere più ragionevoli e tattici, aspetto che raramente si trova nei giochi multiplayer. Se dal punto di vista del gameplay Rainbow Six Siege ci ha abbastanza convinto, seppur troppo lontano dai fasti dei primi anni 2000, per quanto riguarda la grafica ci sono molte più riserve. Gli ambienti non sono particolarmente curati, le textures generali non incantano e persino le armi nelle nostre mani hanno poco dettaglio. Manca ancora del tempo però prima dell’uscita di dicembre, confidiamo che il lavoro degli sviluppatori sia ancora un completo work in progress.

Street Fighter V: data di uscita, nuovi lottatori e dettagli post lancio!

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Durante la press conference di oggi di Sony alla Paris Games Week, sono state rilasciate una serie di nuove informazioni su Street Fighter V.

Yoshinori Ono è salito sul palco per confermare che il gioco sarà lanciato in tutta Europa e Nord America il 16 Febbraio 2016. Inoltre è stata confermata la presenza nel roster di Street Fighter V, dell’amatissimo lottatore di ispirazione yoga, Dhalsim. I visitatori della Paris Games Week avranno la possibilità di giocare per la prima volta in assoluto una demo del gioco che include Dhalsim, così come tutti i personaggi annunciati ad oggi: Ryu, Ken, Chun-Li, Cammy, Vega, M. Bison, Birdie, Charlie Nash, Necalli, R. Mika, Rashid, Karin, Zangief e Laura.

Tom Clancy’s The Division, la prova nella Dark Zone alla Paris Games Week

La storia d’amore fra Ubisoft, la software house francese madre di Assassin’s Creed, e l’autore di fanta-politica Tom Clancy è ormai alla luce del sole e sotto gli occhi di tutti. Sono infatti ben due i titoli ispirati al lavoro dello scrittore che lo studio farà uscire sul mercato, Tom Clancy’s Rainbow Six Siege l’1 dicembre prossimo e Tom Clancy’s The Division a marzo 2016. È proprio per quest’ultimo che alla Paris Games Week 2015 è stato allestito un autentico campo di quarantena, all’interno del quale provare in anteprima una delle modalità online del gioco. Parliamo della Dark Zone, una zona all’interno della quale le forze speciali hanno il compito di recuperare pacchetti contaminati per portarli altrove, e renderli così sicuri. Ovviamente fra loro e la riuscita del piano un’intera squadra di criminali, pronti a difendere l’area armati fino ai denti. I mesi che ci separano dall’uscita ufficiale sono ancora molti, quindi potete immaginare lo stato dello sviluppo: al primo respawn il nostro personaggio ha iniziato a surfare senza controllo all’interno della mappa, passando attraverso gli oggetti e incastrandosi in un container, fino a rimanere ucciso nuovamente.

09_06_14_2Tralasciando le facili battute all’indirizzo di Ubisoft, che in quanto a bugs fa una grande concorrenza a CD Projekt RED, Tom Clancy’s The Division può vantare un ottimo impianto grafico (anche se abbastanza pixelato su Xbox One, per ora). Non ci riferiamo soltanto a una Manhattan distrutta e suggestiva, sotto la caduta costante di elementi particellari ormai in pianta stabile in ogni titolo current-gen, ma anche di numerosi rimandi visivi che vanno in soccorso del giocatore. Sarà difficile spiegarlo a parole, ma all’interno della mappa possiamo costantemente avere una visione generale dei ripari, dei compagni di squadra, degli oggetti e così via, grazie a un sistema di colori che va a modificare gli elementi in-game.

Una meccanica interessante che solo con il tempo si potrà valutare per bene, poiché potrebbe anche dar fastidio alla lunga e far perdere realismo agli ambienti. Parlando invece di gameplay spicciolo, ritroviamo le classiche meccaniche del multiplayer online, con morti, soccorsi e respawn continui, con giocatori smistati in due squadre da tre elementi. Spaziare nel piccolo mondo di gioco risulta così ordinato e poco caotico, inoltre conquistare i pacchetti, chiamare gli elicotteri e difendere il tutto fino al loro arrivo è una sfida impegnativa, che certamente piacerà a molti appassionati. Continuiamo a pensare che una campagna single-player sarebbe stata di grande valore, all’interno di Tom Clancy’s The Division, ma toccherà accontentarsi.

Rise of the Tomb Raider, la prova in anteprima su Xbox One

Arriverà sul mercato europeo il 13 novembre prossimo come esclusiva temporanea di Xbox One ed è dallo scorso E3 che se ne discute continuamente: parliamo di Rise of the Tomb Raider, che abbiamo provato alla Paris Games Week 2015. Si tratta del sequel di Tomb Raider uscito nel 2013, titolo che aveva completamente rivoluzionato la saga di Lara Croft con nuove meccaniche di gameplay, che promette ancora una volta di emozionare gli appassionati. Questa volta si tratta ovviamente di un salto meno radicale, al contrario molti ingranaggi dell’opera originale sono rimasti intatti. Nella demo The Prophet’s Tomb ritroviamo le ambientazioni che da fan ci aspettiamo e desideriamo, siamo all’interno di una tomba da esplorare colma di scheletri, aree ridotte in macerie, trappole mortali. La tensione che gli sviluppatori hanno costruito attorno alla nostra formosa eroina è di ottimo livello, l’azione inoltre non tarderà a manifestarsi e a far sfiorare al giocatore la morte più e più volte. Ciò che non ci ha convinto del tutto è il grado di interattività del livello, schiavo di un sistema di gameplay troppo lineare e privo di reali scossoni.

07907071-photo-rise-of-the-tomb-raiderCi troviamo all’interno di un lungo corridoio da percorrere, né più né meno, con numerosi Quick Time Events da affrontare. L’unico legame forte con il passato e la tradizione è rappresentato da quei momenti in cui è importante usare l’ingegno per non soccombere, dunque in cui bisogna risolvere puzzle games ben mascherati sotto le textures e gli ambienti. Al contrario dei primi capitoli della serie, in cui a volte si restava bloccati per diverso tempo in zone particolarmente impegnative, ora basta premere un tasto del pad per ottenere aiuti efficaci. In un secondo gli oggetti o i muri da colpire o sfondare si isolano dal resto, spalancandoci la strada verso la superficie e la luce, un’idea che secondo noi uccide completamente l’interazione e la sfida. L’unico aspetto che potrebbe salvare il titolo, completamente assente però nella demo presa sotto esame, è la minaccia umana. Gli uomini che proveranno a metterci i bastoni fra le ruote, coinvolgendoci in momenti stealth, potrebbero dare al titolo un valore maggiore e una varietà di gioco più ampia, ma per ora tutto è un grande punto interrogativo. Graficamente lo spettacolo non mancherà, ma il solo aspetto visivo non è tutto.

Just Cause 3, la prova in anteprima alla Paris Games Week

Dopo due capitoli che hanno portato una ventata d’aria fresca – probabilmente smossa dalle esplosioni – al genere action, gli Avalanche Studios provano a scuotere ancora una volta il terreno con Just Cause 3. Dopo l’ottimo lavoro fatto con il recente Mad Max, lo studio apre un nuovo ‘mondo aperto’ ai giocatori, portandoli in un arcipelago del Sud America nel quale la lotta intestina fra esercito reggente e ribelli è palese e alla luce del sole. Graficamente ci troviamo di fronte a un lavoro minuzioso e bilanciato in modo ottimo viste tutte le varianti possibili in ‘real time’: parliamo di mezzi che si muovono sulle strade, di pattuglie impegnate con le loro ronde, posti di blocco, navi, basi e chi più ne ha più ne metta. Basta immaginare un paradiso terrestre militarizzato con all’interno l’eroe della serie, l’indistruttibile Rico, che questa volta ha davvero a disposizione potentissime meccaniche di gameplay.

image_just_cause_3-27540-3114_0001Il rampino velocizza l’azione in modo esponenziale ma non solo: in combo con il paracadute l’utente può davvero liberare la sua fantasia e compiere acrobazie al limite dell’umano. Il nostro protagonista è un atleta circense mancato, praticamente, può saltare sui tetti delle auto in corsa per sparare, può rientrare al volo e attraversare intere porzioni di mappa sospeso nel cielo. Un uomo ragno contemporaneo, aiutato dalla tecnologia e la fantasia della programmazione. Ciò che resta è un’ossatura da open world puro a tutti gli effetti, con varie orme del ben più famoso GTA. Dettagli, textures, traffico e modelli sono lontani dalla serie Rockstar Games, ma il divertimento e l’esperienza sono molto simili. Siamo liberi di fare qualsiasi cosa, rubare ogni veicolo (dalle vespe agli elicotteri, passando per le barche, i camion e i caccia militari), esplorare la mappa (a prima vista piuttosto enorme), ripulire le basi nemiche, nuotare, paracadutarci in ogni dove. Titolo obbligatorio per gli amanti dei mondi aperti, delle pallottole e delle immancabili esplosioni. Si è dunque in grado di scegliere se e quando seguire la storia principale, certo utile a sbloccare nuove arie, armamenti ecc, oppure girovagare senza vincoli e affrontare le varie sfide goliardiche disseminate nella mappa. Un potenziale enorme che conquisterà facilmente i cuori degli appassionati più incalliti del genere.