L’avventura grafica ai tempi di Until Dawn: rivincita di un genere “per pochi”

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L’industria videoludica è una realtà ancora giovane e fortemente influenzata dall’avanzamento tecnologico, non bisogna dunque stupirsi della rapidità con cui si adatta a mode e realtà altrettanto mutevoli. A evolversi col tempo non sono stati soltanto gli aspetti puramente tecnici, oltre alle fredde cifre di fotogrammi e risoluzione, anche i contenuti – i cosiddetti “generi” – sono divenuti man mano più articolati, mescolandosi fra loro e rendendo l’esperienza del videogiocatore sempre più complessa e appagante. Salvo poche eccezioni, è sempre più difficile “definire” la tipologia di un videogame: oggi i giochi di ruolo hanno spesso meccaniche action e i giochi d’azione elementi sparatutto, che a loro volta acquisiscono aspetti da gioco di ruolo… Se lo scopo di questo articolo fosse analizzare le singole tendenze ed esprimere un giudizio su ciascuna di esse, il discorso durerebbe davvero troppo. In questa sede si parlerà di un singolo genere che, per quanto si sia evoluto, non ha mai rinnegato le proprie origini: l’avventura grafica.

maxresdefault-12Nati negli anni ‘80, i primi giochi del genere sono stati i punta-e-clicca, con sfondi e immagini a schermo con cui interagire a mezzo mouse o controller. La diffusione del CD-Rom come supporto al software ha permesso un ulteriore passo in avanti e la nascita di avventure grafiche basate sui dialoghi, quindi con una narrazione più presente e strettamente legata alla soluzione di enigmi e puzzle, che ancora rappresentavano il cuore del gameplay. Gli anni ‘90 hanno invece subito un declino delle avventure grafiche, sempre più accantonate per prodotti più “immediati” e commerciali, grazie ai quali il giocatore poteva rivestire un ruolo più interattivo.

beyond-two-souls-film-festivalL’ultimo decennio ha tuttavia riportato alla luce questo genere ormai di nicchia, sia su PC che su console: precursore della “rinascita” è stato Fahrenheit, conosciuto come Indigo Prophecy in Canada e Stati Uniti, un gioco del 2005 sviluppato dallo studio francese Quantic Dream e scritto dal suo direttore David Cage, pubblicato da Atari per Windows, Playstation 2 e Xbox. Per quanto inequivocabile fosse il suo genere, Farhenheit presentava un gameplay ben più dinamico di un classico punta-e-clicca con enigmi: fasi esplorative e numerosi Quick Time Event – anche molto ostici – accompagnavano un comparto narrativo che oggi potrebbe apparire un po’ ingenuo, ma che undici anni fa ha meritato grandi lodi per la sua originalità e audacia. Quantic Dream ha proseguito su questa linea innovativa con altri titoli, Heavy Rain e Beyond: Due Anime, che hanno mostrato al mercato quanto il videogioco potesse accostarsi al mondo del cinema, pur salvaguardando la propria natura.

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Se con i giochi della software house francese abbiamo avuto a che fare con veri e propri “film interattivi”, con tanto di protagonisti ricostruiti con fattezze di attori reali, anche altre case di sviluppo – dalle mire meno ambiziose – sono riuscite negli anni a rimanere a galla, portando sul mercato avventure grafiche la cui natura “originaria” è più presente che mai. Esempi conosciuti sono la serie Broken Sword di Revolution Software e gli Sherlock Holmes di Frogwares: prodotti che di certo non rappresentano l’apice tecnologico dei loro tempi, ma che mantengono salda la propria posizione nel cuore degli appassionati, grazie a storie e dialoghi ben scritti e una massiccia presenza di enigmi e rompicapo, spesso molto complessi.

Broken_Sword_5_serpents_curse_1Riassumendo, le avventure grafiche moderne, per quanto sia riduttiva come catalogazione, possono essere suddivise in due macro-categorie: quelle che, come i giochi di Quantic Dream e Telltale Games, puntano principalmente all’estetica – il fotorealismo nei primi, lo stile e la caratterizzazione di ambienti e personaggi nei secondi – e all’impatto narrativo, lasciando al gameplay un ruolo quasi simbolico e un livello di difficoltà abbastanza blando. Dal lato opposto, invece, abbiamo le produzioni “vecchia scuola”, come i già citati Sherlock Holmes e Broken Sword, o il geniale Grim Fandango (leggi la nostra recensione della versione Remastered) di LucasArts, titoli sicuramente meno d’impatto, ma con il coraggio di rimaner fedeli alle proprie radici. Questo grazie a un gameplay che i videogiocatori più giovani troveranno forse un po’ lento e macchinoso, ma che lo “zoccolo duro” di appassionati del genere continua ad amare.

Grim Fandango Remastered_20150127114908Tra i due fuochi – non che le strade evolutive intraprese dalle avventure grafiche non possano coesistere pacificamente – ha recentemente trovato posto Until Dawn (qui la nostra recensione), esclusiva Sony del 2015 sviluppata dalla britannica Supermassive Games. Da una parte, il gioco ha un taglio spiccatamente cinematografico, con nulla da invidiare alle altre produzioni videoludiche ad alto budget; da un’altra, questo titolo riesuma la presenza di un gameplay meno “automatico”, con Quick Time Event piuttosto ostici, scelte morali e d’azione con ripercussioni sulla trama nel lungo termine – il cosiddetto “Effetto Farfalla” – e la possibilità di sbloccare segreti, scoprire i reali retroscena solo grazie a una combinazione tra esplorazione certosina delle mappe e giuste decisioni, compiute al momento giusto dai giusti personaggi.

Si tratta pur sempre di un gioco che tende a “voler narrare” piuttosto che a “far giocare”, eppure riesce ove ha parzialmente fallito Beyond, dopo un geniale Heavy Rain: la presa di coscienza del giocatore su quanto le proprie scelte – e non scelte – avranno sempre ripercussioni, spesso definitive. Il fallimento è possibile e nemmeno troppo improbabile, ogni errore e imprecisione, ogni indizio ignorato potranno compromettere per sempre il destino dei giovani protagonisti, non con un semplice “Game Over” e ritorno all’ultimo checkpoint, bensì con la prosecuzione della storia senza i meno fortunati.

untildawnIn conclusione, sarebbe davvero riduttivo classificare le moderne avventure grafiche come “bianche” o “nere”: Until Dawn è la dimostrazione che, oggi più che mai, esistono molte sfumature anche in un genere “di nicchia” e che così, forse, è meglio rimanga. Troppo spesso, infatti, la gente si approccia a titoli di questo tipo attratta dalla “bella grafica”, con totale mancanza d’informazione su di essi, per poi lamentarsi della scarsa durata, del gameplay quasi assente, della “difficoltà ridicola”… Eppure, basterebbe davvero poco per evitare delusioni e acquisti sgraditi: il tipo d’interattività dell’avventura grafica è e sarà sempre diversa da quella dei videogiochi del nostro tempo, più psicologica e legata all’immedesimazione, meno legata alle effettive capacità di chi tiene il controller fra le mani.

ud2L’avventura grafica accompagna il videogiocatore per mano, facendogli conoscere realtà e personaggi sconosciuti, chiedendogli di scegliere in loro vece, di aiutarli a superare delle difficoltà o condannarli al proprio destino. Chi è dall’altra parte dello schermo può quindi, complice l’insoddisfazione da aspettativa malriposta, annoiarsi davanti a un gioco dai comandi legnosi e probabilmente non più lungo di una decina d’ore, due terzi delle quali saranno dialoghi non skippabili, oppure assecondare la narrazione e vivere un’esperienza che – dando per scontate scrittura e regia all’altezza – nessun film potrà mai regalare. Alla base di ogni opinione vi è sempre la conoscenza di ciò che si giudica: in una generazione videoludica piena di “mostri di Frankenstein”, le avventure grafiche rimangono ancora un porto sicuro, una realtà ovviamente in evoluzione, ma che sa cosa dare e che non delude chi sa cosa chiedere.