PlayStation VR e Steam VR, la prova di Sabaku No Maiku

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Quanti di voi lettori ricordano l’esistenza della sfortunata console Nintendo chiamata Virtual Boy?­­ Alcuni lettori potrebbero persino non averla mai sentita nominare e non sarebbe un’eventualità di cui vergognarsi: la console ebbe vita breve e fu uno dei più grandi fallimenti della storia per la casa giapponese, con soli 22 titoli sviluppati per essa e tutti assolutamente incapaci di definirsi validi, senza inserire nella lista spiegazioni aggiuntive quali la monocromia delle immagini o i fastidi fisici che causava quasi certamente dopo la prima ora di utilizzo.

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Lo scopo del Virtual Boy era, al tempo, di essere la prima grande avanguardia della stereoscopia nel videogioco, una tecnologia che il cinema tenta di inserire nel proprio mazzo di carte fin dagli anni ’50. Nel terzo millennio che stiamo oggigiorno vivendo, questa “novità” è stata riproposta in modo iper-aggressivo nel mondo cinematografico, ma le pellicole che la usano a livello concreto si contano ancora sulle dita di una mano: Avatar e Lo Hobbit fra tutti. In tutto questo, il pubblico ne è ancora incuriosito a malapena e spesso quest’evoluzione visiva sembra più autocelebrativa che non realmente utile allo sviluppo di quest’arte visiva.

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Sabaku No Maiku

Il videogioco ancor più sembra – sulla carta – in grado di giovare di un’ambiente realmente tridimensionale nel quale interagire: la possibilità di potersi muovere in modo autonomo, all’interno di un mondo senza i confini di uno schermo e potendone percepire la profondità è un potenziale talmente utopico all’interno del game design da poter far impallidire, eccitare e terrorizzare qualunque creativo, allo stesso tempo far prudere le mani di tutti gli imprenditori che han tenuto d’occhio i numeri fatti dal recente cinema stereoscopico, anche se causati soprattutto da un sovrapprezzo dei biglietti che non dà afflussi proporzionalmente maggiori nelle sale.

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Tuttavia videogiochi e cinema sono due cose molto diverse, così come lo sono i rispettivi fruitori persino quando si uniscono gli insiemi, entrambe però sono industrie ed esistono movimenti e mode di mercato che a volte ignorano la logica del consumatore. È così che sono nati il Kinect, il PlayStation Move, e ora queste periferiche di VR che, in modo fortunatamente meno goffo, assomigliano al corrispettivo cinematografico delle sale interattive o, se vogliamo, “4D” e “5D”. Cosa accadrà quando queste realtà virtuali verranno di nuovo, per l’ennesima volta, rimesse sul mercato nel tentativo di affermarsi come qualcosa di potente e funzionale, evolutivo e divertente? Ho avuto modo di provare l’Oculus Rift, così come il PlayStation VR e lo Steam VR alla Paris Games Week 2015, i tre principali competitors che cercano di convincere il pubblico che la loro tecnologia sia la migliore che arriverà sugli scaffali, e posso dirvi molto rispetto a quest’esperienza.

Sample_screen_capture_of_Oculus_rift_development_kit_2_screen_bufferL’Oculus Rift è tecnologicamente la periferica che mi ha convinto di più, la sensazione di profondità è talmente reale che si percepisce facilmente una vera vertigine, con immagini nitide e senza aberrazioni visive, ma è uno strumento la cui posizione è oggigiorno incerta dopo l’acquisizione da parte di Facebook. Rispetto alle VR di Sony e Steam, quest’ultima elaborata da HTC, le differenze appaiono molto sottili, almeno dopo un test sul campo così breve. Il punto di arrivo di queste tecnologie è cambiare anche il modo di interagire con la navigazione web, e la sensazione di meraviglia nel momento in cui ci si trova a bordo di una nave di Elite: Dangerous, potendo fisicamente percepire le proprie mani sugli strumenti di navigazione all’interno di un abitacolo osservabile a 360°, è forte, reale, ma contemporaneamente fugace. Sorge subito un dubbio e più di un problema: a quali generi di videogioco una periferica come questa può adattarsi? E quanto bene?

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Salvo Rigs su Ps4, ogni altra demo dimostrativa era alla stregua di una tech demo: puzzle games, FPS su rotaia e veri e propri video interattivi, che uniti ai problemi che trovo piuttosto seri rischia di lasciare troppo in sospeso. Questi problemi sono principalmente due, la risoluzione ed il prezzo: tutti i test eseguiti mi hanno veramente preoccupato rispetto a quanto bassa fosse la risoluzione del gameplay. Dinanzi ad un campo visivo sconfinato si finisce con lo stancare la vista quasi immediatamente, mentre l’immersione ne risente in modo grave, portando una conversione di titoli pensati per schermi Full HD ad essere quasi inattuabile se non con pesanti modifiche in fase di ottimizzazione, trattando la periferica quasi come fosse una console a se stante.

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Insomma, sembra quasi troppo presto per il grande salto. Il prezzo di release che si aggira intorno ai 300€ per ciascuna di esse crea un altro singolare ostacolo, in un mondo ove la guerra al ribasso e un’utenza sempre meno disposta alla fiducia porta le major a vendere quasi sempre in perdita. Una periferica dal costo di una console casalinga potrebbe alienare quel grande pubblico che console come la Ps2 e la Wii avevano conquistato, rendendo però plausibile un’altra realtà: si parla da sempre della VR, se ne parla insistentemente ed in modo celebrativo al punto da stuccare chi segue l’industria quotidianamente, e questo potrebbe animare la passione di una moda che certamente farà parlare di se nei primi anni dopo la release, ma che rischia seriamente di appassire come un fuoco di paglia, molto presto e molto male. E non sarebbe la prima volta.