Guilty Gear -StrIVe-, la recensione PS5

Lo stile può fare la differenza?

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guilty gear strive recensione ps5

Si torna sul ring con Guilty Gear -StrIVe-, il titolo della nostra recensione della versione per la next gen PS5. Quarto capitolo della serie regolare, come suggerisce la “IV”, che arriva dopo il buon successo di Guilty Gear Xrd, il prequel del capitolo attuale. Arc System Works, con il suo poliedrico artista giapponese Daisuke Ishiwatari, riparte da dove era rimasta. In verità il gioco era già atteso nel 2020. Ci si è messo di mezzo il Covid e l’esito della open beta, costringendo gli sviluppatori ad optare per una nuova finestra di lancio.

Il vietato sbagliare era d’obbligo, visto quanto raccolto nel 2014. I feedback della community sono stati fondamentali per le modifiche apportate al gameplay. La complessità ha lasciato spazio a un combo system articolato ma accessibile. Non più, quindi, chilometriche sequenze da rinfrescare costantemente. Il gameplay vive su una perfetta alchimia tra combo devastanti, contro-mosse eterogenee e dei confini dello stage non definiti a priori.

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Se si è alle corde una breve sequenza animata ci proietta in un altro scenario, coerente con quello attuale. Un modo, questo, per evitare un gioco troppo “camperista”, che nelle sessioni online può diventare snervante. Visto che siamo in tema, la modalità multigiocatore eredita la solida infrastruttura del netcode delle versioni precedenti, con una forte regionalizzazione dei match. Tradotto, input lag e ping molto bassi.

Lo stile unico della serie, voluto dal suo padre spirituale Daisuke Ishiwatari, lo ritroviamo anche in questa nuova iterazione. La spinta verso il mondo degli anime è ancora più forte, con un design generale a metà tra il celshading e gli sprite disegnati a mano. L’illusione del 3D genera una grafica 2.5D, in grado di svelare la sua terza dimensione solo in alcune occasioni.

Il tempo dedicato alla nostra consueta premessa termina qui. Vi lasciamo, quindi, alla recensione di Guilty Gear -StrIVe-, titolo, vi ricordiamo, provato nella sua versione per console PS5.

Ritrovare la semplicità perduta

Il gameplay della saga di Guilty Gear aveva raggiunto dei livelli di complessità preoccupanti. Per carità, questo era diventato – quasi – un bigliettino da visita. Un modo per distinguersi dalla concorrenza e ritagliarsi uno spazietto. D’altronde, quando devi fare i conti con Street Fighter, i posti a tavola sono contati. Nonostante questo, in più di vent’anni di attività, Arc System Works ha sempre voluto il meglio per la sua community, dimostrando un’attenzione verso i loro consigli piuttosto rara.

E dalla voce dei giocatori che sono arrivate le “dritte” più preziose, con la richiesta, a gran voce, di abbassare i giri del motore della complessità. Le modalità tutorial e training, in quest’ottica, sono il primo grande passo in avanti. Entrambe permettono, anche a chi approda per la prima volta nel mondo di Guilty Gear, di iniziare subito al meglio. A piccoli passi, ovviamente, ma senza mai sentirsi esclusi. Le sessioni di allenamento aumentano di difficoltà di pari passo con noi, e in un attimo ci si accorge di essere pronti per quello che ci aspetta.

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Un grande bivio, ora, si pone davanti ai nostri occhi. Vs Cpu o Vs Player? La risposta, a questa domanda, non la possiamo fornire noi, visto che è una questione personale. Vi possiamo solo svelare a cosa andate incontro, sia da una parte che dall’altra. In single player il piatto forte, a nostro modesto avviso, resta la modalità arcade. Un vero e proprio lungometraggio giocato, dove il nostro comportamento in battaglia decide l’esito della storia (e del finale, ndr). Si perde in trama ma si guadagna in gameplay con le Missioni. Ogni match stabilisce uno o più obiettivi da raggiungere, e punti esperienza da guadagnare. Se, invece, amate le sfide estreme la modalità Survival è quella che fa al caso vostro. Una sorta di sudden death con i nemici che si fionderanno in successione e la vostra barra di energia in vena di ristrettezze.

Gli amanti del gioco competitivo non rimarranno, di certo, delusi dall’architettura della componente online di Guilty Gear -Strive-. Arc System Works ha puntato sulla solidità del sistema del matchmaking, basato su fattori di equità e reattività. Le lobby sono tutte equilibrate, con stanze abitate da giocatori di livello simile. Viene data a noi la libertà di scegliere dove e con chi giocare, con le distanze che vengono misurate prima del match.

La volontà di emergere (e fare la differenza)

Quando ti trovi davanti alcune leggende del picchiaduro, titoli che sono sulla piazza da oltre 30 anni, la parola “originalità” non è facile da pescare. Parliamo di Street Fighter, Mortal Combat, Samurai Shodown, King of Fighters, giusto per citarne alcuni. Il confronto con loro non è facile da reggere. Eppure, il genio creativo di Daisuke Ishiwatari, riesce a partorire un’idea originale.

Era il 1998 e il genere viveva in una fase dominata dai soliti noti. Gli anime erano la passione dell’artista giapponese, motivo per cui decise di puntare forte su di loro. Lo stile di disegno viveva, non solo nel design dei personaggi, ma anche nelle animazioni e nei movimenti dei personaggi. Le tecniche speciali, presenti nella saga di Guilty Gear, sono un vero e proprio spettacolo in termini di effetti speciali e visivi.

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Lo stile, però, non è la sola e unica cosa che rende il titolo di Arc System Works “diverso”. Ogni personaggio, infatti, ha un proprio stile di combattimento e regole di ingaggio differenti. Non a caso ogni combattente rientra in una categoria ben precisa, utile per guidare il giocatore nella scelta del PG. Non ci sentiamo, però, di dire che questa sia stata un’idea del tutto originale. SNK ideò una cosa simile anche per il suo Samurai Shodown, puntando, però, sull’aspetto “tattico” dei combattimenti.

Guilty Gear -Strive- è arrivato al punto da meritare un posto tra i big. La sua dimensione, ormai, è una realtà. La speranza è che qualcuno, attirato dalla sua bio-diversità, gli dia il giusto credito. La scommessa, invece, è che il mondo degli esports inizi a puntare forte su di lui. La spinta, per un allargamento della fanbase, potrebbe arrivare proprio da questa nuova tendenza. Le premesse ci sono tutte.

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Il commento

Ed eccoci giunti al momento dei saluti, con la nostra recensione di Guilty Gear -Strive- che arriva al suo capolinea. Arc System Works, anche questa volta, non sbaglia il tiro. La scelta di non affrettare i tempi ha pagato bene. Il titolo che abbiamo adesso è frutto di un lavoro di autocritica, oltre che di intensa passione per la saga. Dal 1998 ad oggi di titoli con etichetta “Guilty Gear” ne sono arrivati parecchi, alcuni con genere completamente diversi dal solito picchiaduro. Resta il fatto che il lavoro di Daisuke Ishiwatari ha ispirato e continua a farlo, e noi siamo tra questi. 

Il gameplay è molto più accessibile rispetto quello delle passate edizioni. Volontà, questa, dettata dalla voce della community. Il livello di complessità delle combo è stato abbassato, rendendo la curva di apprendimento meno ripida. Lo stile unico della serie, ancora una volta, fa la differenza. La modalità arcade è un vero e proprio lungometraggio animato, dove il finale non è scritto a priori. 

Dal single player al multigiocatore, di scontenti ce ne saranno pochi. L’osservato speciale resta, però, il mondo del competitivo. Questo è l’anno buono per lasciare il segno ed entrare nel mondo dei tornei che contano. Ci si aspettava qualcosa in più a livello generale, ma in fin dei conti, con i tempi che corrono, è giusto non fare il passo più lungo della gamba. 

RASSEGNA PANORAMICA
Grafica
9
Sceneggiatura
8
Gameplay
9
Controllo
8,5
Longevità
8,5
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guilty-gear-strive-ps5Arc System Works, anche questa volta, non sbaglia il tiro. La scelta di non affrettare i tempi ha pagato bene. Il gameplay è molto più accessibile rispetto quello delle passate edizioni. Volontà, questa, dettata dalla voce della community. Dal single player al multigiocatore, di scontenti ce ne saranno pochi. L'osservato speciale resta, però, il mondo del competitivo. Questo è l'anno buono per lasciare il segno ed entrare nel mondo dei tornei che contano.