Dishonored: La Morte dell’Esterno, la recensione

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Dishonored: La Morte dell'Esterno

Dishonored è una serie di giochi targati Bethesda e Arkane Studios che non sono mai riusciti a spopolare come altri titoli del genere, ma hanno portato a casa i loro bei voti e un pubblico soddisfatto e fidelizzato, grazie alle atmosfere curatissime e al gameplay non rivoluzionario, ma solido e divertente, presente fin dal capostipite.

Dishonored: La Morte dell’Esterno si presenta come prodotto stand alone, ma di fatto è un “grosso DLC” di Dishonored 2, sia per durata – e costo – contenuto, che per il recupero del Void Engine e di certe meccaniche di gioco, alcune delle quali disponibili soltanto dopo aver terminato la storia almeno una volta.

Dishonored: La Morte dell’Esterno è, per Dishonored 2, ciò che Il Pugnale di Dunwall e Le Streghe di Brigmore sono stati per Dishonored: offre un punto di vista differente dei fatti avvenuti nel mondo di gioco e non a caso in una fase iniziale della produzione gli sviluppatori avevano pensato di inserire Daud come protagonista, proprio come nei contenuti aggiuntivi di Dishonored; l’idea è stata scartata per evitare ridondanze nel gameplay ma anche per consentire una degna evoluzione e conclusione del personaggio, preferendo all’uomo la sua apprendista, Billie Lurk.

Dishonored: La Morte dell'Esterno

Dishonored: La Morte dell'Esterno

Con una trama ambientata pochi mesi dopo la fine del secondo titolo della saga, Dishonored: La Morte dell’Esterno mostra una non più giovanissima Billie alla ricerca del proprio mentore, il quale, una volta salvato da una sgradita prigionia, le affiderà un ultimo, fondamentale incarico: porre fine all’esistenza dell’Esterno, l’entità divina che egli ritiene responsabile del caos e delle iniquità a cui è andato incontro il mondo. Una missione semplice a dirsi, un po’ meno a farsi, visto che l’unico artefatto in grado di distruggere l’Esterno è gelosamente custodito dal culto degli Orbi.

Dal punto di vista narrativo, Dishonored: La Morte dell’Esterno non offre scene particolarmente epiche o al cardioplasma e concede momenti di tensione giusto nelle battute finali. La prima metà abbondante di gioco è estremamente cupa, con un’atmosfera e uno stato d’animo della protagonista quasi noir, nonostante l’ambientazione dieselpunk decadente, ma molto luminosa.

Dishonored: La Morte dell'EsternoDishonored: La Morte dell'Esterno

I comprimari degli eventi, Daud in primis, sono figure ormai in dirittura d’arrivo, stanche, rassegnate, con giusto un ultimo sprazzo d’odio e vendetta a spingerli in una missione deicida; lo stesso Esterno, figura rimasta enigmatica e ambigua fin dal primo Dishonored, in questo gioco appare persino più neutrale del solito e regala ai giocatori una caratterizzazione di una figura divina tra le più umane e contemporaneamente enigmatiche che il medium videoludico possa vantare.

Probabilmente molti resteranno infastiditi da una mancata presa di posizione da parte dell’Esterno, ma per quanto i gusti personali siano sacrosanti, il suo atteggiamento “passivo” non va assolutamente inteso come carenza nella scrittura del titolo, bensì come massimo compimento del suo ruolo.

Nel bene e nel male, la grafica di Dishonored: La Morte dell’Esterno non offre nulla di diverso rispetto al titolo precedente, con quindi modelli e texture non sempre al livello degli standard di questa generazione videoludica e animazioni a tratti legnose, ma nell’insieme il gioco rimane un piacere per gli occhi grazie a un design curatissimo degli ambienti, soprattutto gli interni, una palette cromatica sempre azzeccata e un’estetica complessiva di mappe e personaggi che è riuscita a diventare iconica e immediatamente riconoscibile nel corso degli anni.

Dishonored: La Morte dell'Esterno

Per via della durata ridotta del titolo, gli sviluppatori hanno preferito concedere a giocatore e protagonista la possibilità di usare fin da subito tutti i poteri legati all’Oblio: rimangono presenti i potenziamenti e gli amuleti d’osso equipaggiabili, recuperabili tramite Mercato Nero, ma Dishonored: La Morte dell’Esterno offre immediatamente un arsenale più che adeguato a portare a termine la campagna principale senza troppe difficoltà, a patto di tenere gli occhi aperti e il cervello acceso.

L’evoluzione dal primo Dishonored si sente eccome: Billie Lurk ha in suo possesso abilità sovrannaturali che renderanno divertente tanto l’approccio stealth quanto quello aggressivo, a differenza quindi del titolo capostipite, in cui la gestione dei poteri di Corvo pendeva leggermente troppo verso le capacità offensive e rendeva la route “silenziosa” un po’ troppo vicina alla “no power”.

Manca invece del tutto il sistema del Caos, determinato dalle scelte del giocatore e sostituito da un semplice indicatore a fine missione sul tipo di comportamento mantenuto dalla protagonista, ma la sua assenza è comprensibile sia per il gameplay semplificato de La Morte dell’Esterno, che dal punto di vista narrativo dato che, a prescindere dalla scia di sangue più o meno innocente lasciata alle proprie spalle, le azioni di Billie porteranno sempre e comunque al caos e a un nuovo inizio per il mondo di Dishonored.

Dishonored: La Morte dell'Esterno

La longevità di Dishonored: La Morte dell’Esterno (come anche prevedibile, vista la natura stessa del titolo e il prezzo di listino ridotto) è inferiore rispetto ai due giochi precedenti, ma anche in questio caso si tratta di un prodotto altamente rigiocabile, grazia alla presenza di contratti opzionali e alla possibilità di concludere questi e le missioni principali in maniere estremamente diverse fra loro. A ciò va aggiunta una selezione della difficoltà personalizzabile e la Partita Originale +, un curioso New Game + in cui i poteri di Billie saranno sostituiti da altri, già conosciuti in Dishonored 2.

Non è consigliabile avvicinarsi al franchise a partire da Dishonored: La Morte dell’Esterno perchè, nonostante si tratti del titolo più “snello” e immediato a livello di gameplay, dal punto di vista narrativo presenta la fine di un arco, nella sua sezione discendente più cupa e disillusa: personaggi già conosciuti del brand, che quindi non perdono tempo a presentarsi, riferimenti costanti a eventi passati e un “cattivo” da eliminare che, se incontrato per la prima volta in questo capitolo, non riuscirebbe a trasmettere in modo efficace la sua ambiguità super partes che ne costituisce buona parte del carisma, risultando perlopiù piatto o persino incoerente.

Per coloro i quali invece hanno apprezzato titoli (e DLC) precedenti, Dishonored: La Morte dell’Esterno è una degna conclusione de “L’era Kaldwin” e delle vicende legate alla storia di Corvo ed Emily: come già accennato, Daud e Billie non sono personaggi con la voglia di far affezionare i giocatori alle loro figure, ma trasmettono alla perfezione il senso di stanchezza e cinismo che attanaglia da anni le loro vite e nelle 7-10 ore di campagna principale sarà praticamente impossibile non empatizzare con il loro punto di vista, complice anche un ottimo doppiaggio italiano, la cui unica pecca è aver attribuito alla protagonista quasi quarantenne una voce troppo giovanile.

Dishonored: La Morte dell'Esterno

Niente fughe in cerca di vendetta o lotte per la conquista del trono, Dishonored: La Morte dell’Esterno è la storia di un uomo e di una donna tormentati dal senso di colpa e con la consapevolezza di dover, ancora una volta, sporcarsi le mani per fare ciò che va fatto, ma che non è necessariamente “giusto”. Il terzo titolo della serie rappresenta la fine di un’era sia dentro che fuori il mondo di gioco; cosa avverrà dopo la scomparsa dell’Esterno, all’Impero come al franchise stesso di cui fa parte, non è ancora dato saperlo e solo il tempo potrà rivelarlo.

RASSEGNA PANORAMICA
Grafica
8.5
Sceneggiatura
8.5
Gameplay
8.0
Controllo
8.0
Longevità
8.0
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dishonored-la-morte-dellesterno-la-recensioneNiente fughe in cerca di vendetta o lotte per la conquista del trono, Dishonored: La Morte dell'Esterno è la storia di un uomo e di una donna tormentati dal senso di colpa e con la consapevolezza di dover, ancora una volta, sporcarsi le mani per fare ciò che va fatto, ma che non è necessariamente "giusto".