Probabilmente a sentire le parole “gioco open-world in terza persona” vi tornano in mente svariati titoli usciti in questo 2015, a partire da Assassin’s Creed Syndicate per finire addirittura a Fallout 4, che come saprete non è solo first-person. Se però stringiamo il campo e diciamo “gioco open-world in terza persona in cui si può e si deve far esplodere qualsiasi cosa”, la vostra risposta può soltanto essere secca e decisa: Just Cause 3. Dopo la buona prova di Mad Max, che nella nostra recensione avevamo apprezzato pur riconoscendone i limiti, gli Avalanche Studios tornano alla carica con il terzo capitolo della saga Just Cause più “caciarona” che esista, a ben cinque anni di distanza da Just Cause 2.
La storia di Just Cause 3
Ambientato questa volta nel Mar Mediterraneo, all’interno di un arcipelago di finzione chiamato Medici, il titolo vede tornare sulle scene il belloccio Rico Rodriguez, chiamato a gran voce dai ribelli del luogo per un disperato bisogno di aiuto. Il dittatore Sebastiano Di Ravello gestisce un regno di terrore fatto di basi militari, altoparlanti che vomitano propaganda 24 ore al giorno, veicoli corazzati di terra, di aria e di mare. Ciò che andremo a fare, nei panni del protagonista s’intende, sarà andare a colpire i nervi scoperti della dittatura distruggendo centrali elettriche, riserve di gas e roccaforti, per indebolire sensibilmente l’esercito avversario e lasciare campo libero alle forze rivoluzionarie, pronte a prendere in consegna i luoghi espugnati. Questo almeno è ciò che possiamo fare in modalità free roaming, fra una missione principale e l’altra.


La giocabilità di Just Cause 3
Con la questione “controllo” dobbiamo infatti aprire il capitolo dei dolori: muovere l’indistruttibile Rico Rodriguez vi darà più di una noia, con il rampino potete raggiungere qualsiasi posto o altura, ma allo stesso tempo può capitarvi di non riuscire a superare piccoli ostacoli con il semplice salto. Non è difficile poi incastrarsi negli edifici o rimanere appesi alle pareti come baccalà lasciati a seccare, basta sbagliare – anche di poco – il punto in cui lanciate l’estremità del vostro fedele amico rampino. A bordo dei veicoli la situazione non cambia, forse addirittura peggiora. La giocabilità dei veicoli è strana, con una fisica tutta sua, in alcuni casi si percepisce quasi un lag fra il comando e la risposta dello sterzo; sarà una vera sfida tenere la vostra auto o la vostra moto in carreggiata, per così dire. Tutto migliora gradualmente prendendo confidenza con il sistema di gioco, ma qualcosa continuerà a non convincervi anche successivamente, soprattutto su console. (Nel video in basso un esempio di “fisica tutta sua”, guardate come esplode l’auto che abbiamo urtato…)
Se su un PC ben carrozzato il titolo di Avalanche riesce a tenere i 60fps più o meno stabili (più realisticamente fra i 45 e 60 frame), su Ps4 e Xbox One la situazione attuale, a pochi giorni dall’uscita, è decisamente drammatica. I 30 frame per secondo sono tutt’altro che stabili, i cali non solo sono vistosi, ma in situazioni concitate come un attacco a una base militare, in cui entrano in gioco decine e decine di elementi in mezzo alle esplosioni, si scende addirittura a 10/12, giocando praticamente a scatti. Una situazione obiettivamente inaccettabile che distrugge l’esperienza dell’utente e annoia non poco, anche perché non parliamo di Animal Crossing ma di un gioco veloce in cui tutto deve esplodere come si deve.
Il buon lavoro di ottimizzazione svolto con Mad Max sembra lontano anni luce, ma è anche vero che le meccaniche questa volta sono molto più dinamiche e la mappa di gioco più complessa. Per camminare – letteralmente – il mondo disponibile da parte a parte occorrono circa 9 ore, dunque la sua grandezza è più che accettabile; al suo interno troviamo montagne, campi coltivati, spiagge, piccoli paesini e basi militarizzate, non il deserto post-apocalittico del folle Max. A vedere le texture degli edifici, la qualità dei volti e di alcuni veicoli ci si aspettava però sicuramente di più, dal comparto grafico in generale, come ad esempio ha fatto Ubisoft con mappe anche più complesse nell’ultimo Assassin’s Creed Syndicate. Ci si scontra inoltre con un effetto blur usato per camuffare i movimenti di camera più repentini e meno definiti (sempre su console) e un odioso pop-in degli elementi a schermo. Anche la varietà delle isole poteva essere arricchita, resa meno monotona, discorso identico per la colonna sonora che ripropone continuamente gli stessi brani originali, caratteristica che alla lunga stanca non poco.

Oltre a seguire la storia principale e le postazioni da conquistare, si può semplicemente vagare in modalità esplorativa, salvare i numerosi veicoli del mondo di gioco nei garage, portare a termine quest secondarie non troppo accattivanti, partecipare a sfide per sbloccare mod varie ed eventuali. Anche le sfide si suddividono in principali e secondarie, le prime sono semplicemente gare a tempo con veicoli e modalità di diversa natura, le seconde sono online e sono rappresentate da piccole statistiche dall’importanza marginale. Queste ultime mettono in guerra tutti i giocatori, senza volerlo ognuno sfida chiunque, in un sistema di vittorie e sconfitte che non appassiona più di tanto. Al contrario risulta anche invadente, per poter gareggiare occorre essere continuamente online, quando il sistema perde il segnale o i server non rispondono, una schermata di connessione vi blocca temporaneamente il gioco, una scelta da parte degli sviluppatori azzardata per non dire folle.



