Ci tocca di nuovo tirare fuori l’armatura, ancora segnata dalle numerose avventure, del Doom Slayer e scatenare l’inferno in DOOM: The Dark Ages. Il celebre sparatutto in prima persona, sviluppato da id Software e pubblicato da Bethesda Softworks, celebra il suo ottavo capitolo della leggendaria saga DOOM, il terzo della trilogia moderna iniziata con DOOM (2016). Uscito il 15 maggio 2025 su PC, PlayStation 5, Xbox Series X|S e disponibile al day one su Xbox Game Pass (con accesso anticipato di due giorni per chi ha acquistato la Premium Edition), questo prequel ci catapulta in un’epoca techno-medievale dove la furia del nostro eroe si scontra con orde demoniache, draghi cybernetici e paesaggi che sembrano usciti da un incubo onirico-epico.
Annunciato con un trailer esplosivo durante l’Xbox Games Showcase del 2024, DOOM: The Dark Ages non è solo un ritorno alle origini della serie, ma un’audace reinvenzione che mescola la brutalità viscerale di DOOM con un’estetica dark fantasy e nuove meccaniche che spiazzano e conquistano. AL netto di una media voto su Metacritic che viaggia tra l’84 e l’86, il gioco ha ricevuto elogi per la sua intensità e direzione artistica, anche se non è privo di piccoli difetti, come alcune sezioni meno ispirate. Allacciate le cinture: si parte per un viaggio infernale. Ecco la nostra recensione di DOOM: The Dark Ages, giocato nella sua versione per console Xbox Series X.
L’alba del Doom Slayer
Se cercate una trama intricata degna di un romanzo epico, DOOM: The Dark Ages potrebbe non essere la vostra primoascelta, ma non lasciatevi ingannare: la narrazione di questo capitolo è più ricca di quanto ci si aspetti da un gioco che vive di massacri demoniaci. Ambientato come prequel di DOOM (2016), il gioco ci porta su Argent D’Nur, un pianeta che mescola un’estetica vichinga con elementi fantascientifici e orrori cosmici. Qui, il Doom Slayer è agli albori della sua leggenda, una “superarma” al servizio dei Night Sentinels e dei Maykrs (una razza aliena che si spaccia per divinità). Costoro, però, non si fidano di lui e lo tengono sotto controllo con dispositivi mentali (senza un grandissimo successo). La rabbia del nostro Slayer esplode, rompendo ogni catena e dando il via ad una crociata contro demoni, tradimenti e antichi dèi lovecraftiani.
La storia si concentra sulla genesi della furia del Doom Slayer, mostrando come diventa il guerriero inarrestabile che conosciamo. Rispetto a DOOM Eternal, la narrazione è più presente, con cutscene in terza persona che aggiungono un tocco cinematografico senza mai rallentare il ritmo. Il nostro protagonista è quasi muto, pronunciando una sola parola in tutto il gioco (un momento epico che strappa un sorriso per il suo sapore da action movie anni ’80). La trama è raccontata attraverso momenti brevi ma d’impatto, spesso all’inizio dei livelli, lasciando il gameplay al centro della scena. Tuttavia, id Software ha infuso più lore, con fazioni come i Night Sentinels, i Maykrs e una setta di streghe lovecraftiane che aggiungono intrighi politici e conflitti cosmici.
Tra i personaggi, spicca il Comandante Thira, leader dei Night Sentinels, che porta carisma e umanità al fianco del nostro eroe silenzioso. È una figura di spicco, capace di tenere testa al caos con una presenza scenica che dà spessore alla storia. L’antagonista, invece, è un po’ il tallone d’Achille: un “cattivo generico” che, pur funzionale, non lascia un segno memorabile. La vera forza narrativa sta nell’atmosfera: un mix di epica medievale e orrore cosmico, con momenti ironici come il Doom Slayer che spara a un esattore infernale invece di pagare un pedaggio, in puro stile DOOM. I fan della lore troveranno pane per i loro denti con codex e segreti sparsi nei livelli, che approfondiscono la mitologia senza obbligare a letture interminabili. Se invece si vuole solo sparare, la trama non intralcerà mai, offrendo un equilibrio perfetto tra contesto epico e azione sfrenata.
Non solo violenza, ma anche strategia
Parliamo del cuore pulsante di DOOM: The Dark Ages: il gameplay. Se DOOM Eternal era un balletto acrobatico di doppi salti e scatti fulminei, questo capitolo rallenta il ritmo ma non l’intensità, trasformando il Doom Slayer in un carro armato umano che semina morte con una potenza brutale. La novità più eclatante è lo Shield Saw, uno scudo-sega che è al contempo arma, difesa e strumento di mobilità. Questo disco dentato può bloccare attacchi, essere lanciato per falciare nemici o aprire passaggi (e persino surriscaldarsi per esplodere in un’onda d’urto devastante). È una meccanica che cambia il flusso del combattimento, aggiungendo sì una dimensione tattica ma senza sacrificare la frenesia.
Il sistema di parry è il vero asso nella manica. Gli attacchi nemici sono segnalati da indicatori colorati: quelli verdi possono essere riflessi con lo scudo (aprendo finestre per contrattacchi); quelli rossi, invece, richiedono una schivata. Questa meccanica, che richiama i Soulslike, è perfettamente integrata nel ritmo forsennato dello sparatutto, costringendo a bilanciare aggressività e riflessi. Si può caricare un nemico con un affondo esplosivo, stordirlo con un parry ben piazzato o lanciare lo scudo per abbattere un demone corazzato. La sensazione è quella di essere un predatore inarrestabile, ma con un pizzico di strategia che rende ogni scontro una danza mortale.
L’arsenale è un tripudio di creatività. Accanto al leggendario Super Shotgun (che qui è più devastante che mai), troviamo armi come lo Skull Crusher, un fucile che spara frammenti d’osso, o un flail (mazzafrusto) che incute terrore nei nemici. Ogni arma ha un ruolo specifico, con potenziamenti che ne amplificano l’efficacia: lo Skull Crusher può aumentare la velocità di movimento, mentre il Super Shotgun può disintegrare miniboss in pochi colpi. La rimozione di doppi salti e scatti rapidi potrebbe deludere i fan di Eternal, ma il focus sul combattimento corpo a corpo e la mobilità “pesante” dello scudo compensano con un feeling unico. Il Doom Slayer si muove come un titano, con impatti che fanno tremare lo schermo e glory kill che sono un’ode alla violenza coreografata.
I livelli sono un mix di arene aperte e sezioni lineari, con un design che premia l’esplorazione senza penalizzare chi vuole solo sparare. Le mappe aperte – una vera e propria novità per la serie – offrono una certa libertà nell’ordine delle missioni, con segreti, potenziamenti e frammenti di lore sparsi ovunque. Le battaglie si svolgono spesso in campi aperti, con orde di nemici che ci circondano, creando un senso di guerra totale. Tuttavia, non tutto è perfetto. Le sezioni con veicoli, come il pilotaggio di un Atlan mech o di un drago cybernetico, sono spettacolari ma deludono nell’esecuzione. Gli scontri in mech sono lenti e ripetitivi, mentre le sequenze a dorso di drago si riducono a schivate a tempo e attacchi automatici, mancando dell’intensità del gameplay principale. Inoltre, alcuni boss, come il Super Heavy Demon, soffrono di una difficoltà mal calibrata, risultando più frustranti che sfidanti.
Per dovere di cronaca, segnaliamo un aggiornamento post-lancio che ha risposto alle critiche sulla difficoltà iniziale, rendendo i nemici più aggressivi e il parry meno permissivo. Mostri come l’Agaddon Hunter ora possono abbatterci con un solo colpo, spingendoci a perfezionare il nostro approccio. La campagna, lunga circa 20-25 ore a difficoltà media (fino a 40 per i completisti), offre una varietà di situazioni, con arene che cambiano dinamicamente e rompicapi ambientali nel Cosmic Realm, una dimensione lovecraftiana che aggiunge un tocco di mistero. Il gameplay è un crogiolo di adrenalina, accessibile grazie a opzioni di personalizzazione che adattano l’esperienza a diversi livelli di abilità.
Un mondo di caos e bellezza brutale
L’estetica di DOOM: The Dark Ages è un puro godimento dei sensi. L’ambientazione techno-medievale è un trionfo visivo, un mix di castelli gotici, lande infernali e architetture aliene che sembrano uscite da un incubo di H.P. Lovecraft. Il motore idTech 8 spinge il dettaglio visivo a livelli stratosferici, con effetti di luce volumetrica e ray tracing che creano un’atmosfera oscura e opprimente. Su Xbox Series X, il gioco mantiene una risoluzione dinamica tra 1080p e 1440p a 60 fps, con qualche artefatto dovuto al Variable Rate Shading.
I livelli variano da fortezze sotto assedio a foreste oscure, fino al Cosmic Realm, una dimensione aliena che mescola orrore cosmico e rompicapi surreali. Ogni ambiente è un’opera d’arte, con un design che bilancia spettacolarità e funzionalità: i campi di battaglia sono ampi ma mai confusionari, e i segreti nascosti invitano a esplorare ogni angolo della mappa. Tuttavia, alcune arene più grandi possono risultare ripetitive verso la fine della campagna e il level design, pur eccellente, non sempre raggiunge le vette di DOOM Eternal.
La colonna sonora, composta da Finishing Move, è un argomento controverso. Sebbene non raggiunga le vette di Mick Gordon, il mix di heavy metal, toni epici e guizzi elettronici si sposa perfettamente con l’azione, pompando adrenalina a ogni scontro. Un bug al lancio ha limitato l’impatto della musica, ma id Software ha saputo intervenire con efficacia. L’effettistica sonora è straordinaria: il tonfo dei passi del Doom Slayer, il rombo del Super Shotgun e il clangore dello Shield Saw creano un’esperienza sensoriale travolgente. Il doppiaggio in italiano (pur funzionale), è un po’ monocorde, ma si adatta al tono austero dei personaggi.
L’estetica dark fantasy, con draghi, titani e scudi d’acciaio, rinfresca la serie senza tradirne lo spirito. I demoni – dal Mancubus al nuovo Pinky Rider – sono disegnati con una cura maniacale, e le glory kill sono un tripudio di gore che rende ogni uccisione uno spettacolo. Nonostante qualche compromesso tecnico, DOOM: The Dark Ages è un’esperienza visiva e sonora che ci fa immergere in un mondo di caos e bellezza brutale.