Dying Light: The Beast, la recensione su PS5

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Dying Light: The Beast irrompe sulla scena videoludica, come un’esplosione di caos e zombie in un bosco incantato e terrificante. Questo titolo standalone espande l’universo della serie con un focus su Kyle Crane, il protagonista originale trasformato in una bestia rabbiosa dopo anni di esperimenti crudeli. Ambientato in Castor Woods una riserva naturale Svizzera – invasa dal virus THV – il gioco mescola survival horror, parkour mozzafiato e combattimenti viscerali. Techland ha confezionato un’avventura da circa 20 ore, che riavvolge l’esperienza ai fasti del primo Dying Light, al netto di alcuni twist mostruosi che lo rendono fresco e feroce.

I punti di forza balzano subito all’occhio. Il gameplay cattura l’essenza del parkour fluido e del melee “brutale”, elevandoli a livelli superiori con meccaniche come la Beast Mode che trasforma Crane in un turbine di furia invincibile. La storia regala momenti epici, specialmente verso le battute conclusive e il mondo aperto di Castor Woods pulsa di vita, con la presenza di side quest che non sembrano mai riempitive. L’atmosfera horror notturna è la più spaventosa della serie, con inseguimenti ansiolitici e, il più delle volte, mortali.

Le debolezze invece si annidano nella narrazione che a volte scivola in cliché da film B-horror, con dialoghi tavolta esagerati e un villain (il Barone) che non sembra essere sempre all’altezza del suo ruolo. L’inizio può risultare un po’ lento (in fase di sincronia con il ritmo dell’avventura) e certi elementi – come il grappling hook – richiedono prima un po’ di pratica. Nonostante queste incertezze, The Beast si conferma come un ritorno alle origini vincente per la saga, rendendolo un must per i fan e un’ottima porta d’ingresso per gli scopritori della serie.

Storia e Personaggi

La trama di Dying Light: The Beast riprende le fila dal DLC The Following del primo capitolo, saltando avanti di 13 anni. Kyle Crane non è più l’agente GRE infiltrato ad Harran, ma un esperimento fallito intrappolato in un laboratorio alpino. Soggetto a torture da parte di Marius Fischer – noto come il Barone, un magnate ossessionato dal controllo del virus THV – Crane emerge come un ibrido umano-zombie assetato di vendetta. La missione centrale ruota attorno alla caccia di otto Chimere creature mutanti nate dagli esperimenti del Barone per estrarne il DNA GSB, che potenzia le abilità “bestiali” di Crane. Aiutato da Olivia, una scienziata ribelle che lo libera dal carcere, il viaggio si snoda attraverso Castor Woods, un’ex riserva naturale divenuta ora un labirinto di foreste nebbiose, villaggi abbandonati e rovine industriali.

I personaggi aggiungono strati a questa epopea di sopravvivenza. Crane, interpretato da Roger Craig Smith, brilla con un carisma rabbioso che mescola umorismo nero e vulnerabilità. Le sue interazioni con i sopravvissuti sparsi nel bosco rivelano storie personali strazianti – come quella di un ex cacciatore che ha visto la sua famiglia distrutta per colpa del virus o una comunità isolata che combatte per mantenere viva la speranza. Olivia funge da guida morale, con una backstory legata agli esperimenti del Barone che si svela piano piano attraverso dialoghi e nastri audio. Il Barone, invece, è il classico antagonista megalomane (con dei monologhi carichi di follia), ma la sua presenza aleggia costante attraverso ologrammi e registri di laboratorio, rendendolo un’ombra opprimente (ma non troppo).

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La narrazione privilegia cutscene in terza persona, che mostrano Crane in azione enfatizzando la sua trasformazione. Non ci sono scelte morali complesse come in Dying Light 2 ma le diverse risposte fornite ai vari NPC influenzano leggermente le side quest. Il ritmo accelera dopo le prime ore, culminando in un finale epico che chiude alcune questioni rimaste in sospeso nella serie.

Queste dinamiche narrative rendono The Beast un capitolo che, non solo intrattiene, ma fa sentire il peso del mondo post-apocalittico. Crane, non è un eroe invincibile, ma un uomo “spezzato” che combatte per reclamare la sua umanità, un tema che riecheggia nei giochi dall’animo survival (come The Last of Us), dove i mostri esterni altro non sono che parte di un riflesso interiore. I personaggi secondari non sono semplici comparse ma catalizzatori per esplorare la resilienza umana in un paesaggio desolato. Attraverso nastri audio e diari sparsi, i giocatori scoprono la storia di Castor Woods da riserva idilliaca a inferno virale, con dettagli – come gli esperimenti segreti sugli animali – che aggiungono un velo di orrore etico e non troppo distante dalla realtà fuori dallo schermo. La vendetta di Crane non è solo fisica ma un viaggio interiore che culmina in scelte che definiscono il suo destino finale. Questo approccio rende la storia accessibile ai veterani della serie che apprezzano i richiami al lore originale, mentre i neofiti possono godersela senza prerequisiti eccessivi.

Pro di Storia e Personaggi:

  • Kyle Crane emerge come il personaggio più memorabile della serie, con un arco narrativo che evolve da vittima a vendicatore;
  • I sopravvissuti offrono backstory toccanti che arricchiscono il mondo senza appesantire la trama principale;
  • Il finale regala un climax mozzafiato che ripaga l’investimento emotivo;
  • Dialoghi frizzanti, con tocchi di umorismo nero che alleggeriscono i momenti tesi.

Contro di Storia e Personaggi:

  • Il Barone rischia di cadere nel cliché del villain da fumetto con motivazioni prevedibili;
  • Alcune side quest si risolvono in modo troppo lineare senza twist sorprendenti;
  • Olivia appare un po’ troppo come deus ex machina nelle prime fasi della storia;
  • La trasformazione di Crane in ibrido zombie si spiega con dialoghi espositivi che interrompono il flusso.

Gameplay

Il gameplay di Dying Light: The Beast è un turbine di adrenalina che fonde combattimento parkour e survival in un loop irresistibile. Al centro c’è il movimento fluido che permette a Crane di scalare alberi, saltare su tetti di capanne e planare tra rami con una grazia felina. Il giorno trasforma Castor Woods in un parco giochi verticale, dove il rampino lancia il giocatore attraverso voragini (anche se richiede tempismo preciso per non finire in un cespuglio di rovi). La notte, invece, ribalta tutto in un incubo stealth con i Volatili che fiutano il sudore e caricano come proiettili viventi. Qui l’istinto di sopravvivenza evidenzia pericoli e loot, forzando scelte tattiche come nascondersi in armadi, sprintare verso torce UV per salvarsi, scoprendo che il silenzio e il miglior modo per sopravvivere.

Il melee combat ha sempre il suo fascino irresistibile, con armi come mazze da baseball machete e tubi arrugginiti che si degradano dopo colpi ripetuti, richiedendo riparazioni con le poche risorse scarse a disposizione (è sempre un survival, non dimentichiamolo). Ogni impatto trasmette un “crudo realismo”, con schizzi di sangue e arti mozzati che dipingono dei momenti di macabra soddisfazione. Le mod elementali aggiungono quel pizzico di varietà, come il fuoco che incenerisce le orde di zombie o l’elettricità che li stordisce prima di una fisiologica e scontata conclusione. Non mancano all’appello le armi da fuoco, ma per via del munizionamento rarissimo rivestono il ruolo di “utlima spiaggia”. Veicoli come jeep e moto aiutano a spostarsi velocemente tra le varie zone della mappa, ricordandosi che i nostri “amati” zombie possono aggrapparsi ai parafanghi.

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La Beast Mode è la ciliegina sulla torta, che si alimenta prendendo danni e si scatena con Crane in modalità furia, con salti sovrumani e artigli che squarciano orde. Potenziata dal GSB, estratto dalle Chimere, sblocca abilità devastanti – come lanci di oggetti pesanti o rigenerazione accelerata – rendendo le boss fight epiche. Il crafting è intuitivo, con dei banchi di lavoro, presenti nelle varie safehouse, dove realizzare i vari progetti trovati nei vari angoli di Castor Woods e creare così gadget micidiali utili in ogni situazione (come molotov o trappole). Le quest principali intrecciano esplorazione e azione mentre le secondarie offrono punti esperienza e loot.

Il bilanciamento evita l’eccessiva vulnerabilità: stamina limitata rende ogni scontro una “partita a scacchi” e il level cap a 15 spinge a scelte oculate nella crescita nell’albero delle abilità, che si suddivide tra agilità o forza. Non ci sono microtransazioni o live service, solo un mondo reattivo dove il ciclo giorno-notte altera, non solo la difficoltà, ma anche le opportunità come loot extra nelle fasi notturne. È un gameplay che evolve il concetto di rischio-ricompensa tipico dei survival horror, spingendo i giocatori a danzare sul filo del rasoio e non giocare troppo in difesa.

Questi elementi si intrecciano in un flusso che ci tiene incollati allo schermo. Immaginate di scalare un mulino a vento al tramonto per avvistare un convogliom per poi passare alla notte dove un Volatile vi insegue tra le foglie fruscianti. Rispetto ad altri titoli open world come Far Cry il gioco evita la l’effetto “dispersione”, concentrandosi sulla densità, con ogni area che nasconde segreti (come bunker nascosti o echi di esperimenti passati). La progressione è gratificante: da Crane debole e zoppicante a bestia dominante ma non invincibile, con il rischio di una morte improvvisa smpre dietro l’angolo. È un gameplay che premia i curiosi e gli amanti della strategia, con una Castor Woods piena di cose da fare e scoprire.

Pro di Gameplay:

  • Parkour e traversal fluidi che fanno sentire Crane come un acrobata mostruoso;
  • Combattimento melee soddisfacente e vario, con feedback viscerale ad ogni colpo;
  • Beast Mode che aggiunge un layer di power fantasy, controllato e adrenalinico;
  • Ciclo giorno-notte che crea due esperienze distinte, con tensione notturna da brividi;
  • Side quest integrate che espandono il mondo senza annoiare.

Contro di Gameplay:

  • Grappling hook frustrante nelle prime ore per mancanza di tutorial chiari;
  • Armi da fuoco sotto-utilizzate a causa dell’ammo scarso;
  • Incontri con umani occasionali che rompono il ritmo horror;
  • Veicoli divertenti ma goffi in spazi stretti (come le fitte foreste).

Dimensione artistica (Grafica e Sonoro)

La dimensione visiva di Dying Light: The Beast dipinge Castor Woods come un quadro post-apocalittico mozzafiato. Alberi svizzeri maestosi che si stagliano contro tramonti arancioni,  mentre la nebbia notturna avvolge capanne di legno con un fotorealismo che cattura la bellezza crudele della natura reclamata dagli zombie. Dettagli come foglie che frusciano al vento o sangue che gocciola da ferite fresche elevano l’immersione, con il dettaglio delle texture e l’illuminazione dinamica che trasformano il giorno in un invito all’esplorazione e la notte in un incubo claustrofobico. La photo mode permette di raccogliere una testimonianza di quanto appena narrato, anche se le opzioni offerte (in termini fotografici) non sono all’altezza di alcune best practice di successo.

Sul fronte sonoro la colonna sonora reinventata da Olivier Derivere vira verso un horror moderno, con synth pulsanti e percussioni tribali che ci hanno ricordato il film 28 Giorni Dopo. Brani lenti e ansiogeni accompagnano le passeggiate solitarie, mentre picchi elettronici esplodono durante le Beast Mode. Il voice acting spicca, con Roger Craig Smith che infonde a Crane un timbro vocale che enfatizza il bifrontismo del personaggio, mentre i gemiti degli zombie e i ringhi delle Chimere creano un’audio design immersivo. Effetti come passi su ghiaia o il crack di ossa spezzate rinforzano il feedback tattile su PS5, rendendo ogni incontro “vissuto”.

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La summa di questi elementi artistici crea un’atmosfera che va oltre il visivo e uditivo, intrecciando emozioni crude. Castor Woods non è solo uno sfondo ma un personaggio vivo, con rovine che raccontano storie silenziose come graffiti di sopravvissuti o carcasse di veicoli arrugginiti. Il gore è stilizzato non gratuitoa con interiora che scintillano al sole o occhi che schizzano via enfatizzando l’orrore corporale senza scadere nel trash. Rispetto a giochi come Resident Evil il design privilegia l’open world organico con variazioni stagionali sottili che influenzano il gameplay come neve che rallenta i nemici.

Questa rinnovata dimensione artistica eleva Dying Light: The Beast da semplice action a esperienza sensoriale. La palette cromatica spazia da verdi lussureggianti diurni a blu freddi notturni, creando un palpabile contrasto emotivo mentre il suono spaziale crea una costante di ansia, con la sensazione di un nemico onnipresente. In un’era di grafiche next-gen, il gioco corre liscio su console in 60fps, con dettagli grafici che non si perdono troppo per strada. Sotto il profilo tecnico, il lavoro svolto in termini di ottimizzazione è pregevole.

Pro di Dimensione artistica:

  • Grafica fotorealistica che rende Castor Woods un mondo vivo e dettagliato;
  • Contesto audio dinamico, che si adatta al ciclo giorno-notte;
  • Voice acting stellare, specialmente per Crane e i mostri;
  • Effetti ambientali immersivi che amplificano l’atmosfera horror.

Contro di dimensione artistica:

  • Qualche pop-in di texture nelle aree dense di vegetazione;
  • Audio dei veicoli piatto e ripetitivo;
  • Photo mode molto limitatA in opzioni di editing rispetto alla concorrenza;
  • Gore talvolta eccessivo nelle cutscene, al punto da risultare disturbante.

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Valutazione sull’evoluzione della serie dei giochi nel corso degli Anni

La serie Dying Light ha percorso un cammino tortuoso da quando Techland lanciò il primo capitolo nel 2015. Lanciato sul mercato come un open world a tema zombie, il titolo presentava un componente parkour rivoluzionaria e la presenza di un ciclo giorno-notte che non forniva mai dei punti di riferimento fissi. Il DLC The Following (2016) espanse il primo capitolo introducendo veicoli e passando ad un’ambientazione rurale, ma convinse troppo complice la presenza di mappe poco stratificate, focus sulle armi da fuoco opinabile e quel senso di ansia e paura vacillante. Dying Light 2 (2022) promise rivoluzioni, con scelte narrative ramificate e una mappa di gioco molto ampia, ma inciampò su un contesto narrativo debole e personaggi poco carismatici.

The Beast mette a segno un punto alla voce “Nostalgia”, con un ritorno alle origini con Kyle Crane e un approccio “contenuto”, che rifinisce invece di espandere. L’evoluzione si vede nel parkour snellito, la storia guadagna profondità con un protagonista carismatico, mentre l’horror notturno si affina con IA nemica più astuta e inseguimenti imprevedibili. Techland ha imparato dai propri errori: niente promesse iperboliche, solo quello che sa fare meglio.

Dying Light: The Beast
  • 8.2/10
    Storia, personaggi e contesto - 8.2/10
  • 8/10
    Controlli/Gameplay - 8/10
  • 9/10
    Dimensione artistica - 9/10
  • 8/10
    Intrattenimento - 8/10
8.3/10

Summary

Non solo la resurrezione di Kyle Crane ma anche una nuova vita per la serie. Nonostante qualche inciampo narrativo ed un avvio titubante, il gioco brilla per la sua capacità di terrorizzare, intrattenere e far sentire il giocatore come causa e conseguenza dell’apocalisse. Per i fan è un ritorno a casa agrodolce, che fa ammenda dei peccati, per i nuovi è un biglietto d’ingresso perfetto verso un universo costellato da salti e sangue. Non sarà un GOTY, ma sicuramente un titolo che non deve mancare nella vostra libreria. Da non perdere.

Dino Cioce
39 anni, sposato e padre di due bellissimi bambini; anche se il tempo è poco e gli impegni sono tanti, trovo sempre un momento per dedicarmi al mio mantra e al mio credo. I AM A GAMERCRACY
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