Sony e Bluepoint Games hanno pubblicato la patch 1.02 di Uncharted: The Nathan Drake Collection. Il nuovo aggiornamento sarà grande 1GB (più o meno) e porterà diverse migliorie al gioco, tra cui:
Vari miglioramenti visivi
Miglioramento della sensibilità dei movimenti
Correzione di alcuni requisiti per sbloccare i trofei
Miglioramenti ai pacchetti di installazione
Miglioramenti alla stabilità del gioco
Aggiornamento dei crediti finali
Vi ricordiamo che Uncharted: The Nathan Drake Collection è disponibile esclusivamente su PlayStation 4 e che comprende le versioni rimasterizzate dei primi tre capitoli della serie.
Nella giornata odierna Square Enix ha annunciato la data d’uscita del suo nuovo JRPG Setsuna of Sacrifice and Snow, pubblicato la cover del gioco e mostrato alcuni screenshot dei temi dedicati al titolo e disponibili solo per coloro che acquisteranno il gioco mediante pre-order.
Setsuna of Sacrifice and Snow arriverà al momento solo in Giappone su PS4 e PS Vita e sarà acquistabile in versione disco o in formato digitale dal 18 febbraio 2016.
Square Enix ha pubblicato un nuovo video dedicato al nuovo Dissidia: Final Fantasy, picchiaduro in uscita in Giappone il 26 novembre in versione arcade (e su PlayStation 4). Il filmato mostra in azione Terra (o Tina), personaggio già visto in Final Fantasy VI. Il video oltre a presentare la combattente, mostra anche alcune parti del suo gameplay. Al momento non sono giunte informazioni circa l’arrivo del titolo in territorio occidentale.
Star Wars: Battlefront sarà pubblicato in Europa tra due giorni, ovvero giovedì 19 novembre su PlayStation 4, Xbox One e PC. La stampa videoludica internazionale ha già messo le mani da tempo sull’FPS di EA e ha espresso i suoi giudizi. A giudicare dai voti, sembrerebbe che il titolo non abbia proprio fatto breccia nei cuori di chi l’ha testato, dato che i giudizi espressi sono molto discordanti tra loro. Si va dai 9 dati da GameReactor e Ausgamers, fino ad arrivare al 6 sentenziato da Destructoid:
Del nuovo The Legend of Zelda in sviluppo per Nintendo Wii U al momento sappiamo davvero poco, dato che sono trapelate pochissime notizie. Secondo gli ultimi rumor però, il gioco potrebbe essere considerato uno dei più grandi open-world mai sviluppato fino a questo momento.
Recentemente il produttore Eiji Aonuma avrebbe affermato che la mappa del gioco sarà grande quanto le dimensioni (in miglia quadrate) della città di Kyoto. Questo vorrebbe dire che il mondo presente nel nuovo The Legend of Zeldà sarà molto più vasto rispetto ai seguenti titoli:
22 volte più grande di Skyrim (14,3 miglia quadrate)
10 volte più grande di GTAV (31 miglia quadrate)
6 volte più grande di The Witcher 3 (52 miglia quadrate)
La domanda che ora ci poniamo è lecita: se queste notizie troveranno conferma in futuro, riuscirà la potenza di Wii U a supportare la vastità di questo ambizioso gioco?
Star Wars: Battlefront è disponibile da oggi in Nord America, ma a quanto pare presenterebbe sin da subito gravi problemi, soprattutto per quanto riguarda la versione PS4. Tale versione non si avvierebbe correttamente, mostrando agli utenti il seguente errore: “Error Code: CE-34632-8”. Inoltre, verrebbe addirittura richiesto di aggiornare il gioco all’ultima versione, nonostante non siano presenti ulteriori update da scaricare. Nel forum “Reddit” è stata segnalata una soluzione provvisoria, vale a dire eliminare e installare (o riscaricare) nuovamente il titolo, ma dopo la procedura la situazione resterebbe del tutto inalterata. Dal canto suo, Electronic Arts ha dichiarato tramite Twitter che sta lavorando duramente per correggere il problema quanto prima.
Star Wars: Battlefront sarà disponibile in Europa il 19 novembre su PlayStation 4, Xbox One e PC. Presenterà lo stesso problema? Speriamo vivamente di no!
Nippon Ichi ha annunciato in queste ore che il primo titolo della serie videoludica di “Disgaea” giungerà su Steam il prossimo anno, più precisamente a febbraio 2016. La conferma è arrivata tramite la pagina Steam del gioco, dove oltre al mese d’uscita, sono state aggiunte alcune feature della versione PC di Disgaea:
Interfaccia utente e texture aggiornate
Aggiunto il supporto per tastiera e mouse
Inclusi contenuti di Disgaea: Afternoons of Darkness
Aggiunte alcune feature di Steam, quali trofei e salvataggi cloud
Inoltre, sono stati rivelati anche i requisiti PC minimi e consigliati:
Yuji Naka è un nome che ai più giovani potrebbe non dire molto, ma è un programmatore che per anni ha tenuto alta l’asticella della qualità del Sonic Team, quel gruppo di persone impiegate presso gli uffici SEGA formalmente legate al successo dei primi episodi bidimensionali delle avventure dell’omonimo riccio bluastro. Dopo diversi anni passati sotto la rassicurante ombra del colosso giapponese, l’abile coder decise, nel 2006, di creare Prope, una piccola software house indipendente dove potesse finalmente sviluppare prodotti in piena libertà. Titoli che con il senno di poi si sono rivelati per lo più insignificanti, come Let’s Tap per Nintendo Wii, o produzioni su licenza mai giunte in occidente, come Digimon Adventure per Sony PSP, l’unico J-RPG tratto dal famosissimo franchise di mostri digitali ispirato direttamente dalla serie animata di Toei Animation.
Nulla che abbia lasciato l’impronta nella storia o che abbia ridefinito un genere, è vero, ma d’altronde tanti noti colleghi del game designer convertiti all’autoproduzione, come Keiji Inafune, Yu Suzuki e Koji Igarashi, non è che abbiano percorso strade molto differenti, basti pensare a come questi abbiano cavalcato il successo dei loro vecchi classici, chi con reboot spirituali (Mighty No.9 è sostanzialmente un Mega Man così come Bloodstaines è un Castlevania), chi con sequel post mortem (Shenmue 3). Non deve quindi far stupire se questo Rodea: The Sky Soldier si presenta come un mix piuttosto mal riuscito di quelle meccaniche e di quelle ambizioni ludiche conosciute proprio in Nights into Dreams e Sonic the Hedgehog, perché in fondo la direzione verso cui l’androide protagonista spicca il volo è sostanzialmente la stessa. Il problema è che lo fa con almeno quindici anni di ritardo.
Perché sarebbe poco sincero non ammettere che tutto all’interno di questo videogioco puzza davvero troppo di stantio, almeno quando non si incorre in problematiche tecniche che sarebbero risultate ingiustificate anche ai tempi del Nintendo 64. Rodea è sostanzialmente un capitolo apocrifo di Sonic in cui l’eroe danza nelle correnti eoliche come NiGHTS, ma a differenza dell’aggraziato Nightmaren lo fa con evidente fatica e goffaggine. Parlare di Rodea: The Sky Solder come di un platform non è esattamente corretto, per quanto l’esplorazione sia efficacemente promossa da un level design dominato da ambientazioni enormi e completamente percorribili, ma la realtà è che spesso sembra di librarsi fra costruzioni poligonali sconnesse appartenenti a qualche versione alpha di un gioco mai concluso.
Perché se è vero che tutti i tipici elementi della serie del beniamino SEGA sono presenti, pedane di lancio e boost compresi, è altrettanto chiaro, dopo solo qualche minuto di gioco, che chi ha permesso la pubblicazione di un titolo così buggato e mal concepito non ha mai visto nemmeno con il binocolo un videogioco fatto e finito. Potrei anche stare qui a parlarvi di come funziona il tutto, del fatto che ci si può librare solo per un periodo di tempo limitato che può essere prolungato con virtuosismi ludici, come ad esempio la collezione di sfere luminose o l’eliminazione di nemici volanti, che il ritmo con cui si incede nell’avventura è sostanzialmente definito dall’abilità con cui ci si destreggia fra volteggi nell’aere e rapide pause su un pendio erboso, ma la realtà è che tutto quello che dovrebbe funzionare all’interno dell’ossatura ludica di Rodea semplicemente rimane una bozza teorica inespressa.
Morire improvvisamente senza alcuna giustificazione, trovarsi sbalzati all’improvviso da una parte all’altra del livello, recuperare istantaneamente la possibilità di librarsi in volo senza essersi fermati nemmeno per un secondo, vedere situazioni decriptate che a volte funzionano e altre no, senza che incorra una vera differenza fra i due episodi: questo è ciò che si para di fronte a chi volesse coraggiosamente approcciarsi al titolo Prope, appena dopo i colorati filmati in CGI dove i buffi e carismatici protagonisti squittiscono facendo il verso ai cartoni della domenica mattina. E davvero nulla può salvare un gioco che non funziona, nemmeno un buon character design e un’ambientazione che, almeno sulla carta, poteva e doveva fare sognare i fan dei videogiochi curati in precedenza da Naka-san e il suo team di esperti del level design.
E a ben vedere, se anche i meccanismi che muovono le prodezze del cyborg platinato fossero riusciti a incontrare un team capace di tradurle in un videogioco ben programmato e debuggato come play test comanda, difficilmente Rodea: The Sky Soldier avrebbe ridefinito le regole dell’intrattenimento videoludico moderno. Vuoi anche per una realizzazione grafica che se su Nintendo 3DS può essere giustificata dalla bassa risoluzione e dagli schermi dalle dimensioni ridotte, ma che su Nintendo Wii U risulta inaccettabile e oltretutto incapace di ancorarsi a un frame rate solido quanto basti per giustificarne l’aspetto spoglio e appena abbozzato. Forse era meglio rimanere negli anni ’90, eh Yuji?
Detto questo, Rodea: The Sky Soldier si è rivelato un prodotto tanto gravemente insufficiente su Wii U, quanto incapace di rendersi apprezzabile su Nintendo 3DS, le due versioni testate dallo staff di Cinefilos. Rimane l’incognita della versione Wii, inclusa nell’edizione retail per ammiraglia Nintendo, ma anche in questo caso dubito che un sistema di controllo differente possa spingere a rivalutare completamente un titolo così sfortunato.
A pochi giorni dall’uscita dell’attesissimo Star Wars Battlefront su Pc, Xbox One e Playstation 4, Turtle Beach ha lanciato i nuovi headset entry-level Star Wars X-Wing Pilot. Le nuove cuffie over-ear dell’azienda californiana, in vendita a 59,99 euro, si ispirano alle tute dei piloti da caccia stellari dell’Alleanza Ribelle e sono compatibili con Pc, Xbox One, Playstation 4, smartphone e tablet.
Senza ombra di dubbio, il colpo d’occhio appena effettuato l’unboxing è eccezionale, i dettagli grafici sono davvero curati e il design appare pulito e piacevole, con i grandi padiglioni, i comandi per il volume e per silenziare il microfono posti sul filo. L’entusiasmo, però, scema un po’ quando ci si rende conto che il prodotto è un tantino troppo “plasticoso”, il policarbonato utilizzato non è di grande qualità; va comunque tenuto in considerazione che si tratta di un prodotto entry-level, e di certo Turtle Beach non ha fatto nulla affinché ciò non fosse evidente. La confezione stessa, seppur graficamente molto ben realizzata, al suo interno contiene, oltre alle cuffie ovviamente, un semplice cartone protettivo, la manualistica e il microfono removibile (ottima la possibilità di staccarlo specialmente in vista di un uso in mobilità per l’ascolto di musica e la visione di video). Discorso a parte meritano i padiglioni in pelle sintetica, molto gradevoli al tatto e confortevoli.
Esperienza d’uso. Abbiamo testato gli headset per circa 15 giorni e c’è da dire che, nonostante tendano a comprimere leggermente la testa, una volta trovata la giusta regolazione garantiscono un’ottima esperienza d’uso, anche prolungata, soprattutto grazie al peso davvero contenuto, al buon isolamento e alla semplicità con cui è possibile accedere ai controlli volume. Ma passiamo alla resa sonora delle X-Wing Pilot.
La cosa che maggiormente ci ha colpito è che, nonostante si tratti di cuffie stereo prive di post-elaborazione, restituiscano un meraviglioso senso di spazialità, garantendo al player una totale immersione nello spazio di gioco. Per quanto riguarda la resa audio, invece, la nostra valutazione è solo sufficiente: il volume è molto elevato, ma al massimo viene fuori qualche fruscio, e le varie frequenze, sebbene tutte discretamente riprodotte, non sono mai in grado di incidere troppo. Ciò si traduce in una leggera perdita di pathos nelle scene, in particolare quelle action piene di esplosioni e sparatorie (nel nostro caso Call of Duty: Black Ops III), che tutto sommato risultano comunque godibili. Anche il microfono non garantisce prestazioni eccezionali, l’audio in uscita è discreto ma alle volte poco nitido.
In conclusione, le nuove cuffie della Turtle Beach sono un buon prodotto soprattutto per giocatori occasionali (etichetta data dall’azienda stessa) alla ricerca di una cuffia gaming che suoni discretamente senza spendere troppo. Diventano un top buying, invece, per i fan della serie che non possono fare a meno di accaparrarsi questo gadget ufficiale dalla grafica estremamente curata.
Non è semplice raccapezzarsi fra le migliaia di spin-off di Shin Megami Tensei. L’oscura opera di Atlus è da più di vent’anni sul mercato, eppure molti ne hanno fatto la conoscenza solamente nelle decine di serie secondarie nate dal suo nome, fra le quali spicca per notorietà il J-RPG Persona. Eppure il marchio che letteralmente significa “Nuova Metempsicosi della Dea” ha rappresentato per anni un enorme calderone visivo da cui svariati titoli hanno attinto, vuoi per le seducenti atmosfere sospese fra l’horror anni ’80 e la narrativa post-apocalittica, vuoi per l’invidiabile direzione artistica curata fin dagli albori da un inossidabile Kazuma Kaneko e il compositore, Shoji Meguro. Se il primo ha lasciato il timone del character design all’accoppiata Kazushige Noejima e Masayuki Doi, il secondo ha voluto tenere stretta a sé la possibilità di curare con le sue sonorità caratteristiche il commento melodico di ogni iterazione importante del franchise, non rinunciando in alcun modo a firmare col proprio nome anche i remake per PSP dei primi due capitoli di Persona e i recenti episodi mothership per Nintendo 3DS.
L’impronta autoriale di Meguro nella veste di compositore emerge imponente da ogni singola traccia di sottofondo. Non a caso la serie J-RPG Persona ha potuto vantare fin dal terzo episodio uno score in cui le liriche abbondavano in un contesto in cui prodotti similari si affidavano a meri accompagnamenti strumentali. In un tripudio di influenze J-Pop, Hard Rock e Hip-pop, l’artista nipponico ha saputo tratteggiare con grande abilità ogni momento importante degli avvenimenti che cesellano l’esperienza degli eroi di questi titoli, valorizzando ogni singolo passaggio con grande sensibilità e motivando così il trasporto emotivo con cui molti hanno vissuto le centinaia di ore di gioco passate in compagnia di Persona 3, Persona 4 e relative versioni “Director’s Cut”, Persona 3 FES e Persona 4 The Golden. Certamente non sorprende sapere che, dopo il passaggio nel mondo dei picchiaduro a opera di Arc System Works nei due capitoli di Persona 4 Arena e l’incarnazione dungeon crawler, Persona Q, curata dal team dietro al marchio Etryan Odyssey, Atlus abbia deciso di investire le proprie risorse in un progetto co-sviluppato con Dingo. Un nome che a molti potrebbe non dire granché, ma che per anni ha firmato il videogioco musicale Project Diva. Parola chiave di questa collaborazione? Ovviamente la musica e, nella fattispecie, il ballo.
Per quanto all’epoca suonasse incredibile, la conferma che Persona 4 Dancing All Night sarebbe stato un rhythm game in piena regola e avrebbe contenuto tutti i migliori pezzi dell’energica colonna sonora del quarto episodio, addirittura con l’aggiunta di remix e riarrangiamenti a opera di famosi colleghi del Meguro-nazionale, lo fece diventare in brevissimo tempo uno dei videogiochi più ambiti dagli appassionati della serie J-RPG e da chi, da anni, apprezzava il rhythm game SEGA dedicato alla vocaloid Hatsune Miku.
Tutto sommato il risultato finale di questa operazione non si allontana poi molto dalle peripezie della diva digitale dai capelli azzurro fluo, inaugurando un gameplay all’insegna del tempismo, dove serie di comandi vengono visualizzati sull’OLED di PS Vita su circonferenze concentriche che muovendosi verso l’esterno definiscono l’intervallo entro il quale i pulsanti vanno premuti. Volendo è possibile affidarsi direttamente al display, agendo con le dita su quello che è uno dei più grandi schermi capacitivi mai realizzati per una console da gioco, ma l’esperienza maturata in diverse ore di sculettamenti e vorticose piroette ci permette di consigliare a chiunque volesse lanciarsi nelle furiose danze che compongono l’offerta ludica del titolo Atlus di concentrarsi sui pulsanti fisici della console, considerando come in breve tempo la scena si faccia piuttosto caotica.
Uno dei limiti maggiori della produzione è infatti rappresentato da un’interfaccia grafica spesso incomprensibile, asfissiata da indicatori, effetti di luce e balletti di sottofondo che minacciano la possibilità di seguire agevolmente le miriadi di comandi richiesti dalla traccia giocata. Questo problema si manifesta soprattutto giocando i brani alla difficoltà più alta, quando le note da battere sui tasti fisici sono molte e vanno spesso alternate al movimento veloce degli stick analogici, ai quali è affidato lo “scratch” del disco.
È sicuramente un peccato, perché l’impegno profuso dagli artisti per presentare ogni coreografia e la cosmesi di ogni personaggio è immediatamente palesata da una qualità del dettaglio grafico mai vista in precedenza nei capitoli numerati della serie, con personaggi in cel shading finemente animati e dettagliati al punto da ricordare i risultati scorti nei trailer fino ad ora pubblicati di Persona 5. Un colpo d’occhio davvero ben ricompensato, che purtroppo viene fin troppo spesso svilito non solo dall’ingombrante HUD, ma anche da un uso smodato di effetti di luce e amenità tecniche capaci di far grufolare di piacere gli amanti degli eye candies a scapito di chi vorrebbe semplicemente giocare per raggiungere il punteggio più alto.
Non manca, inoltre, una verbosissima modalità storia che si ricollega al finale di Persona 4 The Golden e racconta un’avventura di stampo corale in cui gli eroi della “Scooby Gang” devono fare i conti con nuovi fenomeni paranormali legati al mondo dello showbiz. Chiaramente non più di un mero escamotage per introdurre il ballo come nuova fonte di “confronto” con i terribili Shadows, i nemici mutaforma introdotti nel quarto episodio, qui particolarmente allergici ai colpi di danza. Il tono con cui gli eventi sono raccontati è comunque lontano dalla complessità di cui si fregiava l’opera originale, ma rimane sicuramente godibile per chiunque sentisse la mancanza di Yu Narukami e soci.
Chiaramente se si è pronti a scendere a compromessi con le fitte schermate di testo completamente doppiato nella sola lingua inglese che compongono l’intero storytelling, in modo non molto dissimile da una qualsiasi visual novel, genere ormai sdoganatissimo anche in occidente proprio grazie alla portatile Sony e, in parte, a quella Nintendo. Nel caso, invece, non si fosse particolarmente interessati alla pretesa narrativa, ci si può impegnare fin dall’inizio nella modalità di gioco Danza Libera, dove è possibile sbloccare la ventina di brani inclusa e guadagnare preziosa valuta investibile in costumi e accessori opzionali con cui agghindare i protagonisti. Per i più insaziabili, invece, Atlus ha pensato anche a una serie di DLC a pagamento che aggiungono ulteriori brani, costumi e personaggi tratti dalla serie, con la straordinaria aggiunta dell’onnipresente Hatsune Miku.
Persona 4 Dancing All Night rimane un titolo espressamente mirato ai fan del J-RPG, ancora affamati di avventure esoteriche nell’attesa del quinto episodio. Un’interfaccia grafica spesso invasiva, una modalità storia non particolarmente brillante e l’ottima colonna sonora originale, qui arricchita da numerosi remix e riarrangiamenti, sono le tre caratteristiche chiave su cui si dovrebbe riflettere nel caso ci si sentisse ancora dubbiosi di fronte alla coloratissima copertina del gioco. Il mio consiglio è quella di approcciare questo titolo con gli occhi dell’appassionato, cercando di andare oltre all’infelice scelta di concentrare gli input richiesti ai lati dello schermo, per potersi godere quella che dovrebbe essere, nel momento in cui scriviamo, l’ultima avventura con i protagonisti del quarto episodio del J-RPG Atlus.