The Evil Within, la recensione: il ritorno di Shinji Mikami, creatore di Resident Evil

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The Evil Within recensione

Abbiamo giocato a The Evil Within, l’ultimo survival horror di casa Bethesda ideato da Shinji Mikami, la mente che ha dato i natali alla serie Resident Evil, e dobbiamo dire che le aspettative non sono state disattese, in quanto il titolo risulta essere uno dei più godibili degli ultimi mesi, riuscendo a regalare numerose ore di gioco e divertimento.

Ci sono molti aspetti che ci sono piaciuti di questo titolo, tra questi troviamo sicuramente la storia e l’ambientazione. The Evil Within, sia per narrazione che per gamedesign, ha un’impronta squisitamente nipponica, tale che per tutto il tempo in cui giocherete non mancheranno momenti di totale sbalordimento, o per meglio farvi capire quello che intendiamo, momenti da “what the fuck?!”, in cui vi chiederete se è veramente successo quello che è appena successo e se avete veramente visto quello che avete appena visto, il tutto in puro e glorioso stile “nonsense giapponese”

A completare il quadro, l’impianto narrativo è tale da permettere una varietà di ambientazioni sbalorditiva e sicuramente unica nel suo genere; durante i numerosi capitoli in cui è diviso il gioco, passeremo attraverso una moltitudine di scenari tipici e meno tipici del genere horror: l’ospedale psichiatrico, la “mansion” abbandonata, la periferia redneck, il cimitero, etc. Nel complesso quindi una serie di scelte sicuramente vincenti, in quanto gli aspetti più controversi della storia e la grande varietà di ambientazioni fanno sì che il giocatore risulti costantemente stimolato a procedere nel gioco, nonostante vada comunque registrata la presenza di poche sezioni riempitive in cui è possibile notare qualche calo d’intensità. Essendo un titolo fruibile prettamente in single player, abbiamo apprezzato anche la longevità della storia, che a seconda dell’approccio di ogni giocatore può durare dalle 15 alle 20 ore.

Il gameplay di questo titolo riprende dinamiche ben collaudate del survival horror, e lo fa seguendo un trend che ci piace molto, ovvero cercando di integrare classici elementi “old-school” con dinamiche prese in prestito da generi, se vogliamo, meno affini, come ad esempio il crafting di alcuni oggetti e il potenziamento del personaggio e delle armi attraverso l’accumulo di “sostanza verde”. Il livello generale di difficoltà risulta essere piuttosto elevato e a tratti frustrante; le munizioni tendono sempre a scarseggiare e comunque non sono mai sufficienti per neutralizzare tutti i nemici di un quadro esclusivamente attraverso il loro uso; il sistema di mira è volutamente ostico (ma può essere migliorato con i potenziamenti) ed è praticamente impensabile uccidere un nemico ricorrendo al corpo a corpo, in compenso basta un solo colpo furtivo per liberarsi di ogni minaccia.

È per questo che l’approccio migliore risulta essere di basso profilo, eliminando quanti più nemici possibili in maniera furtiva o magari utilizzando le varie trappole sparse nel livello, e solo in ultima analisi, se non se ne riesce di fare a meno, ricorrendo all’uso delle armi. In virtù di ciò alcune sezioni andranno rifatte più e più volte e alcuni boss risulteranno addirittura quasi imbattibili: è così che dovrebbe essere ed è così che ci piace.

Abbiamo già speso alcune parole sulle ambientazioni ed in generale, oltre alla varietà di cui abbiamo già parlato, dobbiamo notare come tutti gli ambienti contribuiscano notevolmente all’atmosfera opprimente e decisamente splatter del gioco. Il livello di gore e di violenza è piuttosto alto, non mancano nemmeno elementi piuttosto controversi, come ad esempio una serie di armadietti pieni di munizioni e potenziamenti, le cui chiavi per accedervi si trovano tuttavia all’interno di statuette di Madonnina che dovremo cercare e letteralmente spaccare durante tutto il gioco. Difficilmente, secondo noi, si poteva fare di più.

The Evil Within ha saputo rispettare le aspettative riuscendo nell’intento di regalare al giocatore numerose ore di svago con una buona dose di tensione e paura. Non importa quante volte verrete uccisi o quante volte fallirete una sezione, anche dopo aver spento la console per la rabbia di un’ennesima sgozzatura, l’istinto sarà sempre quello di riaccendere, tentare e ritentare. Sicuramente da giocare per chi vuole godere di una superba esperienza single player oltre che per gli amanti del genere, che a quanto pare sta vivendo una seconda epoca d’oro (vedi la nostra recensione di Alien: Isolation), e considerando il prezzo a cui si trova oramai a distanza di un mese dall’uscita, che scusa avete per non esservelo ancora procurato?!